Dopo The Boy and the Beast, Mirai e Wolf Children, sappiamo già cosa aspettarci da Mamoru Osoda, uno dei registi di animazione giapponese più noti e apprezzati a livello internazionale. Amante dei generi fantasy e fantascienza, Osoda presenta al suo pubblico storie dalle premesse bizzarre ma affascinanti, che seguono spesso bambini e adolescenti alla ricerca di un punto fermo dentro di sé per crescere.
Rispetto ai suoi predecessori, Belle ha un approccio molto più tradizionale e guarda a una storia notissima in Occidente. Si tratta infatti di una rielaborazione della classica fiaba francese di La bella e la bestia, su stessa ammissione di Osoda nella versione mutuata dal classico di animazione Disney degli anni ’90. Stavolta però la bella e la bestia sono entrambi giovanissimi in difficoltà che si muovono in una realtà virtuale alla Ready Player One, particolare che riporta prepotentemente il tema fantascientifico tanto caro all’autore alla ribalta.
L’esito è un film che come spesso accade nel cinema di Osoda intriga all’inizio e nel suo svolgimento, ma non dà una chiusa davvero soddisfacente, risultando a tratti piuttosto superficiale.
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La trama di Belle
La protagonista del film è una ragazzina di nome Suzu Naito (interpretata dalla cantante e doppiatrice Kaho Nakamura). Suzu vive con il papà, che tratta in maniera scostante. La bambina ha perso la madre qualche tempo prima e, nonostante gli sforzi del papà che tenta di starle vicino, vive un momento difficile. La madre di Suzu infatti è morta nel tentativo di salvare un ragazzino incontrato per caso durante un alluvione: il bimbo di è salvato, ma lei ha perso la vita. Per questo motivo la ragazza prova una forte rabbia, ritenendo di essere stata abbandonata dalla genitrice per salvare uno sconosciuto.
Dalla morte della madre, Suzu non riesce più a cantare, attività che ama e che le era stata insegnata proprio dalla madre. L’amica Hiro le suggerisce di provare a iscriversi a U, una realtà virtuale popolarissima tra i più giovani in cui ognuno ha un profilo unico e insostituibile, associato alla propria impronta genetica. Ogni utente può creare il sui alter ego, disegnandone il design.
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Nei panni di Belle, un ragazza più grande di lei dai lunghi capelli rosa e dalle efelidi sul volto, Suzu diviene popolarissima come cantante: dentro U infatti, dove nessuno conosce la sua vera identità e riesce a cantare senza bloccarsi. Durante un’esibizione s’imbatte nella Bestia, un avatar noto per il suo potenziale distruttivo e per il suo sfidare i tutori dell’ordine dentro U, seminando distruzione. Suzu però rimane affascinata dalla Bestia e si mette sulle sue tracce, decisa a entrare in contatto con lui.
Mamoru Osoda tra musica e disagio giovanile
A livello tecnico Belle conferma la padronanza del mezzo animato del suo regista di Mamoru Osoda, che qui scatena il potenziale visivo della realtà virtuale di U con sontuose scene in cui un folla di avatar tutti differenti ascoltano cantare Suzu attraverso il suo avatar Bell, poi ribattezzato Belle. Come già visto in The Boy and the Beast, Osoda è particolarmente versato nel raccontare e animare imponenti creature bestiali dall’animo gentile, contrapponendole a giovani esseri umani.
Gradevole ma non così memorabile la colonna sonora, ricca di canzoni cantante dalla protagonista. Il regista di Mirai inizialmente puntava a realizzare un musical, ma la scarsa dimestichezza del pubblico giapponese con questo genere fuso all’animazione nostrana gli ha fatto cambiare idea.
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Un altro punto a favore del film è sicuramente la capacità di trattare attraverso la metafora tecnologica di U almeno un paio di temi spinosissimi come il lutto e la violenza vissuti in giovanissima età. La risoluzione dell’identità della Bestia devia molto dalla storia originale ed è un pugno allo stomaco, che racconta una realtà durissima, a cui le stesse autorità giapponesi sembrano non essere davvero preparate a contrastare.
Belle racconta i mondi virtuali in cui viviamo con superficialità
Meno convincente invece il trattamento riservato alla tematica della vita social e virtuale contrapposta a quella reale. Il film a più riprese sottovaluta con grande superficialità l’impatto che critiche e commenti online possono avere sul reale, minimizzando la portata di conseguenze reali di ciò che accade nel mondo di U. Il film non prende minimamente in considerazione quali possano essere le conseguenze di un livello di popolarità come quello acquisito da Belle, specie se a portarlo sulle spalle è una ragazzina appena agli inizi della sua adolescenza.
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La scelta finale di Suzu, volta a farle capire intimamente le ragioni che portarono sua madre a sacrificarsi per salvare un bambino sconosciuto, è difficile da digerire quando tutti i giorni tocchiamo con mano quanto la propria identità pubblicata sui social possa essere bersaglio di parole e gesti terribili; attacchi che sembrano inevitabili di fronte a un livello di popolarità ben più basso di quello globale di Belle.
Osoda crea U sulla falsariga di realtà virtuali come quella di Ready Player One, ma si limita a sfruttarne il potenziale visivo per la regia e narrativo solo per chiudere in fretta la vicenda. La sua narrazione però risulta a tratti poco credibile per la superficialità con cui narra il virtuale, mancando di vedere le sue conseguenze sul reale e il presente,
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Voto di Cpop
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