Noi qui abbiamo a che fare con una macchina perfetta. Una macchina divoratrice di uomini, un vero miracolo dell'evoluzione, e questa macchina non fa altro che nuotare, mangiare, e produrre piccoli squali, tutto qui!
Nel film Lo Squalo (1975) l'oceanografo Matt Hooper (Richard Dreyfuss) usa queste parole per dare una definizione sintetica ed efficace del grande squalo bianco. Ma sull'isola di Amity, Hooper, il capo della polizia Martin Brody (Roy Scheider) e il cacciatore di pescecani Quint (Robert Shaw) avevano a che fare con semplice squalo bianco lungo solo nove metri e del peso di poco più di tre tonnellate.
Gli squali sono, a modo loro, animali preistorici. Da un punto di vista evolutivo risultano pressoché invariati da ormai settanta milioni di anni, ce lo confermano i fossili, eppure per nostra fortuna uno di loro è uscito sconfitto nella spietata partita contro l'evoluzione estinguendosi almeno due milioni di anni fa. O forse quella partita non è finita così male per lui?
- Il Carcharodon megalodon, o Megalodonte
- Ipotesi di un'estinzione mancata
- Avvistamenti più importanti
- Il (finto) documentario di Discovery Channel
- Nuove rivelazioni dagli studi ufficiali
Il Carcharodon megalodon, o Megalodonte
Decine di milioni di anni fa gli oceani fa erano molto diversi da come sono ora e se sulla terraferma imperversavano gli enormi rettili che John Hammond sognava di riportare in vita nel suo #Jurassic Park, i mari ospitavano creature tanto grandi quanto letali. Il re degli squali, il predatore marino più letale e vorace di quel periodo, era il famigerato Megalodonte.
Lungo fino a 18 metri (stando alle attuali stime) e capace di pesare diverse decine di tonnellate, doveva mangiare un un quinto del proprio peso in cibo per sopperire alle sue spropositate esigenze alimentari e questo lo rendeva il principale responsabile dell'equilibrio nell'ecosistema marino. Dopo la sua scomparsa, per dare un'idea di quanto impattasse con tutto ciò che lo circondava e quanto fosse vorace come predatore, le dimensione delle balene sono cresciute. Ma come era fatto il Megalodonte (o come lo ha ribattezzato Steve Alten nei suoi romanzi, MEG)?
Il MEG, come tutti gli squali, aveva una struttura ossea piuttosto ridotta: denti e vertebre, in sostanza, mentre tutto il restante apparato scheletrico (per così dire) era composto da cartilagine. Questa particolarità spiega i pochi resti capaci di conservarsi attraverso lo scorrere dei millenni e la conseguente ambiguità sulla sua vera forma e sulle sue reali dimensioni. Denti e vertebre: ecco tutto ciò che abbiamo del Megalodonte.
Sono denti e vertebre perciò, oltre alla parentela del MEG con il Carcharodon carcharias (il comune squalo bianco), a suggerirne la forma più accreditata: quella di un enorme squalo bianco (il più grande mai avvistato supera di poco i sei metri, qui parliamo di un pesce lungo il triplo), più tozzo, con denti lunghi una ventina di centimetri e un'apertura mandibolare in grado di inghiottire un piccolo automezzo.
Il MEG, come i grandi squali bianchi, non era particolarmente coraggioso e aggrediva le sue prede di sorpresa, preferibilmente attaccandole dalle profondità abissali o investendole con violenza usando poi i formidabili denti per spezzare ossa e tritare carne. In più esistevano veri e propri vivai, riserve di caccia perlopiù costiere, dove i piccoli di Megalodonte potevano cacciare protetti e indisturbati fino al raggiungimento dell'età adulta.
Cosa ha potuto fermare una macchina di morte così perfetta che si trovava in cima alla catena alimentare? Variazioni climatiche, molto probabilmente. Un raffreddamento degli oceani che da un lato ha ridotto la riserva di caccia del MEG, frequentatore abituale della calde acque tropicali, e dall'altro ha portato alla morte delle grandi e lente vittime a cui era abituato lasciando solo veloci e inafferrabili prede come potenziale nutrimento.
Il seggio vacante sulla vetta della catena alimentare è poi stato rimpiazzato dai grandi squali bianchi che, a oggi, lo occupano in modo permanente. O non è davvero così?
Ipotesi di un'estinzione mancata
L'idea di una creatura degli abissi inarrestabile e capace di inghiottire una mezza dozzina di persone in un sol boccone, non poteva non affascinare il mondo della narrativa fantastica. Nel 1997 lo scrittore di fantascienza Steve Alten ipotizzò che alcuni Megalodon fossero riusciti a sopravvivere intrappolati nella Fossa delle Marianne da uno strato di acqua gelida per loro impossibile da superare. Uno di questi, una femmina grande e aggressiva, riuscì nel romanzo a farsi largo tra il gelo degli abissi utilizzando la carcassa di un maschio e il suo caldo sangue per sopravvivere al freddo e raggiungere la superficie.
Ma non è solo la letteratura fantastica ad aver teorizzato che il MEG possa essere ancora vivo da qualche parte. Nel 1875 il vascello della Corona HMS Challenger rinvenne alcuni denti di Megalodonte nei pressi di Thaiti. Le analisi di questi reperti, per quanto controverse, datarono i resti dello squalo tra i 24 mila e gli 11 mila anni fa: molto vicino ai giorni nostri, ben più vicino dei milioni di anni fino a quel momento supposti e certificati dagli altri fossili.
In più il ritrovamento nel 1938 di un Celacanto vivo, pesce preistorico in teoria scomparso 60 milioni di anni fa, ha eccitato ancor di più gli scienziati: se quel pesce creduto estinto è in realtà ancora vivo, perché non potrebbe esserlo il MEG? Gli abissi sono in grado di mantenere segreti per molti millenni e forse il MEG è uno dei più grandi misteri che ancora nascondono. Ma se davvero il Megalodonte è sopravvissuto, possibile che nessuno lo abbia mai avvistato?
Avvistamenti più importanti
Il leggendario mistero del Megalodonte ha attraversato i secoli e tutt'ora gli avvistamenti che lo riguardano sono molto controversi e di certo discutibili. Il ritrovamento dei denti di MEG dal parte del Challenger e la datazione di quei reperti ha rinverdito il mito dello squalo preistorico tanto da aver catalizzato gli avvistamenti che lo riguardano: scopriamo insieme, tra leggenda e verità, i più importanti.
Nel 1918 il naturalista australiano David Stead raccolse la testimonianza di un gruppo di pescatori che si rifiutavano di tornare in mare dopo l'avvistamento di uno squalo mostruoso che li aveva aggrediti demolendo il loro equipaggiamento. Si trattava di veri lupi di mare, abituati ad avere a che fare con balene e grossi squali bianchi ma ciò che raccontarono aveva dell'incredibile: uno squalo enorme le cui dimensioni andavano dai 35 ai 90 metri, completamente bianco, capace di una furia distruttiva senza pari.
Negli anni '60 i marinai di una nave lunga più di venti metri, mentre gettavano l'ancora per delle riparazioni nei pressi della barriera corallina australiana, raccontarono di essere stati affiancati da uno squalo lungo almeno quanto la barca stessa. Il capitano, un esperto uomo di mare, confermò allo scrittore B. Clay Cartmell il loro racconto escludendo categoricamente si potesse trattare di una balena: impossibile confondere i due animali tra loro.
E di recente? Qualcuno ha avvistato il temibile Megalodonte? Con l'introduzione delle nuove tecnologie e con la conquista dei mari i segreti che gli abissi possono nascondere diventano sempre meno. Per questo, forse, i presunti avvistamenti del MEG si sono decisamente fatti più radi e soprattutto meno convincenti.
Nel 2009 la trasmissione televisiva Monsterquest ha esplorato il Mare di Cortez alla ricerca del Megalodonte. Quel tratto di acque californiane, famoso per ospitare squali bianchi ben più grandi della media, poteva forse nascondere il MEG? A parte una scarsa e anomala popolazione di balene e altri mammiferi acquatici però, non ci sono stati veri e propri avvistamenti del Megalodonte anche se secondo i ricercatori quelle potrebbero essere le acque a lui più congeniali.
Nei pressi dell'Isola di Bird, nel 2012, alcuni pescatori locali hanno testimoniato la presenza di uno squalo lungo almeno dodici metri, taglia irraggiungibile da un comune squalo bianco. Al loro racconto si è aggiunto quello di un altro pescatore sud africano il quale ha raccontato di aver visto, da giovane, un grande squalo lungo quasi dieci metri. Gli squali, e come loro i Megalodonti, sono animali molto longevi: si tratta forse dello stesso pesce avvistato a distanza di anni? E potrebbe essere il famigerato MEG?
Il fascino del re dei predatori dei mari ha però anche un lato oscuro che porta il sempre più attuale nome di fake news.
C'è per esempio, la leggenda di Sottomarino, un grande squalo che tra gli anni '70 e gli anni '90 avrebbe infestato le acque di False Bay, in Sud Africa. Molte testimonianze, pochi fatti concreti per quello che alla fine, forse, poteva essere solo un grande squalo bianco, e nemmeno così grande come i giornalisti lasciavano intendere. Sottomarino si è rivelato essere una pura invenzione della stampa che aveva organizzato una sorta di esperimento iniettando falsi avvistamenti tra l'opinione pubblica, un anno dopo l'altro, tanto che la leggenda di Sottomarino ha vissuto per più di vent'anni autoalimentandosi. Un mostro di Loch Ness in versione marina.
Ma la mistificazione suprema è arrivata sottoforma di una docu-fiction dal titolo Megalodonte: la Leggenda degli Abissi che, pur essendo falsa, ha attirato con astuzia l'attenzione di migliaia di persone.
Il (finto) documentario di Discovery Channel
Il 5 aprile del 2013 una barca con a bordo quattro persone affondò a largo di Città del Capo, i passeggeri dispersi: unica prova un filmato che testimoniava un qualche tipo di aggressione da parte di una creatura marina. Una balena emersa improvvisamente dall'acqua era finita sulla piccola imbarcazione? O qualcosa di più antico e pericoloso?
Il mokumentary Megalodonte: la Leggenda degli Abissi, trasmesso da Discovery Channel nel dicembre 2013, partiva da questo tragico incidente per iniziare una lunga ricerca con lo scopo di rivelare finalmente la possibile esistenza del Megalodonte. Una regia accattivante, molte testimonianze realizzate ad arte, foto storiche riadattate all'occorrenza e qualche strizzata d'occhio a leggende come quella di Sottomarino: ecco la ricetta perfetta per una delle più grandi mistificazioni da intrattenimento naturalistico mai messe in scena.
Da un punto di vista narrativo il documentario è un piccolo gioiello: stuzzica la grande curiosità che da sempre l'uomo ha per i grandi predatori marini e conduce per mano lo spettatore verso l'agghiacciante ipotesi che davvero il Megalodonte possa ancora aggirarsi per gli oceani anche se non si spinge mai ad affermarlo in modo deciso e alcune informative suggeriscono che tutto possa trattarsi di una elaborata ma non veritiera ricostruzione. Seppur si tratti di un falso, è di certo un falso che fa di tutto per essere il più realistico possibile.
Perciò, del MEG non c'è davvero traccia nei nostri oceani?
Nuove rivelazioni dagli studi ufficiali
Tutti gli studi e le valutazioni più recenti sembrano andare in una sola direzione: anche se non è possibile escludere in modo definitivo che il Megalodonte possa essere sopravvissuto per milioni di anni senza essere mai avvistato, gli indizi sembrano suggerire che sarà possibile vederlo sono al cinema (con Shark - Il Primo Squalo). Le grosse dimensioni renderebbero per lui difficile passare inosservato e inoltre gli oceani attuali sono molto diversi da quelli preistorici: animali acquatici più piccoli renderebbero la caccia del MEG molto più difficile di come era milioni di anni fa.
A differenza del Celacanto poi, il Megalodonte era diffuso in tutti gli oceani perciò sarebbe per lui impossibile nascondersi come invece era accaduto per il pesce preistorico ritrovato nel 1938.
A chiudere la porta al MEG poi sono i forti dubbi sulla datazione dei fossili ritrovati dall'HMS Challenger: quella valutazione potrebbe molto ragionevolmente essere falsata sia dalle tecniche impiegate, sia dallo slittamento del fossile verso una zona cronologicamente più recente.
Insomma, se un fossile di 11 mila anni fa poteva lasciare qualche speranza, una manciata di milioni di anni sono davvero troppi anche per il re dei predatori: potete fare bagni tranquilli!
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