3 difetti che rovinano L’Estate in cui imparammo a volare di Netflix

La serie, per certi versi, è godibile ma i salti temporali e il modo in cui vengono gestiti rovinano per intero la visione restituendoci un prodotto dalla confezione "cheap".

Autore: Simone Rausi ,

Ha conquistato la vetta della top 10 di Netflix e ha ricevuto pareri entusiasti sui social. L’Estate in cui imparammo a volare il volo lo ha preso sul serio, ma è sulla lunga distanza che si vede la differenza tra aquile e passerotti e la serie Netflix con Katherine Heigl dimostra di che pasta è fatta già alle prime puntate.

Il dramedy che racconta l’amicizia di due donne attraverso i decenni può essere per certi versi godibile e le due attrici non sono affatto male, specie Sarah Chalke che ruba la scena più volte alla star di Grey’s Anatomy ma, alla fine di tutto, quel che resta è una confezione “cheap”, un prodotto che poteva dare di più, una serie da “è brava ma non si impegna”.

Tutto poteva essere realizzato meglio, dalle storyline a – soprattutto – la qualità visiva, ma sono principalmente tre i difetti che abbassano di parecchio la caratura della serie offrendoci la percezione di una costruzione “posticcia” e un po’ buttata via.

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Il trucco nei salti temporali

L’Estate in cui imparammo a volare è stato definito il This is Us di Netflix, ma ci vogliono molto più di semplici linee temporali per arrivare a quel livello. La serie ci mostra le vite di Tully e Kate in tre diversi archi narrativi: l’adolescenza, gli anni immediatamente successivi a quelli del college, e il presente quando le due sono donne di mezza età. Se è vero che per la versione scolastica si è optato per due attrici molto giovani, le Tully e Kate di 20 e 45 anni sono praticamente identiche. U

n taglio di capelli diverso e dei vestiti con le spalline anni '80 dovrebbero bastare per farci sembrare due attrici di vent’anni più giovani e, per quanto le due siano in forma, l’espediente non è affatto credibile. Nulla a che vedere con la Rebecca di This is Us che viene invecchiata a regola d’arte. Qui il percepito finale è che si sia risparmiato parecchio sul reparto trucco e parrucco.

La fotografia e i colori forzati

Per accentuare ulteriormente i tre decenni differenti in cui la storia si muove, L’Estate in cui imparammo a volare ha ben pensato di utilizzare tre differenti esperienze visive. Ma, in questo caso, tutto è eccessivo e tirato.

Negli anni in cui le due protagoniste vanno a scuola tutte le immagini sono permeate di un giallo brillante che, da una parte, dovrebbe evocarci un effetto vintage da carta ingiallita e dall’altra dovrebbe condurci nell’atmosfera delle campagne assolate in cui si muove il racconto dell’adolescenza. Il risultato è quasi fastidioso agli occhi, specie quando poi si scontra con i colori freddi e la fotografia pulita della storia contemporanea.

Personaggi bidimensionali

Le due sono degli stereotipi parlanti. A Sarah Chalke – a cui tocca la parte della secchiona emarginata - hanno messo degli enormi occhialoni e dei maglioni infeltriti che dovrebbero così nascondere l’aspetto da bionda top model che in effetti ha. La Heigl adolescente, al contrario, è una bad girl un po’ ribelle quindi vai di trucco e pesante e vestiti corti.

Il risultato appiattisce due personaggi in una confezione bidimensionale e priva di sfumature attraverso trucchetti che andavano bene per un teen movie anni novanta.

Un gran peccato perché l’Estate in cui imparammo a volare poteva avere i presupposti per diventare uno dei titoli bandiera di Netflix. E chissà che, alla fine, visto il gradimento di una parte di pubblico, non lo diventi davvero. Nonostante tutto.

Commento

Voto di Cpop

55
Una "comfort-story" in cui due attrici abbastanza brave vengono schiacciate da stereotipi, trucco posticcio ed espedienti poco credibili. Godibile a tratti ma confezionato male. Peccato.

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