Negli ultimi dodici mesi Oscar, Palma e Leone d'oro sono andati a tre registe: tutte e tre nel loro discorso di ringraziamento o nelle interviste successive hanno citato come esempio e fonte d'ispirazione Jane Champion, un'apripista femminile e per troppo tempo una sorta di unicum registico nel mondo dei cineasti riveriti e amati. Da tempo Jane Champion non dirigeva un lungometraggio per il grande schermo, dal quel fulgido Bright Star che aveva commosso persino Quentin Tarantino. Nel frattempo ha sfornato una serie televisiva - Top of the Lake - considerata tra le migliori di sempre, giusto per capire il livello su cui si muove questa grandissima del cinema contemporaneo.
Il suo ritorno, brutale, sporco e western, ci riconsegna una grande regista che sembra vivere in perfetta armonia tra due estremi: quello di un animo con un sensibilità per l'impalpabile e il delicato e quello di un'amante di una certa brutalità su schermo, estetica e narrativa, che non teme di andare oltre i limiti e sopra le righe. Adattamento di un classico statunitense a firma Thomas Savage, Il potere del cane s'inserisce nella curiosa tradizione tutta veneziana di western che prendono a picconate il machismo stereotipico del genere, lasciando che passioni e sentimenti nuovi ne riscrivano le regole. Insieme a I segreti di Brokeback Mountain di Ang Lee e il sottovalutatissimo I fratelli Sisters di Jacques Audiard, Il potere del cane è uno western passato per la Mostra d'arte cinematografica di Venezia che un suo spazio nel genere se lo conquista a spallate.
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La trama di Il potere del cane
Così come nel film di Audiard, Il potere del cane ruota attorno al rapporto tanto profondo quanto teso tra due fratelli che vivono nel selvaggio West: i Sisters erano predoni, i Burbank sono allevatori di bestiame che, grazie al duro lavoro, sono riusciti a mettere insieme un piccolo impero. Educati a una morale religiosa e del lavoro rigidissima, Phil (Benedict Cumberbatch) e George (Jesse Plemons) non potrebbero essere più diversi di così. Il primo è intelligente, ricercato nelle letture e negli studi, acutissimo. Tuttavia la sua intelligenza e il gusto sono tutti dedicati a tormentare il fratello George, d'indole sentimentale e gentile, in netto contrasto alla brutalità e al machismo che Phil emana sempre intorno a sé.
Dopo anni di lavoro e vita simbiotica, George decide a sorpresa di sposarsi con Rose (Kirsten Dunst), una vedova locandiera con un figlio adolescente Peter, che studia medicina (Kodi Smit-McPhee). George riesce così a emanciparsi almeno parzialmente dal fratello, che scatena tutto il suo sadismo sulla moglie di lui. Quando Peter arriva al ranch, gli equilibri della guerra intestina tra Burbank diventano ancor più insondabili.
Il potere del cane: un film che puoi sentire e toccare
Anche i detrattori più accaniti del nuovo lungometraggio di Jane Champion concordano su un punto: il suo cinema ha una qualità assoluta, ovvero la capacità di stimolare i sensi, fino a farti sentire la polvere sul viso, le mani sporche di sangue bovino e il puzzo dei mandriani che sono si lavano da giorni. Merito della strepitosa fotografia di Ari Wegner, che trasforma la Nuova Zelanda in una credibile frontiera statunitense sul punto di cambiare per sempre. Uno dei nuclei narrativi cardine di Il potere del cane è proprio il contrasto tra il nuovo ordine che avanza e il vecchio che ne rimane strozzato.
La brutalità, la legge del più forte e il duro lavoro con il bestiame stanno lasciando via via spazio a una società ordinata da numeri e commerci spinti dal capitalismo statunitense. Un nuovo ordine che non si è ancora instaurato, ma che come un animale in pericolo il vecchio mondo di frontiera riesce a fiutare. Questi conflitti mai esplicitati eppure palpabili sono riassunti nel personaggio di Phil, il protagonista assoluto della storia: un uomo in cui convive una brutalità devastante e non esente dal peggior sadismo con una sensibilità artistica estrema, per cui lui stesso in primo luogo si disprezza e si punisce.
Pudore e ardore, che tentano di convivere insieme a un passato spesso rievocato e inconfessabile. Un ruolo tanto protagonista funziona alla grande con un attore che catalizza l'attenzione come Benedict Cumberbatch, coadiuvato da una Champion che ama riprenderlo e anche fargli un po' male.
Perché vedere Il potere del cane in sala
Cumberbatch ha raccontato di aver fumato senza sosta, di non essersi lavato per settimane e tutto quel corollario di fatiche che racconta chi è a caccia di un Oscar: a giudicare dal risultato finale (un ruolo nelle sue corde ma che smussa un po' il suo casting tipo), ne è davvero valsa la pena. In realtà è tutto il cast a dare il meglio di sé, anche ai margini e in ruolo apparentemente minori: vedasi Dunst, Piemons e soprattutto un luciferino e irresistibile Kodi Smit-McPhee.
L'unico tallone d'Achille di Il potere del cane è che fa tutto esattamente come vuole Jane Champion: il ritmo è sospeso, la trama allusiva, senza mai risposte concrete e con parecchi dubbi deliziosamente senza risposta. Preparatevi a un film lento, sottile, che diluisce le sue rivelazioni. Non è un titolo che vuole piacere a tutti, ma è una storia che vuole rendere omaggio a un grande autore e a un lato del western che palpita da tempo sotto la superficie del genere, in tanti film d'autore passati per i maggiori festival.
Il mio consiglio è di non aspettare l'arrivo in catalogo su Netflix e andare subito a vederlo al cinema: se c'è un film che vale la pena di vedere sullo schermo più grande che avete a disposizione, senza distrazioni, è davvero questo.
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Voto di Cpop
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