A Denis Villeneuve si può contestare molto come realizzatore di Dune - che personalmente ho amato quasi senza riserve - ma non l'enorme coraggio di prendersi sulle spalle un progetto di questa portata, senza tradire l'opera originale e la propria visione in merito. In conferenza stampa a Venezia, il regista canadese ha rivelato di aver discusso a lungo con l'amico e collaboratore Hans Zimmer (compositore della colonna sonora) sulla possibilità di realizzare un sogno d'infanzia come quello di un adattamento di Dune, accarezzato per decenni, cresciuto insieme a lui come uomo e regista. Realizzare certi sogni può essere un'operazione pericolosa.
La prima cosa che Dune regala allo spettatore - un dono molto raro di questi tempi - è un blockbuster la cui missione primaria è quella di introdurre lo spettatore a un mondo narrativo di enorme complessità e non di fidelizzarlo. Dune sta alla giusta distanza, astenendosi da fanservice, adulazioni o facili semplificazioni per sedurre il pubblico. Anzi, gestisce al meglio (e quasi senza spiegoni) la grande quantità d'informazioni da veicolare al pubblico per ambientarsi su Arrakis, il pianeta cruciale per i destini della galassia e per il futuro del giovane protagonista Paul Atreides (Timothée Chalamet).
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Dune, una creature di Villeneuve
L'aspetto più impressionante di questo Dune, insieme alla sua gargantuesca e incredibile scala di grandezza, è la capacità di Villeneuve di mantenersi autentico rispetto alle riflessioni politiche ed economiche più complesse dello scrittore Frank Herbert, riuscendo al contempo a imporre la sua personalità al racconto e al film, che è palesemente un'opera di cui può rivendicare la paternità. Da grande romanzo barocco figlio degli anni '60, Dune diventa una creatura di Villeneuve, riflessiva e celebrale, capace di grande potenza ma senza mai alzare i toni.
Villeneuve non lascia indietro quasi nulla, anzi, calca la mano sugli aspetti più contemporanei di Dune come romanzo: il suo Arrakis è sin dall'apertura un territorio coloniale di conquista e sopruso, dove il giovane Paul si ritrova suo malgrado a fare i conti con un destino che sembra essere stato cucito per lui secoli prima dalle Bene Gesserit: è lui il messia atteso dalla popolazione locale, il Kwisatz Haderach per cui si pianificano nascite e incroci genetici da secoli, l'erede di un Duca che scatenerà una guerra a lungo frenata tra impero e grandi casate? Il primo film di un possibile ciclo potrebbe essere intitolato "la nascita di un leader", i cui i battesimi del fuoco e il cui ingresso nella vita adulta si è consumato in poche e drammatiche ore dal sapore "di lacrime e sudore".
Al fianco del protagonista c'è un cast di attori scelti con oculatezza (senza rinunciare al glamour hollydiano), sui cui spiccano in particolare Oscar Isaac come Duca Leto e una splendida Rebecca Ferguson nel ruolo di Lady Jessica, concubina del Duca e madre di Paul. Il suo ruolo femminile è cruciale per il presente e i futuro della saga e l'attrice si è dimostrata ampiamente in grado di gestirne la complessità insita nel ruolo di un'amante, una madre e una coadiuvatrice politica che agisce nell'ombra.
Un progetto faraonico, apprezzabile davvero solo in sala
La realizzazione di Dune è il motivo per cui andrebbe visto - se possibile - al cinema e ancor meglio su uno schermo IMAX dotato di un impianto audio di livello. Dune è un progetto di portata faraonica che incarna lo stato dell'arte cinematografica in ogni aspetto della sua realizzazione. Un compositore richiestissimo come Hans Zimmer ha lavorato per due anni alla composizione della colonna sonora, mentre il livello di dettaglio e coerenza visiva intriso in costumi, scenografie, effetti speciali e montaggio parla da solo della cura maniacale con cui i film stato girato.
Per me quindi Dune è una scommessa vinta, ma non lo è in maniera semplice o in grado di ottenere unanime plauso. Il film risulta divisivo nelle prime recensioni della stampa proprio perché Denis Villeuve ha dovuto fare una scelta radicale per portare in questo modo il romanzo su grande schermo.
Ha scelto il maggior grado di ricchezza possibile e per questo ha realizzato un grande indizio di qualcosa di là da venire. Nonostante il film abbia una durata importante, non può che inoltrarsi nella premessa della storia vera e propria, o appena poco più in là. Ce lo dice subito con quella scritta sotto il titolo "parte uno". Se la parte successiva non arriverà, questo film diventerà un gigantesco vicolo cieco.
In un universo alternativo c'è un Villeneuve che forse ha scelto di asciugare la storia, tagliare e semplificare, tirando fuori un unico film di tre e più ore, autonomo. In quest'epoca di franchise e serializzazione di ogni storia di successo, non bisogna troppo stupirsi, ma piuttosto sperare di poter presto tornare su Arrakis.
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Voto di Cpop
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