Quentin Tarantino non è certo un regista da mezze misure: o lo si ama alla follia oppure lo si detesta profondamente. Il cineasta nato a Knoxville, Tennessee, il 27 marzo del 1963 è un acclamato myth maker che nel corso degli anni ha dato vita a icone sanguinarie e borderline.
Visto sempre con un certo sospetto dalla critica, il re del pulp è un ibridatore di generi e di forme della cultura di massa, fautore di un cinema "cannibale" che si ciba di classici d'autore e b-movie. Solo all'apparenza ludico e plagiatorio, il cinema di Tarantino è capace di dosare con efficacia contemplazione e azione, polvere (da sparo) e sangue, pallottole e lame affilate.
Sceneggiatore eccelso ancor prima che regista virtuoso, l'autore di The Hateful Eight ama la narrazione per ellissi: punta spesso sullo scarto narrativo e predilige la sceneggiatura cosiddetta "esplosa", ovvero il rifiuto della struttura drammaturgica classica in favore dell'utilizzo di sequenze non cronologiche e del ricorso all'espediente delle scatole cinesi (prova ne è la distonia tra fabula e intreccio ammirata in Pulp Fiction).
Il mondo del filmaker americano è popolato di figure la cui superficie estetica viene sempre esaltata (a scapito della profondità): gangster, pistoleri e soldati sono protagonisti di dialoghi prolissi e ossessivi, finalizzati a far emergere ironia e nonsense. Escamotage come lo "small talking" (il discorso sulle mance e Like a Virgin de Le Iene oppure quello sui cheeseburger di Pulp Fiction) e il "code-switching" (ampiamente sfoggiato in Bastardi Senza Gloria) divengono strumenti per filosofeggiare tout court.
Inquadrature ricorrenti - su tutte il p.o.v. cieco esaltato dal grandangolo (ripresa dal basso verso l'alto, come nel caso del portabagagli di un'auto) - ed elementi iconografici tramandati da film a film (ad esempio la katana, utilizzata da Bruce Willis in Pulp Fiction e poi arma prediletta di Uma Thurman in Kill Bill) sono il marchio di fabbrica di Tarantino, il quale finisce sempre per innaffiare di sangue le proprie pellicole, sopperendo all'horror vacui con oscenità e splatter.
Ho stilato la classifica dei film di Quentin Tarantino, dal migliore al peggiore (si fa per dire).
- Pulp Fiction
- Le Iene
- Kill Bill
- Bastardi senza gloria
- The Hateful Eight
- C'era una volta a... Hollywood
- Django Unchained
- Jackie Brown
- Grindhouse - A Prova di Morte
1 - Pulp Fiction
Cheeseburger, massaggi ai piedi, frappè da 5 dollari: attorno a questo caleidoscopio di temi futili ruotano dialoghi divaganti, che esulano dalla trama e che non sono mai funzionali al procedere dell'azione. Il loro scopo è quello di dare risalto al nonsense, di spiazzare lo spettatore, il quale osserva sul grande schermo personaggi che prima vomitano parole e subito dopo proiettili, come se nulla fosse. Con la sua struttura narrativa a blocchi che si intersecano in continui salti temporali, separati da dissolvenze e da titoli introduttivi, Pulp Fiction, tramite la disarticolazione dell'intreccio e la presenza nel racconto di MacGuffin disseminati qua e là, disorienta lo spettatore, ostaggio di una sceneggiatura scandita da un killer che deve uscire con la ragazza del boss, un pugile che vince un incontro truccato che dovrebbe invece perdere e da una rapina in un fast food.
A completare l’opera ecco un valzer di personaggi cult che basterebbero a riempire tre film, una valigetta di cui non sapremo mai il contenuto accecante e il biblico discorso "Ezechiele 25-17". Tarantino si impadronisce di schemi e strutture dei film di gangster orientali, ricicla motivi e figure già viste altrove e stravolge così il cinema: l'impossibilità di identificazione da parte dello spettatore con i protagonisti, l'estetica da cartoon della pellicola e una certa anarchia narrativa rendono Pulp Fiction il capolavoro di Tarantino. Un film ridotto a pura superficie estetica, amorale e violento.
2 - Le Iene
L'esordio di Tarantino è di quelli col botto. Veloci panoramiche da un personaggio all'altro (come per Godard) introducono i gangster, riuniti attorno al tavolo di un fast food intenti a chiacchierare del più e del meno (il significato di Like a Virgin di Madonna, il dovere di lasciare la mancia). Il regista di Kill Bill confeziona una pellicola a metà strada tra l'heist movie e i film di gangster orientali. Ma se il sangue e le pistole non tardano ad entrare in scena, la rapina è la grande assente del film. Non viene praticamente mai mostrata, solo raccontata dai protagonisti, fuggiti all'interno di un deposito abbandonato. Tarantino guarda al Kubrick di The Killing e omaggia spudoratamente, ai limiti del plagio, il cinema orientale (il film è quasi un clone di A Better Tomorrow di John Woo). Le Iene procede attraverso flashback, hit irresistibili, humour caustico e una violenza che colpisce lo stomaco dello spettatore.
3 - Kill Bill
Riti di iniziazione, duelli western consumati però con lame affilate, coreografie di morte e sangue. Kill Bill è una delle vette stilistiche di Quentin Tarantino, che, tra una strizzata d'occhio ai kung fu movies orientali e il riciclaggio delle musiche di Ennio Morricone, narra la lucida e metodica vendetta della Sposa (una sontuosa Uma Thurman, stretta in una tuta gialla appartenuta negli anni '70 a Bruce Lee). Uno dei soggetti classici del cinema - il tema della vendetta - viene stravolto dal cineasta di Knoxville, abile nel confondere e stordire lo spettatore attraverso continui flashback, nobilitando così un genere, quello dei film di arti marziali, considerato da sempre minore.
4 - Bastardi Senza Gloria
Un film cult già grazie alla sequenza iniziale, un blocco di 21 minuti con l’azione ridotta ai minimi termini: un campo lungo su una fattoria francese e in sottofondo Per Elisa di Beethoven, tema musicale che, sottilmente, fa presagire l’invasione tedesca in terra transalpina. Difatti le S.S. del colonnello Hans Landa (Christoph Waltz) - un villain spietato, erudito e poliglotta - sono a caccia di ebrei nella tenuta dei La Padite. Bastardi Senza Gloria rispecchia la volontà di Quentin Tarantino di fuoriuscire dall'autoreferenzialità per guardare invece alla Storia. La pellicola altro non è che un pittoresco gioco al massacro in cui tutti vogliono eliminare tutti: Aldo Raine (Brad Pitt, baffi da damerino, coltello alla Rambo e guance degne del padrino di Marlon Brando) è in missione segreta per uccidere Hitler; il colonnello Landa è lo spauracchio degli Ebrei, salvo poi dare l’ok all’operazione Kino (eliminare il Terzo Reich) per la gloria personale; Shosanna (Melanie Laurent) ha un conto aperto con l’alto comando nazista; il cinema (con la C maiuscola) ce l’ha con il corso della Storia, teatro di un Olocausto che sarà per sempre una macchia indelebile nelle coscienze.
Si salvi chi può da questa lotteria della morte, fatta di cadaveri che si accumulano nel corso del film, di continui rimandi al western all’italiana (ma anche a Lubitsch e Chaplin, vedi la scena di Hitler infuriato) e di una sensazionale licenza d’autore che travalica i confini dell’ucronia (la Storia fatta con i se). Nel giocare ai soldatini, Tarantino si diverte a far morire Hitler nel “suo” cinema. Il resto lo fanno un cast azzeccato e un’altissima regia in grado di mediare attraverso scene cult e dialoghi brillanti un tema scottante come quello della persecuzione ebrea. Inglorious Basterds è (anche) un titolo storpiato che rimanda al b-movie di Enzo G. Castellari (per lui un cameo come ufficiale delle S.S.), un generale inglese dal nome che sa di commedia sexy come Ed Fenech e sublimi rimandi cinefili: dai donchisciotteschi bastardi, che tanto ricordano Trinità, all’omaggio alle dive anni ‘30 (Bridget Von Hammersmark), passando per le musiche di Morricone, ascoltate in precedenza in spaghetti western di successo come Il Mercenario.
5 - The Hateful Eight
Tempi dilatati, cadenze solenni, l’utilizzo di campi lunghi e lunghissimi nelle scene in esterni e l'ossessione per i primissimi piani negli interni, i dialoghi serrati e prolissi nei quali la tensione cresce fino a raggiungere un climax insostenibile, preludio all'imminente e inevitabile bagno di sangue. Tarantino, pur mantenendo un imprinting western con venature da giallo, utilizza il selvaggio West come mero pretesto per comporre un indovinello di 3 ore sulla falsariga dei gialli alla Agatha Christie, contaminando la pellicola con le atmosfere horror de "La cosa" di John Carpenter.
La sceneggiatura è di gran lunga meno 'esplosa' che in Pulp Fiction, ma il cinema di genere - nel caso specifico il western - è polverizzato lo stesso, imprigionato com'è in una stanza e depauperato di diversi clichè: c'è una diligenza in corsa come nell'Ombre Rosse di John Ford, ci sono i pistoleri e i soldati dell'esercito, abbondano i bounty killer come nella migliore tradizione dello spaghetti western (la figura del cacciatore di taglie era invece assente nelle produzioni hollywoodiane perché malvista). Eppure mancano gli inseguimenti a cavallo, l'assalto alle banche di El Paso o Santa Fe, il gioco d'azzardo. L'azione è pressoché azzerata in favore della contemplazione, di pause mai banali: questo perché The Hateful Eight è innanzitutto un western di dialoghi ossessivi, un'opera dall'evidente impianto teatrale scritta magistralmente dal regista, in cui il gusto per la citazione e per lo splatter ricorre come una rima interna al cinema del regista statunitense.
6 - C'era una volta a... Hollywood
Hollywood sbarca a Hollywood. Meta(cinema) preferita di un regista che non ha mai smesso di guardarla con gli occhi dell'infanzia e che, in un affresco nostalgico qual è C'era una volta... a Hollywood, viaggia a ritroso con la memoria rievocando un'epoca di frontiera segnata dagli ultimi lampi delle vecchie glorie di celluloide in bianco e nero e dai tumulti di una società strappata repentinamente ai sogni ovattati del decennio prima, costretta a ricercarsi in fretta una nuova identità, decisamente più frammentaria.
Tarantino colora di pop il crepuscolo degli anni '60 americani. Lo fa mescolando cronaca e fiction, meticolosa ricostruzione e licenze. Soprattutto, ancora una volta, il cineasta modella e altera il corso della Storia, investendo il cinema, se non di un potere salvifico, quantomeno di un ruolo da boia di villain realmente esisititi. Lo aveva già fatto con Hitler e il Terzo Reich, consumati dalle fiamme in Bastardi senza gloria, e lo fa nuovamente nella pellicola che vede protagonisti Leonardo DiCaprio e Brad Pitt (oltre a Margot Robbie) nei panni di un attore e della sua controfigura sul viale del tramonto, capitati nel posto giusto al momento sbagliato (è l'agosto '69, quello della strage di Cielo Drive a Bel-Air per mano della setta hippie di Charles Manson).
Piccola e grande storia si intrecciano in un continuo rimando di citazioni gustosamente cinematografiche, illuminate dai neon di una Los Angeles in procinto di vomitare tutta la violenza e le tensioni dei 70's e abbracciare i fervori della New Hollywood. Un Tarantino maturo, poco incline al gigionismo, firma uno splendida lettera d'amore al cinema tutto.
7 - Django Unchained
Da Django di Sergio Corbucci riprende il grido di libertà che tanto aveva caratterizzato l'iper violento spaghetti western con Franco Nero (presente qui in un divertente cameo). Tarantino, per una volta tanto, riempie il suo cinema più di significati che di segni, contestualizzando l'odio razziale - tematica sempre di estrema attualità - agli anni antecedenti la Guerra Civile americana. Storia di formazione (di un bounty killer) e di amicizia virile, ma anche manifesto contro ogni forma di discriminazione. Il film con Jamie Foxx e Christoph Waltz resuscita un genere caduto in disgrazia qual è il western, ritraendo un'America bigotta e ottusa, popolata da esseri viscidi e arroganti come il Calvin Candie di Leonardo DiCaprio. Meno revival spaghetti western di quello che si pensi, Django Unchained rende omaggio ai maestri Leone e Ford. Strepitosa la messinscena che ha luogo nella tenuta di Candieland, la cui magione, nel finale, viene inondata dall'immancabile sangue, capace di imbrattare pareti e fiori. I corpi esplodono in un rosso vivo che riempe ogni inquadratura e che sancisce l'iperrealismo del filmaker statunitense.
8 - Jackie Brown
Dopo il trionfo dei puzzle film Le Iene e, soprattutto, Pulp Fiction, Tarantino vira dai rompicapo ad una trama dallo sviluppo più rettilineo e tradizionale. Jackie Brown è un omaggio del regista alla blaxploitation anni '70 (con la star del genere Pam Grier scelta per il ruolo da protagonista). Hostess dalla doppia vita, la Jackie del titolo contrabbanda denaro sporco per il losco trafficante d'armi Ordell Robbie (Samuel L. Jackson, ancora una volta gangster per QT). Viene però smascherata dagli agenti del dipartimento anti frode, che la invitano a collaborare. Dopo un'iniziale riluttanza, la donna troverà il modo di ingannare il proprio aguzzino e la giustizia. Il film forse più sottovalutato di Quentin Tarantino, impreziosito però da un cast stellare: da Robert De Niro (autore di un surreale omicidio a sangue freddo) a Michael Keaton, passando per Robert Forster.
9 - Grindhouse A prova di morte
L'opera minore del re del pulp, in cui bolidi a 4 ruote aggrediscono l'asfalto tanto quanto bellezze sexy - da Rosario Dawson a Rose McGowan - provocano gli spettatori con i loro corpi. Grindhouse - A prova di morte è un horror senza la tensione che prevederebbe il genere, è un film che celebra le muscle car degli anni '70 e le curve mozzafiato delle eroine della sexploitation dello stesso periodo. Le vicende ruotano attorno ad icone appiattite, bidimensionali, ridotte a pura superficie estetica. La violenza è sempre fine a se stessa, mai avvertita come reale, e questo fa della pellicola un fumetto a pieno titolo, di quelli usa e getta.
E voi, siete d'accordo con la classifica? Fatemi sapere quali sono i vostri titoli preferiti di Quentin Tarantino nei commenti qui sotto!
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