Twin Peaks: il significato dell'ultima stagione (e del finale)

Tanti anni fa, Twin Peaks aveva profetizzato l'arrivo di una TV di qualità, che surclassasse il cinema. Oggi ha infranto ogni tabù televisivo, aprendoci un varco nella mente di David Lynch.

Immagine di Twin Peaks: il significato dell'ultima stagione (e del finale)
Autore: Chiara Poli ,

Twin Peaks. Due parole che per venticinque anni sono state - e a ragione - sinonimo di “TV d’autore”.

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Due parole che, con la trasmissione del finale della nuova (e pare non ultima) stagione della serie di David Lynch che ha riscritto la storia del piccolo schermo, rivendicano appieno il loro significato.

Twin Peaks negli anni 90 era la prova concreta che la TV era destinata a un grande futuro. Un futuro fatto di nomi prestigiosi, di serie che surclassano la stragrande maggioranza dei film in sala e di milioni di persone che si incollano ogni giorno al piccolo schermo, in attesa dei loro eroi.

Twin Peaks negli anni 90 - profetico - era stato tutto questo. Twin Peaks oggi, è altro.

Twin Peaks è tutto ciò che il cinema la TV non possono essere: tempi morti. Gesti esasperatamente lenti. Attese senza esito. Narrazione non lineare. Cancellazione dei confini fra naturale e soprannaturale senza alcuna spiegazione logica.

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Discorsi su personaggi che non conosciamo, di cui non sappiamo nulla e che forse non vedremo mai. Sogni. Visioni. Presente, passato e futuro. Salti temporali, cloni malvagi e scomparse.

Twin Peaks è la quintessenza del tabù audiovisivo, di tutto ciò che per decenni è finito sul pavimento della sala di montaggio, di quello che non si può mostrare perché “altrimenti il pubblico se ne va”. “Altrimenti lo spettatore cambia canale”. “Altrimenti la gente non capisce”.

Anche quando c’è molto, moltissimo da capire.

Twin Peaks è un viaggio nella mente di David Lynch, che ne estremizza l’aspetto onirico solo abbozzato negli anni ’90.

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Allora non aveva potuto aprirci la porta della sua mente. Non perché i mezzi non glielo consentissero, ma per colpa nostra: non eravamo pronti.

La nostra comprensione del linguaggio di cinema e TV non era paragonabile a quella di oggi.

Non avremmo mai capito. Oggi, invece, abbiamo capito.

Twin Peaks: Kyle MacLachlan
Kyle MacLachlan in Twin Peaks

Abbiamo capito che il finale di stagione, aperto perché solo così può essere la (non) chiusura di una storia che non finirà mai davvero - ci ha lanciato un messaggio preciso.

Un messaggio che arriva insieme al grido terrorizzato - che ci rispedisce nel passato di Bob e di Laura Palmer, dritti nei nostri incubi degli anni ’90 - di una donna che proprio con quel grido ci dice tutto.

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Laura Palmer, Carrie Page, Sheryl Lee? Non importa chi sia a lanciarlo.

Il significato di quel grido è uno solo: non si può sconfiggere il Male.

Non quando il Male è annidato nell’animo del peggior mostro che la fantasia di David Lynch e di tutti gli altri cineasti, scrittori e artisti del mondo abbiano creato: l’uomo.

Quando Dale Cooper, tornato indietro nel tempo, afferra la mano di Laura Palmer facendo scomparire il suo cadavere avvolto nella plastica, non crediamo ai nostri occhi.

I nuovi episodi di Twin Peaks sono arrivati, dopo venticinque anni, per salvare Laura Palmer?

No. Certo che no. Perché Laura Palmer non si può salvare.

Non può farlo Dale Cooper, che da agente speciale dell’FBI è diventato Superuomo Che Tutto Sa perché ha vissuto in un’altra dimensione.

Non può farlo David Lynch, perché il mostro - l’immagine più inquietante di tutta questa stagione affollata d’immagini inquietanti è lo sguardo di Leland Palmer verso la figlia che fugge in moto con James - non si può sconfiggere.

Il mostro non è Bob avvolto in una specie di pallone volante che il destino ha portato al cospetto dell’unico ragazzo che può distruggerlo a pugni.

Perché i mostri non si distruggono. Si fermano, magari, per un certo periodo.

Ma la loro malvagità è tale che contamina tutto e tutti. Affligge il mondo intero.

Il mostro che abitava l’animo di Leland Palmer - e di tutti i suoi compagni di orrori - è indistruttibile.

Perché rappresenta la natura umana stessa.

Bob è solo un volto, una forma scaturita dalla mente di Laura per non vedere il vero aspetto del mostro che entrava in camera sua.

Un’immagine creata da David Lynch per simboleggiare tutto ciò che di male sappiamo fare. E abbiamo fatto. E continuiamo a fare. E, se qualcuno non ci ferma - magari il riscaldamento globale? Il simbolismo è lampante - continueremo a fare.

Il grido di Laura/Carrie/Sheryl vuol dire solo questo: i mostri sono indistruttibili. Perché i mostri siamo noi.

Non c’è Uomo Nero emerso dalla notte per riportare in vita il Cooper malvagio che tenga, signore e signori.

Non ci sono alieni, insetti, alberi, vortici spazio-temporali o donne senz’occhi che tengano.

Ci siamo solo noi.

Noi, gli esseri umani che in ogni episodio hanno commesso le azioni peggiori.

Investire un bambino e scappare - in quella che è senza dubbio la sequenza più agghiacciante di questi nuovi 18 episodi.

Massacrare a coltellate l’unica testimone - che si trascina, lottando disperatamente per la vita.

Sparare a sangue freddo alla gente per soldi, sgranocchiando patatine.

Non sono le creature mostruose o la Loggia Nera ad alimentare il Male ogni santo giorno.

Siamo noi.

Accoltelliamo, spariamo, investiamo e scappiamo senza sosta.

Violentiamo, terrorizziamo, derubiamo e picchiamo.

Nessun essere vivente sulla Terra è mai stato (e mai sarà) capace di compiere gli orrori che compie l’uomo. Mai.

Ed eccolo qui, il messaggio di Lynch. Forte, chiaro e incontestabile.

Nessun essere vivente sulla Terra sarà mai capace di eguagliarci in orrore e crudeltà.

E nemmeno nessun altro essere - oggi lo sappiamo con certezza, perché un’intera stagione ce l’ha raccontato - vivente o no, terrestre o no, naturale o soprannaturale, sarà mai in grado di farlo.

Non possiamo fuggire da Bob, perché Bob siamo noi.

Anche quando proviamo a cambiarlo, il passato. Riscrivendo la storia. Cercando di imparare dai nostri errori… Per poi commetterli di nuovo.

In un altro tempo, in un altro posto. Di fronte a un’altra casa, che in un’altra dimensione era la casa di Laura Palmer.

Non possiamo cambiare il passato, non possiamo scrivere un futuro migliore.

Non possiamo farlo, perché i mostri sono indistruttibili.

E i mostri siamo noi. In ogni tempo, e in ogni luogo.

Immagine di copertina via Amazon

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