Quanto la perdita di una persona cara può influenzare l'umore, la vita e le relazione di un individuo? A questa domanda, Ricky Gervais ha provato a dare una risposta in After Life, serie Netflix da lui scritta, diretta e interpretata, uscita sulla piattaforma sul finire del 2019.
Sei episodi, della durata media di 25-30 minuti, in cui il comico britannico vestiva i panni di Tony Johnson, un tempo allegro e spensierato giornalista ora costretto a fare i conti con la morte di sua moglie Lisa (Kerry Godliman), stroncata dal cancro. Un lutto che distrugge l'uomo nel profondo, spingendolo prima a tentare il suicidio per poi convincerlo a fare a meno di ogni qualsivoglia freno inibitorio, donandogli il “superpotere” di fare – e soprattutto dire – tutto ciò che gli passa per la mente.
Attraverso questo escamotage, lo show permetteva da un lato a Gervais di lanciarsi in battute cariche di quel cinismo che è da sempre il suo tratto distintivo, anche se qui depotenziato per aprirsi al grande pubblico; dall'altro di creare conflitti e dinamiche fra Tony e tutto il gruppo dei comprimari, composto dai colleghi del Tambury Gazette e da alcune figure che l'uomo incontra in questa nuova fase della sua vita. Ne è così uscita una serie breve ma intensa, meno aggressiva e pungente rispetto ai precedenti lavori del creatore di The Office ma decisamente più umana.
Un tratto, l'umanità, che si conferma alla base anche della seconda stagione di After Life, disponibile su Netflix dal 24 aprile – al momento senza doppiaggio in Italiano - e tranquillamente etichettabile come un "more of the same" della precedente, visto il suo ripetersi pedissequamente tanto nella forma quanto nel contenuto. Con qualche – purtroppo dolente – variazione.
Patteggiare con la morte
La serie riprende le fila della narrazione da dove le aveva interrotte un anno fa, con un Tony non ancora in grado di abbracciare la sua nuova condizione, ossessionato dal fantasma di Lisa – di cui continua ossessivamente a guardare i video sul suo pc – e incapace di legarsi a Emma (Ashley Jensen), l'infermiera addetta all'assistenza di suo padre Ray (David Bradley).
Qualcosa, in lui, è però cambiato. L'incontro con quest'ultima e le numerose chiacchierate al cimitero con la vedova Anne (Penelope Wilton) l'hanno portato a una fase successiva dell'accettazione del lutto: quella della convivenza e del patteggiamento con la morte. La rabbia e la negazione che avevano caratterizzato il suo animo nel corso della prima stagione lasciano qui il posto a un mutato approccio alla vita, molto più pacato e altruista del precedente.
Così, senza neanche accorgersene, Tony inizia lentamente ad aprirsi al mondo, smettendo di sbeffeggiarlo ma anzi provando a migliorarlo con piccole buone azioni finalizzate ad aiutare chi gli sta intorno.
Gervais porta dunque coerentemente avanti la storia del suo personaggio, incasellandola di momenti dall'alto tasso emotivo a cui è quasi impossibile rimanere indifferenti. Un “more of the same”, come già detto, ben gestito e dosato, che sa dove andare a colpire per far scaturire una reazione nello spettatore, sia essa un sorriso o una lacrima. Certo, l'effetto déjà vu è sempre dietro l'angolo, ma è proprio quando la serie prova ad aggirarlo che il castello di carte inizia a traballare.
Quando cambiare fa più male che rimanere se stessi
Se la prima stagione era totalmente Tony-centrica, i nuovi episodi di After Live cercano infatti senza troppa convinzione di dedicare tempo e spazio sullo schermo anche alle storie dei singoli comprimari dello show. Purtroppo, nessuno di essi riesce a reggere il confronto con la vicenda e il carisma del protagonista, finendo soltanto per appesantire il tono della narrazione e rendere alcune sequenze piuttosto pesanti da seguire.
Inoltre, per movimentare le vicende e creare nuove dinamiche, in questa stagione la serie accenna anche a una potenziale trama orizzontale, che vede il giornale locale per cui Tony lavora rischiare la chiusura. Un ostacolo, questo, che poteva sicuramente vivacizzare umori e dinamiche all'interno della redazione e che invece After Life finisce per liquidare repentinamente con un dialogo nell'arco di una puntata, utilizzandolo soltanto per introdurre l'ennesimo personaggio secondario a cui il giornalista finirà per dare una mano.
Nonostante la serie rimanga un prodotto di ottima fattura, nettamente più meritevole rispetto a tanti altri originali della piattaforma, a visione ultima si ha l'impressione che la seconda stagione di After Life non fosse poi così necessaria. D'altra parte, per come termina l'ultima puntata, è chiaro l'intento di rendere questo secondo blocco di episodi soltanto un intermezzo, un passaggio intermedio in vista di una maggiore evoluzione a cui assisteremo nella - probabile - terza stagione.
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