Il direttore della Mostra Barbera lo aveva annunciato sin dalla conferenza stampa di presentazione del programma: Il primo uomo, il nuovo film di Damien Chazelle ela sua terza regia presentata nel contesto veneziano, sarà profondamente diverso da La La Land. D’altronde un rigoroso biopic dedicato a Neil Armostrong, primo uomo che ha messo piede su suolo lunare, come potrebbe somigliare al musical diventato istantaneamente un classico?
Damien Chazelle fa parte di una generazione giovane rispetto al suo produttore Steven Spielberg, per cui per questioni anagrafiche l’allunaggio è un fatto storico e un dato di fatto. Eppure da bambino si stupì nel vedere in un museo una delle navette della missione Gemini. Quel velivolo di metallo lasciò una profonda impressione sul ragazzino: una scatola di latta viti e bulloni che a malapena possono contenere due persone riuscì a portare Armstrong & co nello spazio.
Un volto travagliato dietro la Storia
L’operazione di Il primo uomo sembra fuori tempo massimo, nonostante quest’anno ricorra l’anniversario dell’allunaggio. Negli scorsi decenni il cinema statunitense ha già ampiamente masticato a digerito la sua epica e quella delle missioni Apollo precedenti e successive, tra l’altro consumata in diretta TV mondiale già dal 1968.
Ci vuole quindi tutta la consumata bravura di Damien Chazelle per dare un senso a un film dal taglio così classico, a una storia così datata da rischiare pericolosamente di apparire fuori tempo massimo. Lontano dall’essere un film epocale o davvero impressionante, Il primo uomo celebra la capacità del suo creatore di essere al contempo profondamente contemporaneo con grandi immagini senza tempo per estetica e etica.
Il primo, più importante dato è che il suo ritratto di Neil Armstrong sfugge a ogni retorica patriottica. Non c’è celebrazione dell’uomo in quanto eroe, si applaude a malapena del traguardo epocale che viene raggiunto. Il primo uomo è una riflessione moderna, psicologica e talvolta critica della conta drammatica dei costi che questo sogno di raggiungere la Luna ha comportato. Costi pagati non solo in dollari di contribuenti ma anche in vite umane. Vite perdute, famiglie spezzate, con la politica e i discorsi relegati in un angolo, sulla TV, in tutta la loro incapacità di comprendere la spaventosa richiesta che quel sogno comporta.
Neil, ritratto di un eroe ombroso
Il Neil Armstrong di Chazelle non è il ritratto di un eroe nel bel mezzo di una sua battaglia verso il successo, anzi. È un profilo molto intimista e assai cupo di un uomo che - con i precedenti protagonisti della cinema di Chazelle - sublima tutto il suo non detto emozionale nel suo lavoro. A incarnarlo è un Ryan Gosling discreto ma incapace di raccontare fino in fondo l’abisso di sconforto in cui precipita un padre che perde la propria figlia, un pilota che vede morire in modo atroce i suoi colleghi e amici.
A sostenere il film non è neppure Claire Foy o gli ottimi comprimari, relegati in ruoli di seconda fascia, obbligati a non adombrare col proprio il dolore dell’astronauta. È la regia di Chazelle a troneggiare quasi da protagonista, che affronta lo spazio memore della lezione di Gravity. Grazie a una colonna sonora davvero strepitosa firmata da Justin Hurwitz (storico collaboratore musicale del regista), Chazelle riesce davvero a raccontare alle generazioni per cui l’allunaggio è un fatto storico come tanti quanto sia un frutto (fortuito e fortunato) di una serie di salti nel vuoto.
Il film è costituito da una lunga, cupa sequenza di errori madornali, dell'audacia di uomini pronti a chiudersi in quelle piccole scatole di latta per ampliare gli orizzonti dell’umanità, col rischio di perdersi nel nulla oscuro dello spazio o della disperazione.
Il primo uomo arriverà nelle sale italiane il 31 ottobre 2018.
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