Nato a Burbank nella Contea di Los Angeles, in California negli Stati Uniti il 25 agosto 1958, Timothy Walter Burton, noto alle cronache come Tim Burton, si è affermato a partire dal suo esordio durante gli anni '80 come uno dei più originali autori cinematografici della storia. Il suo stile, unico ed immediatamente riconoscibile per cinefili e critici, consiste nel narrare storie di personaggi eccentrici e diversi dagli altri per mentalità e personalità, dunque incompresi ed esclusi, e spesso osteggiati, dal resto della popolazione, in un contesto dalle atmosfere tipicamente strane, gotiche e fiabesche, talvolta grottesche e oscure.
I protagonisti (così come spesso alcuni personaggi secondari) delle sue storie sono freaks, individui bizzarri, a volte dall’aspetto inquietante ma solitamente dall’animo nobile e gentile, incapaci di fare del male (almeno volontariamente) e mossi soltanto dal desiderio di essere accettati e compresi dalla comunità di persone entro la quale si trovano a vivere, comunità che si mostra essere solitamente ipocrita, bigotta e perbenista, in cui alcuni individui finiscono per riversare la propria malvagità sul protagonista, la cui unica colpa è quella di essere diverso dagli altri.
Lo stile personale del film-maker
Vero e proprio autore che segue da sempre un personale percorso narrativo, Burton ha sempre raccontato gli stessi temi prediletti: la diversità (a tutti i livelli: fisica, psicologica e morale); l’incomprensione, l’emarginazione e l’ostilità da parte del gruppo sociale dominante nei confronti del singolo individuo, considerato diverso e quindi anomalo, pericoloso; l’intelligenza, la bellezza e la profondità insite nelle azioni dell’eccentrico in opposizione all’ottusità, alla volgarità e alla superficialità proprie delle cosiddette persone normali, che si manifestano all’interno di un contesto solo in apparenza pulito e ordinato, ma dietro il quale si celano in realtà malignità ed egoismo.
In molte sue storie si possono poi ritrovare elementi autobiografici, ispirati alla sua vita e alle sue più o meno recenti esperienze personali. Tim Burton è stato sposato tre volte: dal terzo matrimonio, quello con l’attrice inglese Helena Bonham Carter (presente in molti suoi film), ha avuto due figli. Vive con la famiglia a Londra, in Inghilterra.
L’inizio della carriera cinematografica
Abilissimo disegnatore, a soli 18 anni il futuro regista vince una borsa di studio offerta da Disney, grazie alla quale prosegue gli studi al California Institute of the Arts (“CalArts”) di Valencia nella Contea di Los Angeles in California, arrivando a lavorare ad alcuni film d’animazione della famosa casa di produzione. Ma le storie e i personaggi concepiti da Disney per un pubblico preadolescenziale non sono particolarmente apprezzati da Burton, il quale mostra di non riuscire ad adattarsi ad una tale visione edulcorata. Allo stesso modo alla casa di produzione non piace particolarmente Vincent (nonostante i premi vinti), il nono corto (la storia di Vincent Malloy, un bambino che finge di essere l’attore Vincent Price, arrivando così a confondere realtà e finzione) in bianco e nero creato nel 1982 dal giovane film-maker e ispirato ad uno dei suoi miti, l’attore americano Vincent Price, voce narrante della storia, in cui egli utilizza per la prima volta la tecnica di animazione della stop-motion o passo uno, che consiste nel riprendere ogni personaggio facendolo muovere un passo alla volta e proiettando così un fotogramma alla volta, fino a creare l’illusione del movimento: questa tecnica che sarà utilizzata più volte dal regista californiano per le sue opere, diventando parte della sua cifra stilistica.
Lo stesso accade nel 1984 con Frankenweenie, il suo undicesimo ed ultimo corto in bianco e nero (la storia di un ragazzino che riporta in vita il suo cane, morto in seguito ad un incidente, con conseguenze imprevedibili) da lui stesso rifatto poi nel 2012 come lungometraggio, di nuovo prodotto da Disney ed ispirato al famoso romanzo Frankenstein di Mary Shelley. A causa della censura imposta da Disney l’opera non ottiene un grande successo di pubblico e ciò comporta il licenziamento di Burton.
Ma è l’incontro con l’attore comico Paul Reubens (all’epoca molto popolare in America per una serie televisiva, Pee-wee’s Playhouse, in cui interpreta il personaggio di Pee-wee Herman) ad offrirgli una seconda opportunità. Stupito per il lavoro realizzato con Frankenweenie, Reubens affida a Burton la regia di quello che sarà il suo primo film, la commedia Pee-wee’s Big Adventure del 1985 (la storia di Pee-wee Herman, un bizzarro uomo che si comporta in modo infantile il quale, in seguito al furto della sua amata bicicletta, intraprende un folle viaggio attraverso l’America per riprenderla), prodotto da Warner Bros., che ottiene un grande successo di pubblico; il film costituisce anche l’inizio della collaborazione tra Tim Burton e il musicista Danny Elfman.
Ed è per mezzo del supporto di Warner Bros. (con la quale collaborerà per molti dei suoi film) che il giovane film-maker riesce a fare proseguire la propria carriera cinematografica, con i film di genere fantasy Beetlejuice – Spiritello porcello (Beetlejuice, la storia di una coppia di sposi deceduti da poco e divenuti fantasmi che assume un bizzarro demone per cacciare dalla propria casa i nuovi molesti inquilini) nel 1988 e Batman (l’adattamento del celebre fumetto DC Comics, che racconta la lotta tra Batman, al secolo il miliardario Bruce Wayne, e Joker, uno psicopatico dall’aspetto di un clown che vuole controllare e annientare la fittizia città di Gotham City) nel 1989, a cui seguirà poi Batman – Il ritorno (Batman Returns, il sequel di Batman, che racconta la lotta tra il Cavaliere Oscuro e il Pinguino, deforme freak che porta avanti piani di vendetta contro Gotham City, mentre tra i due s’insinua l’ambigua e sensuale Catwoman) nel 1992.
Tuttavia, esasperato dai ripetuti contrasti con la casa di produzione di Hollywood (avvenuti in particolare durante la produzione di Batman), nel 1990 egli fonda Tim Burton Productions per avvalersi finalmente dell’agognata indipendenza economica, riuscendo così a produrre da sé nello stesso anno la pellicola di genere fantasy Edward Mani di Forbice (Edward ScissorHands, la storia di un mite individuo costruito con parti artificiali e con forbici al posto delle mani da un inventore deceduto che viene trovato e aiutato da una rappresentante di cosmetici, e che prova ad integrarsi in una comunità ipocrita e puritana), quello che resta forse il suo film più emblematico, l’opera più rappresentativa della sua poetica.
Negli anni successivi, Burton ottiene la collaborazione di varie major hollywoodiane (tra le quali Warner Bros. stessa, 20th Century Fox e Disney, con cui il regista riprende i rapporti), per mezzo delle quali realizza i suoi film, riuscendo ad affermarsi come un autore visionario e dallo stile unico. E si avvale altresì dell’inestimabile contributo di altri artisti che diverranno suoi assidui collaboratori, come Johnny Depp, interprete di alcuni dei suoi personaggi più memorabili e suo evidente alter ego sullo schermo, e come Danny Elfman, artefice delle inconfondibili partiture che avvolgono molte delle sue storie e che ne consolidano la spesso surreale e rarefatta atmosfera.
I migliori film di Tim Burton
Ecco un’ideale classifica di quelle che, secondo molti critici di cinema, si possono considerare le migliori pellicole di Tim Burton.
01) Il mistero di Sleepy Hollow - (The Legend of Sleepy Hollow, USA, 1999)
Liberamente ispirato al racconto La leggenda di Sleepy Hollow, contenuto ne Il libro degli schizzi dello scrittore americano Washington Irving e pubblicato tra il 1819 e il 1820, Il mistero di Sleepy Hollow (di genere fantasy) è forse il vero e proprio capolavoro di Tim Burton, il punto più alto del suo percorso artistico. Ambientata nel 1799, la storia narra di Ichabod Crane, un intelligente ma pavido detective di New York, convinto sostenitore delle idee progressiste e dei metodi scientifici nella risoluzione dei casi, all’epoca ancora poco diffusi. All’inizio della storia Crane viene inviato a Sleepy Hollow, un villaggio nella valle del fiume Hudson per indagare su tre casi di omicidio piuttosto particolari. Infatti le vittime sono state decapitate, e secondo i cittadini il responsabile sarebbe un fantomatico cavaliere senza testa, protagonista di una leggenda locale.
Nonostante l’omertà generale di molti degli abitanti, non molto propensi a collaborare con il protagonista, egli inizia comunque a svolgere le proprie indagini, e trova due validi aiutanti in Katrina Van Tassel, l’affascinante figlia di Baltus Van Tassel, il borgomastro della città, dalla quale si sente attratto, e nel giovane Masbath, figlio di Jonathan Masbath, uno stalliere decapitato come le altre vittime, spinto dal desiderio di conoscere il responsabile della morte del padre. Proseguendo con le indagini, il detective arriverà effettivamente a scontrarsi con un misterioso individuo senza testa, e di fronte all’emergere del soprannaturale dovrà dunque mettere in dubbio le proprie idee illuministe.
L’elevato valore del film è dovuto innanzitutto all’eccellente sceneggiatura del talentuoso Andrew Kevin Walker (responsabile ad esempio anche dell’altrettanto ottima sceneggiatura di Seven, il film di genere noir di David Fincher del 1995, forse il capolavoro del regista americano), che descrive in modo realistico, con dialoghi sagaci e con sferzate di umorismo nero, i sordidi rapporti di affari (e non solo) tra alcuni degli abitanti più noti della piccola città, mettendo in luce progressivamente, con una serie di colpi di scena, la cospirazione in atto, fino all’incredibile rivelazione della verità.
Diversi i temi approfonditi, alcuni dei quali ricorrenti per Burton: il contrasto tra razionalità (rappresentata dal protagonista con le sue idee illuministe) e irrazionalità (costituita dagli abitanti di Sleepy Hollow e dalle loro credenze); l’evidente diversità del protagonista in confronto a tutti gli altri, unico scienziato (o “prototipo” di scienziato) che si avvale della scienza e della tecnologia, circondato da individui ignoranti e superstiziosi e per questo da lui stesso apertamente stigmatizzati; l’incomprensione e il latente ostracismo nei confronti del protagonista da parte della comunità; i dubbi emergenti riguardo alla sua fede scientifica di fronte all’irrompere del soprannaturale nella realtà.
Oltre a ciò la regia scorrevole e dinamica di Burton, a tratti calma nel mostrare usi e costumi degli abitanti, a tratti scattante nel seguire le improvvise apparizioni del cavaliere senza testa, riesce perfettamente a rendere avvincente una storia già ampiamente meritevole. C’è poi un’enorme cura (come sempre nelle opere del film-maker) nelle scenografie di Rick Heinrichs e nella fotografia di Emmanuel Lubezki, che contribuiscono ad evocare un’atmosfera romantica e a tratti fiabesca e surreale. Il film ha vinto un Oscar per la migliore scenografia, due BAFTA (l’Oscar inglese), due Saturn Award e numerosi altri premi, oltre ad aver raccolto molte nomination per diversi premi.
02) Edward Mani di Forbice - (Edward ScissorHands, Usa, 1990)
Senza dubbio uno dei film più famosi del regista di Burbank, Edward Mani di Forbice (di genere fantasy) resta probabilmente la sua opera più emblematica, cioè quella che meglio rappresenta lo stile e i temi di Burton. La trama narra di Edward, un sorta di moderno mostro di Frankenstein in parte umano e in parte macchina ma dall’indole quieta e gentile, creato da un anziano inventore che vive in solitudine nel suo castello, ai margini di una piccola città: ma, quando l’uomo muore per un attacco cardiaco, Edward resta incompleto, privo cioè delle mani e con due paia di affilate forbici al posto di esse. Un giorno viene dunque ritrovato da Peggy Boggs, una rappresentante di un’azienda di cosmetici in visita al castello la quale, accortasi che il ragazzo è innocuo e intenerita dalla sua triste condizione, decide di portarlo a casa sua e di “adottarlo”, aiutandolo ad integrarsi con le altre persone.
Se inizialmente gli abitanti della ridente cittadina si mostrano ammirati dal bizzarro individuo e dalla sua notevole abilità di parrucchiere e di giardiniere (mentre Edward si adatta, seppure goffamente e grazie anche alla famiglia di Peggy, ad uno stile di vita moderno), successivamente i cittadini finiscono con il disinteressarsi del tutto al nuovo arrivato, il quale da parte sua avverte una forte attrazione per Kim (la quale inizialmente è atterrita da lui, ma in seguito lo ricambia), la figlia maggiore di Peggy, inimicandosi così Jim, il fidanzato della ragazza che lo contrasta manifestamente anche con la forza e che gli causa più di un attacco d’ira. Dopo essere stato arrestato ingiustamente e dopo l’ennesimo scontro con il ragazzo, Edward decide di fuggire dalla città e di rifugiarsi di nuovo nel castello, consapevole che ora l’intera comunità lo considera una vera e propria minaccia. Ma non è ancora finita.
La pellicola è memorabile in primo luogo per l’originale sceneggiatura scritta da Caroline Thompson, da un soggetto di Burton e della stessa Thompson, e in secondo luogo per il particolare impianto scenografico (la cittadina dai colori tenui e dalle forme aggraziate che contrasta con l’antico maniero del protagonista, circondato da sculture dall’aspetto grottesco) e per l’ammirevole interpretazione sottotono di Johnny Depp (in questo film alla sua prima collaborazione con Tim Burton), oltre che per le bizzarre sinfonie di Danny Elfman.
Si tratta sostanzialmente di un compendio dei temi cari al regista: dalla diversità che finisce per causare solo problemi al protagonista, all’incomprensione e all’ostilità motivate dall’ottusità delle cosiddette persone normali fino all’emarginazione del diverso, destinato ad essere odiato dalla comunità e a ritirarsi in solitudine nel luogo d’origine. Il film ha ottenuto, tra le altre, una nomination agli Oscar per il migliore trucco e ai Golden Globe per il migliore attore protagonista, ma senza vincerli; ha ottenuto comunque alcuni altri premi, come ad esempio un BAFTA (l’Oscar inglese) e un Saturn Award.
03) Big Fish - Le storie di una vita incredibile - (Big Fish, USA, 2003)
Grande successo di critica e di pubblico e tratto dal romanzo del 1998 Big Fish. A Novel of Mythic Proportions dello scrittore americano Daniel Wallace, Big Fish – Le storie di una vita incredibile (di genere fantasy) è, secondo alcuni critici, l’opera più adulta e matura di Tim Burton, e al tempo stesso il suo film dall’atmosfera più solare e meno gotica, in cui il regista di Burbank dimostra ancora una volta la propria sfrenata immaginazione. Raccontata come un lungo flashback con sistematici ritorni al presente, è la storia di Edward Bloom, anziano ed ironico ex commesso viaggiatore ora in pensione e ormai in fin di vita, motivo per cui la moglie Sandra convoca il figlio Will, che giunge al capezzale del padre insieme a Josephine, la moglie incinta.
Nei confronti del padre che non ha mai conosciuto del tutto Will ha sempre avuto un rapporto conflittuale, dovuto al fatto che egli non fosse spesso presente dovendo viaggiare per lavoro e, in particolare, per il fatto di averlo sempre considerato un ciarlatano a causa delle strane storie che Edward ha raccontato in più occasioni al figlio, ai famigliari e agli amici, alle quali Will non ha mai veramente creduto. Così ora il figlio, seduto accanto al letto del padre, si appresta ad ascoltare questa volta l’incredibile storia della sua vita, costituita da continui viaggi talvolta in luoghi sconosciuti, da bizzarri incontri con personaggi di ogni genere e da reiterate sfide con lo scopo di conseguire ogni volta un premio diverso, come ad esempio la mano della donna che ama, cioè la futura madre di Will.
Il punto di forza del film è anche in questo caso l’ottima sceneggiatura di John August, che riesce a condensare in modo equilibrato i toni sommessi del presente (i parenti insieme al protagonista morente) e i toni più ilari e goliardici del passato (le assurde e magiche vicende vissute dal giovane e vitale Edward, interpretato da un convincente Ewan McGregor, mentre nel presente ha il volto di Albert Finney), mantenendo quindi fino al commovente colpo di scena finale la sottile ambiguità di fondo, che porta sia Will sia lo spettatore a domandarsi se tutto ciò che viene raccontato dal protagonista sia realmente accaduto o no.
Imperniata sulla commistione tra realtà e fantasia che genera un’intenzionale ambiguità, si tratta sostanzialmente di una fiaba moderna che a sua volta ne contiene altre, di un’allegoria sull’importanza di compiere il personale viaggio alla ricerca di sé stessi e di vivere pienamente la propria vita, lottando per ciò in cui si crede fino all’ultimo. La pellicola ha ottenuto numerose nomination, tra le quali una agli Oscar per la migliore colonna sonora, quattro ai Golden Globe, sei ai BAFTA (l’Oscar inglese), una ai Grammy ed una ai David di Donatello come miglior film straniero, ma senza vincere alcun premio.
04) Nightmare Before Christmas - (The Tim Burton’s Nightmare Before Christmas, USA, 1993)
Tim Burton ha sempre dimostrato il suo notevole talento con le storie d’animazione, realizzate con la particolare tecnica di animazione della stop-motion o passo uno insieme alla computer grafica. Diretta da Henry Selick pur essendo una storia burtoniana a tutti gli effetti e scritta dal futuro regista negli anni in cui lavorava per Disney, la pellicola (di genere d’animazione) racconta la triste parabola di Jack Skellington (nella versione italiana Jack Skeletron, doppiato dal musicista Renato Zero, mentre nella versione originale è doppiato nei dialoghi dall’attore Chris Sarandon e nelle parti cantate dal musicista Danny Elfman), re (dalle sembianze di uno scheletro umano) dello strano e assurdo Paese di Halloween popolato da freaks, dove tutto concerne la festività del 31 ottobre e depresso e annoiato da quella che fino a poco tempo fa era la sua missione, cioè spaventare i bambini.
Stanco di essere considerato un mostro e deciso a dare una svolta alla propria vita, dopo essere arrivato per caso nel Paese di Santa Claus (Babbo Natale) ed essere rimasto affascinato da tale gioiosa festività, e dopo avere tentato invano di fare apprezzare i temi della festività del 25 dicembre ai suoi concittadini, ha l’idea di farlo sequestrare e di prendere il suo posto, sperando di riuscire finalmente ad essere amato dai bambini di tutto il mondo: si mette così in viaggio per distribuire i propri inquietanti doni.
Ma non tutto va come previsto, perché non solo i giovani mostrano di non apprezzare i regali ricevuti e il protagonista viene preso di mira dai militari perché visto come un pericoloso impostore, ma il malcapitato Santa Claus viene condotto, contro le indicazioni di Jack, dall’infido Mr. Bau Bau (Oogie Boogie nella versione originale, un pericoloso freak dalle sembianze di un enorme fantasma pieno di insetti) il quale, dopo avere rapito anche Sally, una donna (dall’aspetto di una bambola di stracci) segretamente innamorata del protagonista, mira in realtà a spodestare Jack dal suo trono nel regno di Halloween. Il protagonista arriverà quindi ad affrontare l’orrida nemesi per cercare di riportare l’ordine nel mondo.
L’opera è notevole prima di tutto per la sofisticata grafica dei personaggi e del loro bizzarro mondo, così come per l’ottima sceneggiatura scritta da Michael McDowell e Caroline Thompson da un soggetto dello stesso Tim Burton, sorretta benissimo dalle musiche e dalle canzoni dell’eclettico Danny Elfman e, nella versione italiana, dalle canzoni di Renato Zero. Nel 2006 è uscita negli Stati Uniti una nuova edizione del film in 3D, prodotta dalla Disney. La pellicola ha avuto tra le altre una nomination agli Oscar per i migliori effetti visivi ed una ai Golden Globe, ma senza ottenerli; ha vinto comunque altri premi, come due Saturn Award.
05) La Sposa Cadavere - (Tim Burton’s Corpse Bride, USA, 2005)
Secondo film d’animazione di Tim Burton, codiretto da lui e da Mike Johnson, ed ispirato ad una fiaba ebraica russa, questa pellicola (di genere d’animazione) è realizzata, come il precedente film del 1993, per mezzo della tecnica di animazione della stop motion o passo uno, benchè in questo caso essa sia stata ottenuta senza l’utilizzo di cineprese, ma con macchine fotografiche digitali. Ambientata a fine ottocento in una cittadina dell’Inghilterra vittoriana, è la storia di Victor Van Dort (doppiato da Johnny Depp, nella sua prima interpretazione di un personaggio animato), mite ed educato giovane costretto dai genitori, ricchi mercanti borghesi desiderosi di elevare il proprio status sociale, a sposare Victoria Everglot, figlia di nobili decaduti.
Dopo essersi conosciuti e dopo avere scoperto reciproca attrazione, e dopo che Victor ha goffamente rovinato le prove del matrimonio, il protagonista pensieroso si allontana dalla lugubre villa fino alla foresta circostante, dove rilegge attentamente il discorso del matrimonio quando improvvisamente, dopo avere infilato l’anello nuziale in quello che credeva essere il ramo di un albero si trova davanti Emily, una sposa cadavere emersa dalla terra che lo scambia per il suo promesso sposo e che lo conduce, nonostante le sue resistenze, nel regno dei morti, che peraltro risulta essere molto più vivo ed allegro del mondo dei vivi.
Intanto si scopre che, a causa della sparizione di Victor, Victoria è l’inconsapevole vittima del piano del meschino Lord Barkis Bittern, un altro nobile decaduto in cerca di ricchezza deciso a sposare la ragazza per ereditare il patrimonio di famiglia, nonché ex promesso sposo ed assassino di Emily, fatto di cui alla fine pagherà le conseguenze. A questo punto Victor cerca in ogni modo di ritornare al mondo dei vivi, sebbene in breve tempo inizi a sentirsi più a suo agio nel grottesco regno dei deceduti.
Anche in questo caso, il film è notevole per l’affascinante disegno (sia tecnico sia psicologico) dei molti personaggi della storia, così come per l’ottima sceneggiatura di Caroline Thompson, Pamela Pettler e John August (quest’ultimo responsabile anche del testo di Big Fish – Le storie di una vita incredibile), in cui c’è un perfetto equilibrio tra i toni malinconici della realtà e i toni festosi del regno dei morti, nel quale si assiste ad alcune memorabili scene musicali. Il film ha ottenuto varie nomination, tra le quali una agli Oscar come miglior film d’animazione dell’anno, ma senza vincerlo, ed ha vinto alcuni premi, tra i quali un Saturn Award.
06) Sweeney Todd - Il diabolico barbiere di Fleet Street - (Sweeney Todd: The Demon Barber of Fleet Street, USA–GB, 2007)
Primo film del genere del musical per Tim Burton ed ispirato all’omonimo musical dello scrittore americano Stephen Sondheim del 1979 (dopo un altro adattamento teatrale ad opera dello scrittore inglese Christopher Bond del 1973), messo in scena a Broadway nella città di New York fino al 2005 per il grande successo di pubblico (ed ispirato a sua volta al romanzo del 1846 The String of Pearls: A Romance di Thomas Peckett Prest, che fu a sua volta fonte d’ispirazione per una leggenda inglese), Sweeney Todd – Il diabolico barbiere di Fleet Street è la storia di un ingegnoso piano di vendetta.
Ambientata nell’800 a Londra in Inghilterra, la trama concerne il ritorno in città di Benjamin Barker, un tempo gentile e affettuoso barbiere e ora noto con il nome di Sweeney Todd, dall’aspetto di un grottesco demone e animato da un’inestinguibile sete di vendetta nei confronti del bieco giudice Turpin, che 15 anni prima lo fece arrestare con una falsa accusa, con l’intento di rubargli la splendida moglie Lucy e la piccola figlia Johanna, e deportare in un lontano luogo di segregazione in Australia, da cui poi l’uomo riuscì ad evadere grazie anche all’aiuto di Anthony Hope, un giovane marinaio che lo salvò quando era alla deriva, dal quale si affranca una volta ritornato a casa.
Per mantenere la nuova identità Todd si stabilisce di nuovo in Fleet Street presso il suo vecchio negozio di barbiere, rimasto in disuso da allora, al secondo piano di un edificio, dove al primo piano si trova il locale di Nellie Lovett, strana vedova di un fornaio e ora proprietaria del negozio. Dopo averla conosciuta, la donna gli rivela che, in seguito al suo arresto, il giudice abusò di sua moglie, la quale si tolse la vita per la vergogna, così egli decise di adottare Johanna, la figlia di Barker, e di diventarne il tutore legale: il protagonista è ora più che mai motivato a vendicarsi del terribile giudice Turpin.
Dunque si instaura a questo punto un contorto rapporto di affari e di amore-odio tra i due, per il fatto che da un lato Todd, oltre a riprendere la propria professione, uccide talvolta alcuni clienti (in teoria di dubbia moralità, almeno secondo le indiscrezioni di Mrs. Lovett) recidendo loro la gola con il rasoio e scaricandone il cadavere nella cantina sottostante attraverso una botola, mentre dall’altro lato Mrs. Lovett si serve di un enorme forno nella cantina per cucinare i corpi dei malcapitati, per poi servirli come ripieno dei suoi prelibati pasticci di carne. Nel frattempo Anthony, innamoratosi di Johanna dopo averla vista alla finestra della casa del giudice, indaga e raccoglie informazioni sul giudice per Todd, mentre l’uomo osserva la città per capire in che modo è cambiata negli anni in cui è stato assente, attendendo impaziente la resa dei conti finale.
Questo grottesco e macabro musical è memorabile prima di tutto per le canzoni scritte da Sondheim, rielaborate nella sceneggiatura (attraversata costantemente da lampi di umorismo nero) scritta da John Logan sulla base del soggetto di Christopher Bond e di Hugh Wheeler, e cantate molto bene da tutto il cast a partire da Johnny Depp, che dà vita ad un’altra notevole performance della sua luminosa carriera, e da Helena Bonham Carter, sua perfetta spalla e complice con l’attore di alcuni memorabili duetti.
E parte del successo è dovuto senz’altro alle cupe e realistiche scenografie di Dante Ferretti e di sua moglie Francesca Lo Schiavo, entrambi vincitori dell’Oscar per questo film, così come alla fotografia, al tempo stesso densa e spettrale, di Dariusz Wolski, che contribuiscono a creare l’inquietante e insana atmosfera che permea la Londra ottocentesca. Il film ha vinto diversi premi: tra i più importanti, un Oscar per la migliore scenografia, due Golden Globe e due Saturn Award, ed ha ricevuto svariate nomination, in particolare due agli Oscar per il miglior attore protagonista e per i migliori costumi, due ai Golden Globe e due ai BAFTA Award, ma senza ottenerli.
07) Alice in Wonderland - (Alice in Wonderland, USA, 2010)
Primo film di Tim Burton prodotto da Disney dopo il suo licenziamento (sancisce quindi la ripresa dei rapporti tra il regista e la casa di produzione), uscito anche in una versione in 3D ed ispirato ai romanzi Alice nel paese delle meraviglie del 1865 e Attraverso lo specchio del 1871, entrambi di Lewis Carroll, Alice in Wonderland è un’altra pellicola in cui il film-maker dimostra la sua straordinaria immaginazione, ed è probabilmente una delle storie di genere fantasy più famose di sempre, resa celebre in particolare dall’omonimo classico film d’animazione prodotto dalla Disney nel 1951 e diretto da Clyde Geronimi, Hamilton Luske e Wilfred Jackson. Mentre nel primo romanzo e nel film di Disney la protagonista è una bambina, nella pellicola di Burton è invece una giovane ragazza.
Ambientata nell’800 nell’Inghilterra vittoriana, è la storia di Alice Kingsleigh, figlia di un nobile di professione mercante e da poco deceduto durante uno dei suoi viaggi la quale, a soli 19 anni, deve accettare un matrimonio combinato con l’antipatico Lord Hamish Ascot, per assicurarsi un futuro economicamente agiato. Tuttavia al momento della fatidica domanda del giovane sull’altare, Alice finge un malore e si allontana fino al bosco adiacente perché spaventata e confusa su ciò che deve fare.
Mentre corre scorge davanti a sé e segue un bizzarro personaggio (il primo di molti), il Bianconiglio, il quale si dirige velocemente verso una tana alle radici di un albero molto più profonda di ciò che sembra: è attraverso di essa che la protagonista giunge (dove era già stata quando era bambina sebbene lo abbia rimosso, come ricorderà in seguito) nello stravagante Paese delle Meraviglie, una sorta di luogo incantato dove non sembrano valere le normali leggi della fisica e popolato da una moltitudine pressoché infinita di strane e assurde creature.
Il magico regno è afflitto da un pericolo incombente: la dispotica e collerica Regina Rossa ha usurpato le terre un tempo governate dalla sorella da lei detestata, la gentile Regina Bianca, e governa con tirannia inviando i suoi soldati (dall’aspetto di carte da gioco) ad arrestare chiunque le dimostri una seppure debole resistenza. Aiutata dunque dal Cappellaio Matto, dallo Stregatto, dal Brucaliffo e da altri eccentrici abitanti del regno, Alice dovrà riuscire ad unire le loro forze (e le loro strampalate abilità) per fronteggiare e sconfiggere una volta per tutte la Regina Rossa e il suo esercito, in modo da restituire il regno alla Regina Bianca e ripristinare finalmente la pace.
Questo adattamento di Burton del noto romanzo di Carroll si fonda sulla valida sceneggiatura di Linda Woolverton che, ispirandosi ai due libri dello scrittore, esplora diversi temi: la ribellione (adolescenziale e universale) e l’anticonformismo, da parte di Alice che rifiuta di sottostare alle ferree regole imposte dall’alta società dell’epoca (il matrimonio combinato) e da parte degli abitanti del Paese delle Meraviglie, desiderosi di contrastare il regime imposto dalla Regina Rossa; la diversità della protagonista, che si trova più a suo agio nel mondo della fantasia che in quello reale, dove è vista come una “strana” per il fatto di fantasticare ad occhi aperti e di non essere interessata a sposarsi, ed è per questo incompresa; l’ipocrisia e la sottile malignità delle persone “normali”, abituate a dialogare amichevolmente in pubblico e a riservarsi reciprocamente velenosi commenti in privato; l’ostilità da parte del gruppo sociale, che si esprime con le parole nel mondo reale, dove Alice viene più volte criticata dai presenti per il suo comportamento considerato sconveniente, e con i fatti nel regno della fantasia, in cui i suoi abitanti subiscono la violenta repressione da parte delle guardie della Regina Rossa.
Oltre che dalla sceneggiatura, guidata dalla regia fluida e sofisticata di Burton, un enorme contributo è dato dalle scenografie di Robert Stromberg, atte a generare un forte contrasto tra l’algido e statico mondo reale dai colori desaturati e il vitale e dinamico mondo della fantasia dai colori vividi, così come dal make-up degli attori e delle attrici e dai convincenti effetti speciali con cui sono realizzate alcune delle creature del Paese delle Meraviglie. E sono altresì memorabili il Cappellaio Matto di Johnny Depp, più istrionico che mai in un’altra iconica interpretazione, e la Regina Rossa di Helena Bonham Carter, malvagia sovrana del regno dei freaks.
Si tratta sostanzialmente di un altro riepilogo dei temi preferiti di Burton, motivo per cui l’opera può essere accostata a Edward Mani di Forbice del 1990. Il film ha vinto diversi premi, tra i quali due Oscar per i migliori costumi e per le migliori scenografie, due BAFTA (l’Oscar inglese), due Saturn Award e due Critics Choice Award; ha poi ottenuto molte altre nomination, in particolare ad un Oscar, a tre Golden Globe, a due BAFTA e a tre Saturn Award, ma senza vincerli.
Progetti futuri
Tra i progetti futuri del film-maker c’è il film di genere fantasy Dumbo (Dumbo), previsto per il 2019. Si tratta del remake di uno dei classici film d'animazione di Disney (che produce anche la pellicola), Dumbo – L’elefante volante (Dumbo) del 1941, diretto da vari registi. È la celebre storia del piccolo elefante cresciuto in un circo che scopre di potere volare per mezzo delle proprie enormi orecchie, simili a due ali: ma proprio a causa delle sue orecchie viene deriso e umiliato da tutti, perché appare come un diverso. Nel corso della storia saprà quindi riscattarsi agli occhi di tutti.
Si tratta dunque dell’ennesimo racconto di un emarginato, di un freak agli occhi degli altri: è evidente allora perché Burton abbia trovato la storia congeniale alla sua poetica. Oltre ad esso, il regista ha per ora soltanto annunciato l’intenzione di realizzare Beetlejuice 2 (titolo provvisorio), il sequel di Beetlejuice – Spiritello porcello (Beetlejuice), la sua pellicola del 1988.
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