Ho la fortuna di possedere la prima edizione italiana di Mindhunter, il libro di John E. Douglas: l'agente dell'FBI a cui dobbiamo la moderna scienza del profiling.
Nato a Brooklyn nel giugno del 1945, John Edward Douglas viene universalmente riconosciuto come il primo profiler esperto di serial killer, ovvero il primo esperto che si è concentrato sulla realizzazione di un profilo, stilato sulla base delle informazioni raccolte sulla scena del crimine, con lo scopo di individuare un identikit psicologico (ma non solo) che permettesse di catturare gli assassini seriali.
L'Unità di Scienze Comportamentali dell'FBI venne costituita proprio per far sì che il rivoluzionario approccio di Douglas alle indagini sui crimini ottenesse le risorse necessarie a svilupparsi.
Con lo scopo, perfettamente raggiunto, di cambiare per sempre l'approccio alle indagini sugli omicidi.
Mindhunter. La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano
La serie Mindhunter è ispirata al libro Mindhunter. La storia vera del primo cacciatore di serial killer americanoMindhunter: La storia vera del primo cacciatore di serial killer americano
Il romanzo di John Douglas, l'uomo che ha inventato il Criminal Profiling dell'FBI e che ha dovuto confrontarsi con le più atroci menti criminali del suo tempo.In Mindhunter - firmato da Douglas insieme a Mark Olshaker (e seguito da un altro grande successo editoriale, Caccia nelle tenebre – Una vita sulle tracce dei serial killer) - c'è il resoconto puntuale della vita lavorativa e privata dell'uomo che nessuno, all'inizio, prendeva sul serio. A eccezione del collega Robert Ressler.
Giudicato troppo serioso e "fissato" sugli aspetti psicologici dei crimini, aspetti che oggi sappiamo essere determinanti, John Douglas non ebbe vita facile. La sua era una lotta contro il tempo per catturare i criminali di cui riteneva di aver identificato il profilo, ma era anche una lotta contro lo scetticismo, la burocrazia e il vecchio modo di fare di agenti federali e poliziotti.
Grazie al suo lavoro - Douglas avrebbe diretto per 15 anni l'Unità di Scienze Comportamentali - le autorità di tutto il mondo ottennero nuovi punti di vista, nuovi strumenti e nuove strade per le loro indagini. Sia per quelle in corso che per quelle che erano rimaste irrisolte o, ancora peggio, erano state chiuse con la cattura del colpevole sbagliato.
Perché sono proprio gli errori, in una nazione in cui all'epoca solo un ragionevole dubbio faceva la differenza fra la condanna a morte e la vita del condannato, lo scoglio più grosso che Douglas deve affrontare.
Soli contro tutti: Holden Ford e John Douglas
Provate a pensarci: siete i primi ad applicare al metodo investigativo gli studi di psicologia e psichiatria. Siete pionieri nel campo. Studiate la materia e la arricchite con la vostra esperienza nel campo, ma siete soli: dovete dimostrare di essere credibili. Dovete ottenere risorse, fiducia, tempo.
Ed è proprio ciò che fa l'agente Holden Ford (Jonathan Groff, Glee) nella prima stagione di Mindhunter, la serie TV di Netflix che dal titolo del capolavoro di Douglas prende il nome e sul suo autore costruisce uno dei due protagonisti.
I primi episodi, con le geniali intuizioni che rivoluzioneranno la storia dell'FBI, ci mostrano Holden mentre affronta colleghi, superiori e agenti di altri dipartimenti pronti a ridergli in faccia. Ma poco alla volta, un passo dopo l'altro, girando le stazioni di polizia per mettere a disposizione degli agenti le sue intuizioni, Holden trova sempre più credibilità.
E accesso alle interviste con i più sanguinari assassini seriali nella storia degli (allora: siamo negli anni '70) Stati Uniti.
La credibilità di Holden e del suo collega Bill Tench (Holt McCallany, Blue Bloods), insieme al contributo della dottoressa Wendy Carr (Anna Torv, Fringe), cresce tanto che, nella seconda stagione, all'avvento del nuovo capo l'approccio di Holden ottiene moltissimo: spazi, risorse, ma soprattutto la fiducia di un superiore che può fare la differenza.
Due aspetti della stessa storia
Mindhunter si divide quindi in due sezioni, che corrispondono alle due stagioni finora prodotte, e tanto apprezzate dal pubblico: l'introduzione al nuovo metodo d'indagine - con tanto di discorsi per l'epoca molto scomodi sul frequente movente sessuale dei serial killer - e l'applicazione pratica di quel metodo, con la messa in scena di un caso reale (e le dovute esigenze di drammatizzazione) in un'Atlanta che volle chiudere il caso senza lasciare alla squadra dell'UCV (la BAU nella versione originale: sì, la squadra di #Criminal Minds) e colleghi il tempo di verificare il numero delle vittime.
Anche Thomas Harris, l'autore de Il silenzio degli innocenti, s'ispirò al lavoro di Douglas ambientando la sua storia proprio all'interno della BAU. Contribuendo a celebrare l'importanza del metodo di John Douglas e basando su di lui la figura di Jack Crawford (Scott Glenn), il capo dell'agente Sterling (Jodie Foster).
Nel suo libro Mindhunter, Douglas segue in parte le due sezioni narrative che ritroviamo nella serie TV di Netflix.
Da un lato ci racconta il lato pratico delle indagini, la lotta contro il tempo, la fatica di farsi dare ascolto e di indirizzare gli agenti delle stazioni di polizia locali dei vari luoghi d'indagine verso il suo approccio. Dall'altro ci parla del suo rapporto personale con i serial killer che intervistava e visitava in carcere per mettere a punto il suo metodo, degli incubi, dello stress e dell'orrore scaturito da omicidi che l'avrebbero perseguitato per tutta la vita.
Sono infatti gli agenti operativi, e non i profiler, come accade invece in Criminal Minds, a compiere la maggior parte delle ispezioni e delle azioni sul campo. I profiler lavorano a un costante aggiornamento del profilo, sulla base di ogni singolo nuovo indizio raccolto su ogni nuova scena del crimine.
Vi si recano spesso, per esaminarla di persona, e capita che si trovino coinvolti in qualche inseguimento, come racconta lo stesso Douglas in tutti i suoi libri.
Ma non sono supereroi. Non sono scienziati in grado di interpretare i pensieri dei loro avversari criminali e al tempo stesso supereroi pronti a catturarli di persona.
Esseri umani
No. John Douglas, ed è questo il segreto del suo libro ma anche della serie che ne è stata ispirata, è sì un geniale investigatore, ma è soprattutto un uomo.
Un uomo che, come chiunque altro - fatta eccezione per i sociopatici che studia - resta sconvolto di fronte alla crudeltà di cui gli essere umani sono capaci.
Azione, suspense, approfondimento psicologico, innovazione fatta sul campo, caso dopo caso: gli stessi elementi che hanno fatto il successo di Mindhunter e dell'omonima serie sono gli elementi che hanno caratterizzato la vita di un uomo straordinario.
Un uomo che ha messo la propria vita, la propria salute mentale, la propria umanità al servizio di una causa nella quale credeva. Una causa che ha cambiato il mondo, rendendolo più sicuro.
Ma anche più spaventoso, al tempo stesso. Perché, per catturare i mostri, John Douglas ci ha insegnato a entrare nelle loro menti... Dopo averlo fatto egli stesso.
Finendo colpito da un'encefalite acuta, causata dall'affaticamento per il suo lavoro incessante, quando aveva appena 38 anni.
Non fu un episodio isolato: tante altre volte, Douglas avrebbe pagato personalmente - in salute e in reputazione - la sua crociata contro il male.
L'avrebbe fatto, ancora e ancora, perché il suo lavoro non poteva permettersi pause: un ritardo nell'elaborazione del profilo e nel suo aggiornamento avrebbe significato altre vittime.
Altre vite umane stroncate da qualcuno che, fino a prima dell'arrivo di John Douglas, era l'uomo nero. E che, dopo la sua rivoluzione, diventò un nemico non più invincibile. Un uomo.
Uomini e mostri
Non più un mostro ma un essere umano, come chi gli dava la caccia, e quindi capace di commettere errori.
Ted Bundy, il caso è noto, venne fermato da una pattuglia perché aveva un fanalino dell’auto rotto. Il suo profilo, elaborato dalla BAU, risultò perfetto. Ma non fu sufficiente a fermarlo: arrestato, riuscì a fuggire e uccise altre ragazze.
A dimostrazione, come in tanti altri casi, da Dahmer a Gacy, che solo l'unione della scienza comportamentale con i tradizionali metodi d'indagini (sempre più rapidi ed efficaci grazie al progresso tecnologico) possono fare la differenza. Ma anche a dimostrazione di come la base di partenza sia sempre la stessa: un profiler in grado di collegare le vittime, d'identificare un modus operandi, di tracciare il profilo di un mostro, restringendo il campo delle ricerche.
Un cacciatore di menti. John Douglas. L'uomo che per primo intervistò David Berkowitz, noto come il figlio di Sam, Charles Manson, Ted Bundy, Edmund Kemper, Richard Speck e tanti altri.
Facendo tesoro degli orrori che loro gli raccontavano, finendo per esserne perseguitato ogni notte al fine di far sì che i loro successori venissero identificati e catturati il prima possibile.
A costo della sua stessa vita privata. A costo della propria salute. Per cambiare il mondo...
Come continua a fare anche oggi, a 74 anni, con i suoi libri e le sue consulenze (celebre quella sul caso di Amanda Knox, che lo vide schierarsi a favore dell'assoluzione della Knox per l'assenza di prove decisive... Le prove che egli stesso aveva contribuito a creare come inconfutabili e che, magari, sul luogo del delitto di Meredith Kercher solo John Douglas avrebbe potuto raccogliere...).
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