La distribuzione italiana ha messo una pezza laddove quella statunitense non ha colto l'intrinseca dissonanza di un titolo, un film e un progetto tutto: negli Stati Uniti Una famiglia vincente non ha un titolo tanto corale e positivo, bensì è come il film che racconta tutto incentrato sul suo protagonista, King Richard. Il re della famiglia Williams nei fatti è lui, uomo afroamericano cresciuto in un'epoca storica in cui toccare un bianco era pericoloso per un ragazzino nero, in cui venire malmenati quotidianamente in quanto afroamericani era la norma.
Il mondo non mi ha rispettato ma rispetterà voi, sussurra Richard (Will Smith) alle figlie predilette, Serena e Venus, negli anni difficili in cui tutta la famiglia lavora attivamente al tentativo di rendere due giovani atlete promettenti in due stelle del circuito tennistico mondiale. Cosa c'è di più positivo di un film che racconta il razzismo incanalandolo in una storia positiva (e vera) di riscatto e successo, che ha per soggetto due donne per giunta, inserite in una famiglia unita e solidale? Sulla carta questo film - ancorché non particolarmente brillante sotto il punto di vista tecnico e recitativo - dovrebbe avere un alto valore umano e sociale.
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Invece non è così e l'aspetto più interessante di King Richard, un film di due e venti e scorre via senza grandi idee o grandi rivelazioni, è riflettere su quello che il film non affronta e non problematizza: il come Venus e Serena diventino nelle parole stesse del padre due Ghettorentola, ragazzine di umili origini divenute a forza di allenamenti e caparbietà regine assolute del mondo - bianco e borghese - del tennis.
Una famiglia vincente: la storia paterna del successo del successo delle sorelle Williams
Basato sul racconto delle sorelle Williams della loro infanzia tra Compton e i campi di tennis più rinomati, prodotto da Serena e dallo stesso Will Smith, King Richard segue la storia dell'ascesa delle due tenniste adolescenti afroamericane dal punto di vista quasi esclusivo del padre che le alleva e le allena. In apertura di film la sua voce fuori campo spiega allo spettatore: quando una cosa non conosco mi interessa, la imparo dai migliori. Scopriremo poco dopo che Richard, insieme alla moglie e alle cinque figlie segue rigidamente un fantomatico "piano" che porterà le due più promettenti atlete di casa a vincere più volte Wimbledon (Venus) e diventare quella che è considerata la miglior tennista della storia (Serena).
Onore al merito a Richard, che ha elaborato questo piano sin da quando lui e la moglie non avevano ancora dato alla luce nessuna delle figlie: il suo progetto irriso e ignorato da tutti ha funzionato. Sì, ma a quale costo? È questo l'enorme non detto che aleggia sul film, anzi. Molte cose vengono dette e mostrate sul come, in concreto, Richard abbia tirato su due grandissime campionesse, ma il problema è che tutto viene presentato in chiave così positiva da divenire celebrativa. Lascio da parte il giudizio morale e la complessa problematica del razzismo e concentro su ciò di cui mi occupo, ovvero del valore cinematografico di una pellicola che racconta due campionesse mettendo al centro la loro figura paterna, di cui sono totalmente gregarie nel racconto.
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Una visione un po' démodé nel 2022 ma d'altronde con questo film Serena vuole omaggiare il padre e Will Smith, dopo aver conquistato il Golden Globe ed essere intervenuto anche finanziariamente come produttore, vuole vincere un Oscar. Il femminismo quindi si ferma alla porta dell'ambizione di chi il progetto l'ha messo in piedi. Tuttavia non è un'occasione sprecata o una forzatura, anzi: la figura di Richard è così paradossale, così controversa che ha un senso specifico metterla al centro dell'operazione.
Un padre padrone e re può essere un eroe?
Stiamo parlando di un uomo che si fa chiamare (non ironicamente) Re, che rilascia interviste anni prim che le figlie entrino nel mondo del professionismo millantando le loro qualità, che avvicina e tira dalla sua parte con mezzi tra il vessatorio e il truffaldino gli allenatori bianchi di cui ha bisogno per preparare le figlie. Certo Richard è un uomo che ha messo la sua vita completamente al servizio della famiglia, che non perde di vista un attimo le figlie per cui sogna l'uscita dal ghetto di Compton. Il film arriva a mostrarcelo sul punto di scegliere i mezzi più estremi per proteggere la sua famiglia, salvo poi venire provvidenzialmente salvato dal caso.
Tuttavia la pellicola manca completamente di scavare nelle crepe più evidenti del mito di Richard, lasciando che il caso, la storia o abili omissioni ne mantengano lo status di figura positiva. Se il piano punta a portare la famiglia a vivere una vita agiata, perché scegliere uno sport così ostile nei confronti dei neri, così basato su disponibilità economiche borghesi? Perché non tentare una via più facile (a un certo punto qualcuno consiglia a Richard la pallacanestro)? Anche se il film glissa, è evidente che l'ambizione di Richard è battere i bianchi al loro stesso gioco, usando come pedine le proprie figlie.
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Quello che non lascia indifferenti è come il destino di tutta famiglia e della prole sia stato scritto ancor prima che le figlie venissero al mondo. Serena, Venus e le altre non hanno la possibilità di scegliere che sport praticare, in quale ambito affermarsi socialmente ed economicamente. Ogni minima trasgressione del piano (anche gioire un po' troppo per una vittoria) porta a una reazione spropositata da parte del padre (abbandonare le figlie a piedi nel bel mezzo di un quartiere che lui stesso dice essere pericoloso). È sconcertante vedere come il film presenti come normali contesti in cui le giovani ragazze sono evidentemente a disagio, alla ricerca della risposta o dell'azione giusta per venire incontro ai desideri del padre. Persino vedere un film Disney diventa una lezione forzosa, in cui il padre chiede a ciascuna cosa ha imparato dal film per poi sovraimporre la sua visione.
La figura di Richard di punti oscuri ne ha parecchi, liquidati con parecchia fretta in un dialogo concitato con la moglie: le imprese andate a rotoli, i precedenti piani falliti, i figli illegittimi che bussano alla porta. Eppure il film non si ferma mai a chiedersi e chiederci cosa sarebbe successo se una delle due ragazze si fosse infortunata o avesse perso interesse nel suo sport. Anzi, presenta con luce celebrativa la missione schiacciante che viene scaricata sulle spalle di Venus, di rappresentare "ogni ragazza nera nel mondo". Serena invece viene quasi messa volontariamente nell'angolo, tra il trascurato e l'esaltato segretamente dal padre, nella speranza che reagisca nel modo giusto.
C'è il potenziale per un grande film su un nuovo tipo di padre padrone, uno che riesce in un'impresa straordinaria ma facendo pagare il prezzo più alto alle figlie. Ragazze la cui giornata è scandita in ogni momento da un obiettivo posto quando non erano ancora nate e scelto per loro dall'alto. Nel film non le vediamo mai interagire con un coetaneo, avere amici al di fuori della cerchia famigliare, ritratta come un gioioso universo totalizzante, soffocante.
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I personaggi - bianchi e neri - che si frappongono sulla strada del piano diventano caricature o figure malevole. Quando per esempio la polizia viene chiamata dalla vicina perché Richard maltratterebbe le figlie, Will Smith tira fuori un discorso ricco di retorica su come le ragazze siano le migliori a scuola, parlino diverse lingue e siano ben nutrite, vestite e pulite. Nel film però - che ripeto, dura ben 2 ore e 20 - non le vediamo mai prendere una singola scelta individuale, reclamare del tempo per sé stesse. L'unico capitolo in cui hanno voce è il tennis, ma solo previa approvazione paterna.
Se Una famiglia vincente è interessante non è per come affronta la storia della famiglia Williams. Piuttosto per come, nonostante il metodo celebrativo utilizzato, finisca per essere rivelatore di un carattere in cui si mischia una grande forza d'animo e un ego spaventoso. Un altro progetto, più indipendente e meno celebrativo, avrebbe potuto tirarne fuori un film la cui narrazione facesse davvero giustizia a un personaggio così complesso o mettesse in luce le volontà delle donne sui cui, letteralmente, comanda.
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