Le lettere battute a macchina sono un portale verso un altro tempo, quando le persone avevano rispetto per la parola scritta; così sbotta Lee Israel, protagonista truffaldina e miserabile di Copia Originale. Curiosamente è il film stesso a fungere da portale verso gli ultimi scampoli di un mondo fisico, tattile, cartaceo. I computer fanno già capolino ma sono enormi, squadrati, mentre i negozi pullulano ancora di macchine da scrivere e le scrivanie di cancelleria. C'è una qualità letteraria "di riflesso" in Can you ever forgive me che non potrà che far sospirare chi, anche segretamente, qualche libro cartaceo lo annusa, assaporando il fantomatico profumo della carta.
Eppure insieme a Vice - L'uomo nell'ombra è la pellicola candidata agli Oscar 2019 più sferzante, cinica, talvolta genuinamente cattiva. Copia originale fotografa il baratro umano in cui è precipitata la sua protagonista, descrivendo impietosamente le retrovie del mondo letterario newyorkese, che il cinema è abituato a descriverci come brillante e altolocato, o quantomeno intriso di puro genio. A ben vedere Copia originale non ha niente di dirompente, di nuovo con cui conquistare il pubblico. Di film che iniziano con "tratto da una storia vera" ne vediamo tanti ogni anno e non mancano certo quelli in cui "storia" equivale a "crimine", per quanto bizzarro, privo di sangue e letterario sia quello raccontato dalla stessa protagonista Lee Israel nel suo libro autobiografico.
Per fortuna di Marielle Heller, regista che si è già fatta molto notare con soli due film all'attivo, non c'è esattamente la coda negli studios per raccontare la storia di una donna fisicamente e caratterialmente sgradevole come Lee Israel. Già nel recensirvi Gloria Bell avevo sottolineato come nel cinema statunitense ci sia un vuoto pneumatico di storie con al centro donne over 40 e over 50, soprattutto se la loro vita non ruota attorno al matrimonio e alla maternità. Chi riconosce il potenziale narrativo di queste persone dimenticate dal cinema popolare ha per le mani una miniera d'oro e potenzialmente una pellicola fresca, ardita, inaspettata, per il solo fatto che storie del genere rimangono nell'ombra.
L'originalità della copia carbone
New York, 1991. La culla della commedie romantiche e della letteratura high brow statunitense raccontataci dal cinema americano sembrano lontane anni luce dalla vita di Lee Israel, biografa dalle fortune ormai passate e dalla vita squallida. Rinchiusa in un appartamento vecchio e invaso dalle mosche, mai troppo lontana dal suo fidato bicchiere di superalcolico, Lee tenta senza successo di lavorare a una biografia di un'artista ormai dimenticata del varietà statunitense, progetto che la sua agente le ha già scartato come privo di qualsivoglia appeal commerciale.
La vita di Lee è piena di risposte sferzanti e poverissima di fondi, tanto che non paga l'affitto da mesi e non riesce a curare la sua vecchia, amatissima gatta Jersey. Durante le sue ricerche per il libro Lee s'imbatte in due lettere originali dell'artista, piegate e riposte in un volume della biblioteca. Quando tenta di rivenderle scopre che il mercato del collezionismo letterario dei ricchi è avido di questo tipo di cimeli. Le lettere che ha ritrovato però sono dozzinali, poco rappresentative del carattere dello scrivente. Disperata, Lee aggiunge con la sua macchina da scrivere un post scriptum salace, che le frutta un bel gruzzoletto.
Di lì a breve la biografa Lee Israel trova non solo un modo per pagarsi l'affitto, ma anche un lavoro "creativo" che la fa sentire professionalmente realizzata: diventa creatrice di falsi d'autore. Grazie alla sua profonda conoscenza delle biografie e dei caratteri di dive e divini come Marlene Dietrich, Dorothy Parker e Francis Scott Fitzgerald, unitamente a una batteria di vecchie macchine da scrivere e qualche metodo furbo per falsificare le firme, Lee Israel crea oltre 400 lettere fasulle. Ad aiutarla c'è Jack Hock (Richard E. Grant), un fascinoso spiantato ex scrittore che, a differenza della donna, ci sa parecchio fare con le persone.
L'impresa truffaldina dei due è chiaramente destinata al fallimento, ma sarà l'occasione per Lee di guardare dentro tutto il suo dolore, abilmente occultato dalla sua innata capacità di imitare ogni persona, ogni modo di scrivere e ogni volte. Persino creando una copia sferzante e sempre sulla difensiva di sé stessa.
Melissa McCarthy e Richard E. Grant da Oscar
Non è sgradevole è il massimo grado di esclamazione entusiastica che si riesce a cavare da Lee Israel durante l'intera durata di Copia Originale. Melissa McCarthy fa un lavoro davvero encomiabile nel rendere intrigante il carattere scostante, ruvidissimo del suo personaggio; Lee Israel non è solo una truffatrice e una donna sempre pronta ad arraffare e fregare il prossimo. Il suo carattere è spesso odioso e sembra affetta da una forma gravissima di misantropia, preferendo l'amata gatta a qualsiasi interazione umana.
Heller comincia a raccontarcela da dentro la sua vita e il suo punto di vista ma pian piano, silenziosamente, cominciamo a guardarla con gli occhi di quanti le stanno attorno, quanti resistono alle sue brusche risposte. Il primo momento di rivelazione arriva come uno schiaffo, per lei e per noi. Quando John entra per la prima volta a casa sua, scopriamo che l'origine delle mosche che la infestano è solo da imputarsi alla trascuratezza di Lee, nemmeno consapevole dell'odore nauseabondo e dell'igiene scarsissima della sua stessa abitazione.
Anche John non è uno stinco di santo e anzi, sotto i suoi modi irresistibili di gay impenitente e libertino nasconde una superficialità e un egoismo che mette spesso in forse il bizzarro rapporto di amicizia sviluppato con la protagonista. Lee però occupa tutta la scena: un evento più unico che raro per una donna over 50, sovrappeso, antipatica, egoista, misantropa e genuinamente cattiva. Il crimine che commette le dà un bizzarro scopo nella vita. Oltre al benessere della sua gatta, quello che Lee sembra desiderare più di ogni altra cosa è una connessione col mondo arguto e dissacrante in cui vivevano le celebrità di cui forgia le lettere.
Io sono una Dorothy Parker migliore della stessa Dorothy Parker!
Così sbotta Lee, quando il film e la vita la mettono alle strette e ne smontano le difese. Anestetizzata da decenni di insuccessi, cattiveria e alcol, troviamo una donna incapace di affrontare il dolore umano e professionale passato, così accecata dalla disperazione da non vedere l'amore e l'amicizia nel presente. Quello di Copia originale insomma è un grande ritratto al femminile, che in maniera sommessa e silenziosa si dimostra decisamente più maturo e complesso di buona parte delle pellicole candidate quest'anno a Miglior film agli Oscar 2019. Categoria dove, per livello qualitativo, meriterebbe di militare molto più di almeno 3, 4 titoli nominati.
Basta vedere come il film approcci il tema dell'omosessualità (o per meglio dire, dell'orientamento queer) per capire che qui la scrittura è davvero su un altro livello. Il tutto è confezionato con un buon ritmo, grandi prove attoriali e una bella regia in soli 107 minuti. A riprova del fatto che chi sa cosa vuole dire e sa farlo bene non ha bisogno di minutaggi mostruosi per farsi capire.
Copia originale arriverà nelle sale italiane il 21 febbraio 2019.
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