Citadel: Honey Bunny, recensione - una spy story che sorprende, dall'universo dei fratelli Russo

Citadel: Honey Bunny gode di una spinta diversa rispetto agli altri tasselli dell'universo cui appartiene; la sua è una voce interessante e fuori dal coro.

Autore: Nicholas Massa ,

Disponibile su Prime Video dal 7 novembre 2024, Citadel: Honey Bunny è il terzo tassello di un universo narrativo che non accenna a fermarsi nel raccontare le storie dei suoi protagonisti, investendo non soltanto sulla poliedricità di una scrittura culturalmente sfaccettata, ma anche sulle maestranze dei luoghi in cui vediamo nascere i vari progetti di volta in volta. Dalla visione di un lavoro condiviso, emerge un insieme di voci guidato però sempre e comunque da una coerenza di fondo, legata ai modelli visti innanzitutto nella prima stagione di Citadel. Il futuro, però, diventa del tutto imprevedibile grazie agli artisti coinvolti e alla loro capacità di narrare, offrendo racconti differenti proprio in termini di natura e di identità.

Tutto torna curiosamente ai fratelli Russo e alla società AGBO, tutto torna alla voglia di costruire un puzzle in cui ogni singolo tassello è diversissimo da tutti gli altri, pur legandosi insieme in qualche modo; tutto torna a un connubio di voci che dovranno saper funzionare grazie all’impegno generale e ai dettagli sparsi. Con Citadel: Honey Bunny il racconto si sposta in India, abbracciando una manciata di personaggi e sviluppi che si distinguono immediatamente per la loro scrittura e caratterizzazione umanissime.

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Con la regia di Raj, DK, la serie si concentra sulle vite e circostanze specifiche dei due protagonisti che vediamo anche nel titolo: Honey (interpretata da Samantha Ruth Prabhu) e Bunny (portato sul piccolo schermo da Varun Dhawan). La loro storia non è delle più semplici, sviluppandosi fra le ombre di un mondo che li metterà alla prova senza pensarci due volte.

Citadel: Honey Bunny, una storia su due fronti

La storia di Citadel: Honey Bunny si presenta al suo pubblico seguendo due strade temporali precise: una nel presente, in cui vediamo Honey insieme alla piccola figlia Nadia, impegnata a proteggerla per via di alcune ragioni che non conosciamo all'inizio, presumibilmente connesse col suo lavoro di spia; e l’altra nel passato, nel quale possiamo scorgere le scelte specifiche che l’hanno portata a lavorare nel mondo dello spionaggio a contatto con lo stesso Bunny. Due facce di una medaglia piuttosto misteriosa che si sposa alla perfezione col contesto del racconto nella sua costruzione.

Resta sicuramente interessante il binomio/confronto fra i protagonisti, inquadrati in una fase della loro vita passata (con tanto di brevi approfondimenti) e nel presente. Nella stessa costruzione formale di questa identità scissa si possono individuare alcune scelte stilistiche affascinanti, come quella specificamente connessa con gli anni ’90 di un’India oggi lontanissima, di pari passo a un presente che identifica il contesto di Citadel: Honey Bunny in modo molto diverso. 

I personaggi che vediamo nel 2000 sembrano essere differenti da quelli degli anni '90, e tutto il gioco di Citadel: Honey Bunny si basa proprio sulla comprensione di questa trasformazione, intrisa di intrigo e morte.

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Passato e presente, vita normale e spionaggio, si intrecciano ai tentativi di una Honey che vorrebbe sfondare come attrice, giungendo fra le ombre della spy story in questione proprio attraverso questo suo sogno, che diventa immediatamente riflesso e riflessione su cosa si è disposti a fare e fin dove ci si potrebbe spingere pur di trovare il proprio posto nel mondo. Ma anche amore per qualcuno e amore genitoriale, legami di sangue e professionali, il tutto proiettato nello spionaggio più distaccato. 

Uno spirito del tutto differente e personale

Come era avvenuto durante la recensione di Citadel: Diana, anche nel caso di Citadel: Honey Bunny le primissime evidenze e distinzioni risiedono proprio nello spirito creativo alla base del progetto seriale in questione, ovviamente. La regia e le scelte stilistiche dei registi giocano e allo stesso tempo riflettono sul contesto in cui la storia si sviluppa, ponendo, contemporaneamente a ciò, i protagonisti principali lungo strade che tentano di sfidare il concetto più classico da spy story. Sono proprio Honey e Bunny a rapire fin dall’inizio, grazie al rapporto e al legame che hanno fra loro e con il cinema di stampo indiano, ma anche con lo stesso mondo in cui si ritrovano a lavorare insieme.

È nello stile generale che Citadel: Honey Bunny si differenzia dalle altre serie Citadel, trovando fin da subito la propria strada. Andando oltre la storia al suo centro e alcune ombre da scoprire, le interpretazioni di Samantha Ruth Prabhu e Varun Dhawan convincono, divertono ed emozionano proprio per l'attenzione all'emotività di fondo di entrambi. La serie, quindi, presenta due protagonisti sia distanti e professionali, che umanissimi e vicini allo stesso pubblico a casa. Il loro riflettere e analizzare quanto accade e quanto stanno realizzando trasmette una credibilità da non sottovalutare, importante per comprendere la distinzione con gli altri prodotti dello stesso universo narrativo.

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Come approfondito pure in fase di intervista con la stessa Sita Menon (che ha scritto la serie), sono proprio le radici dei personaggi a fare la differenza in Citadel: Honey Bunny, e il modo in cui sono stati costruiti a livello di dettagli biografici e di origini. Questa doppia natura misteriosa torna perfettamente coerente in un prodotto che vuole farsi scoprire a poco a poco, fondendo a una freschezza generale alcuni modelli chiari del cinema di spionaggio più classico e riconoscibile, per poi rifletterci su in un percorso che oscilla fra passato e presente, fra nuovo e vecchio, fra distaccato e umano, fra professionale e fragile.

La scelta di ambientare parte della storia negli anni ’90 alimenta un’ulteriore curiosità riguardo al lato più culturale di Citadel: Honey Bunny, presentando scelte estetiche e tecnologiche inevitabilmente retrò, a contatto con un periodo storico sicuramente affascinante per la stessa India. In tutto ciò, la battaglia fra bene e male, fra le forze delle compagnie in gioco, resta il centro focale di una grande partita a scacchi comprensibile solamente quando si ha il campo da gioco in totale vista. 

Citadel: Honey Bunny è sia diversa che simile agli altri prodotti del progetto Citadel. Il suo spirito creativo, però, la differenza di molto dagli altri "tasselli" usciti in precedenza, evidenziando nel lavoro di scrittura e caratterizzazione di questa stagione un impegno e una cura sicuramente distintivi. In parallelo a tutto ciò troviamo pure alcuni momenti action interessanti e coreografati a modo.

Commento

Voto di Cpop

75
Citadel: Honey Bunny ci ha colpito in positivo per tante ragioni differenti. Ammantandosi di uno stile che trova le sue radici in un approccio alle immagini diverso da quello occidentale, questo nuovo tassello dell'universo Citadel prende per alcune scelte in termini di scrittura e caratterizzazione, ma anche con il suo immaginario culturale e fittizio tutto da scoprire episodio dopo episodio. Sono però i suoi protagonisti principali e la loro caratterizzazione a lasciare il segno (villain principale compreso), in una cura che umanizza rendendo credibile e vicino al grande pubblico.

Pro

  • La caratterizzazione dei due protagonisti principali.
  • La scelta di ambientare parte del racconto negli anni '90 e nel 2000.
  • Il fascino di uno stile generale che rinfresca il genere.

Contro

  • Alcune trovate abbastanza prevedibili.
  • Gli elementi più classici possono, in alcuni casi, stonare con le trovate interessanti alla base del racconto.
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