Rapiniamo il Duce: cosa c'è di vero sul tesoro di Mussolini

Esiste davvero il tesoro di Mussolini che i protagnisti di Rapiniamo il Duce provano a rubare da una blindatissima Milano? La vera storia dell'Oro di Dongo

Autore: Elisa Giudici ,

Quella raccontata in Rapiniamo il Duce non è una storia vera. Come spiega lo stesso film si tratta di una storia (inventata) che ripercorre alcuni eventi della Storia, quella con la S maiuscola. Alcuni incredibili particolari del tentativo di rapina che Isola, Yvonne e gli altri protagonisti della pellicola Netflix programmano ai danni dei gerarchi nazisti in fuga sono però basati su fatti storicamente accaduti.

Rapiniamo il Duce infatti porta in scena una versione alternativa della vicenda molto controversa del cosidetto Oro di Dongo. Nel film non viene mai chiamato così, ma si tratta di fatto del “tesoro di Mussolini” che la banda di protagonisti vuole rubare. Nella pellicola Isola viene a sapere da una soffiata che il Duce si appresta ad abbandonare la repubblica di Salò, fuggendo in Svizzera con l’amante Claretta Petacci, un piccolo manipolo di gerarchi fascisti e il suo tesoro.

Nell’Italia dell’aprile 1945 Mussolini tentò davvero la fuga. La guerra civile in corso, i tedeschi in fuga dal Paese e l'avanzata delle forze alleate spinsero Benito Mussolini e gli alti funzionari del partito fascista a tentare di trovare rifugio in Svizzera. La nazione elvetica, essendosi dichiarata neutrale prima dello scoppio del conflitto mondiale, era il nascondiglio ideale per l'alto comando fascista in fuga. Il Nord Italia però era in pieno fermento partigiano. Brigate di partigiani battevano i paesi e le montagne, alla ricerca di appartenenti alla Repubblica di Salò e di tedeschi in fuga.

Mussolini tentò di passare inosservato nascondendosi con i propri gerarchi in una colonna di soldati tedeschi. Intercettata dai partigiani, la colonna venne fermata, i mezzi sequestrati. Inevitabilmente il volto notissimo di Duce venne riconosciuto. Così Mussolini venne catturato il 27 aprile dai partigiani, nascosto in un contingente di soldati tedeschi, poco fuori il paesino di Musso.

In Rapina al Duce questa fuga è in corso di pianificazione da parte dei gerarchi fascisti, pronti ad affrettare la propria fuga ma ancora fermi a Milano, nella parte di città blindatissima dalle forze restanti. 

Per saperne di più sul film Netflix potete leggere la recensione di Rapiniamo il Duce

L’oro di Dongo: cosa c’è di vero in Rapiniamo il Duce

Da qui la vera storia del tesoro di Mussolini si tinge di mistero e leggenda. Al momento dell’arresto infatti, quando Mussolini viene riconosciuto tra quanti formavano una colonna tedesca in fuga fermata proprio a Musso, il Duce ha con sé una borsa contenente un ingente quantitativo di denaro e documenti top secret. La somma è di un milione e settecentomila lire dell’epoca: non in contanti, bensì in assegni. Il valore attuale sarebbe di oltre un milione di euro. Nella borsa c’è anche della valuta straniera; qualche migliaio di sterline.

Quando Mussolini, Petacchi e gli altri gerarchi in fuga vengono individuati e arrestati, vengono condotti al municipio di Musso con i propri bagagli. Valigie, borse ed effetti personali caricati sulle loro auto private vengono radunati e stipati nell’edificio, dopo essere stati individuati nella colonna, tra i mezzi tedeschi. Molti di questi contenitori vengono aperti e rivelano un piccolo tesoro: lingotti d’oro, valuta italiana e straniera, preziosi, gioielli. Ne venne fatto subito un inventario, che elencava tutti gli elementi di quello che poi venne chiamato l’oro di Dongo. Inventario che poi andò perduto, così come il tesoro stesso.

In Rapiniamo il Duce, i protagonisti entrano in un deposito dove è ammassato il tesoro di Mussolini. Vediamo casse contenenti oro, gioielli e lingotti. Nella realtà il ritrovamento frammentario e la successiva scomparsa dell'oro di Dongo ha reso molto difficile quantificarne l'esatto valore. 

La storia dell’oro del Duce e dei gerarchi si tinge subito di sangue con la sparizione di due figure chiave nella sua individuazione e sorveglianza. Luigi Canali, noto con il nome da partigiano di Capitano Neri, si era occupato di inventariare il tesoro e di organizzare la sicurezza degli beni sequestrati. A inizio maggio sparì con tutto il tesoro ammassato nel Municipio, che aveva preso in consegna temporanea. Fu lui a rubare il tesoro? No, anzi: venne probabilmente ucciso nel tentativo di tenerne traccia, come testimonia il destino della sua compagna dell’epoca, Giuseppina Tuissi detta Gianna. Originariamente incaricata di inventariare e vegliare sul tesoro, Gianna venne minacciata da alcuni esponenti del Partito Comunista Italiano quando provò a mettersi sulle tracce del compagno, a seguito della sua scomparsa. Secondo alcune testimonianze emerse al processo per la morte della coppia, la donna venne uccisa e gettata nel Lago di Como: anche il suo corpo però non è mai stato trovato.

Le fedi d’oro rubate dal Duce

Diverso il destino dell’oro e delle banconote rinvenuti nelle cinque valigie che Mussolini aveva nascosto a bordo dell’autocarro tedesco su cui viaggiava. Passate inizialmente inosservate, riuscirono a partire con i passeggeri tedeschi del mezzo, che vennero lasciati andare dai partigiani. I soldati quella stessa notte bruciarono le banconote e buttarono l’oro nel vicino fiume Mera. Qui il mattino successo vennero ripescati da un uomo ben 35,8 chilogrammi d’oro, che consegnò prontamente alle autorità. La maggior parte di questa parte del tesoro era composta da migliaia di fedi nuziali.

Questo particolare è presente anche nel film Rapina al Duce: quando rinvengono il tesoro Isola e gli altri trovano una cassa piena di fedi d’oro.

Si tratta di quanto era rimasto delle migliaia di fedi che le donne italiane donarono (spesso sotto minaccia) alla patria per finanziare la Guerra d’Etiopia a metò degli anni ‘30. Dopo un deposito presso la Cassa di risparmio di Domaso, l’oro ripescato dal fiume venne prelevato per finanziare le azioni della 52esima Brigata dei partigiani. Non si sa con precisione quanto e come venne speso nelle settimane successive. Di fatto non se ne hanno più notizie.

L’oro di Dongo è anche macchiato del sangue di un giornalista: Franco De Agazio, ucciso nel 1947. Il suo omicidio venne rivendicato pubblicamente dalla Volante Rossa delle Brigate Garibaldi. Tra i motivi dell’assassinio, l’aver militato nella Repubblica Socialista Italiana e aver indagato sulla fine dell’oro di Dongo, mettendo in dubbio la versione ufficiale fornita dal Partito Comunista Italiano. Negli anni successivi si svolsero due processi per stabilire le responsabilità dell’omicidio di Canali e della compagna e per stabilire dove fosse finito l’oro di Dongo. I due procedimenti si svolsero in un clima teso, registrando molti incidenti, tra cui il suicidio di uno dei giurati. Il processo per il duplice omicidio di Canali e Tuissi finì in prescrizione e nessuno venne mai formalmente incolpato.

I misteri dell’Oro di Dongo ben presto diventarono materia di leggende e ricostruzioni più o meno documentate.Secondo alcune versioni, quel denaro servì per finanziare il PCI per anni, acquistando la sede ufficiale di partito in Botteghe Oscure a Roma e aiutando il quotidiano L’Unità ad acquistare macchinari per la stampa per la sede di Milano.

Secondo il calendario delle prossime uscite Netflix, Rapiniamo il Duce è in streaming dal 26 ottobre 2022.

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