Diva Futura, recensione: il sogno erotico tra VHS, mito e disillusione

Diva Futura è un viaggio tra le icone dell’eros italiano, per analizzare il potere dell’immagine, il sogno della trasgressione e i suoi limiti.

Autore: Nicholas Massa ,

Nell’Italia degli anni ’80 e ’90, una nuova ondata concettuale sta prendendo il sopravvento su un contesto fino a quel momento sospeso in questo senso. A portarla sono state le icone immortali della Diva Futura, un’agenzia legata all’erotismo, soft e non, guidata da un uomo “con una visione” precisa sia della donna che del sesso, ma anche di tutte le libertà possibili. Alla base un intento ribelle e quasi rivoluzionario, una concezione dell’altro e del corpo femminile che ha fatto scuola in qualche modo, contribuendo a sviluppare un immaginario specifico che ancora oggi si nutre di quei tempi, oggettificandone a suo piacimento il mito, forse eterno, in un gioco di rimandi e ritorni impossibile da ignorare.

Diretto da Giulia Louise Steigerwalt (in precedenza regista di Settembre) e tratto dal romanzo Non dite alla mamma che faccio la segretaria di Debora Attanasio, Diva Futura prende il mito erotico irraggiungibile e lo sublima attraverso lo sguardo personale e biografico di una narratrice che ha visto tutto in linea diretta, costruendo una narrazione a metà fra il ricordo nostalgico e la critica specifica a un’Italia precisa, bigotta e soprattutto ipocrita. Sono le donne e lo specifico femminile a parlare e a sintetizzare in modo diretto l’anima stessa di una pellicola che spoglia, ma in modo diverso da quello che ci si potrebbe aspettare, approfondendo e trasformando l’iconografia pornografica in umanità, anche fragile.

Un lavoro temporaneo

È proprio attraverso il personaggio di Debora (portata sul grande schermo da Barbara Ronchi) che facciamo ingresso nel mondo imprevedibile della Diva Futura, quest’agenzia sulla Cassia di cui tutti parlano e hanno parlato, in cui alcune fra le più grandi pornostar degli anni ’80 e ’90 hanno concretizzato la loro ascesa in una carriera pressappoco indelebile. Debora è alla ricerca di un lavoro temporaneo, ha bisogno di soldi per pagare il mutuo e non è riuscita a trovare altro. Il suo passo timido e incerto è lo stesso del pubblico, lo stesso nostro, che ci affacciamo su un mondo distante anni luce dal presente attuale, ormai perso e cancellato per sempre.

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Il sogno di Debora è quello di diventare, un giorno, una giornalista; nel frattempo, tenta la sorte con un ripiego da assistente/segretaria e così entra in contatto con il famoso Riccardo Schicchi (interpretato da Pietro Castellitto) e con la sua “corte” di volti noti nel mondo dell’eros italiano. Dive e divi in un’alternanza di critiche e momenti sempre e comunque sopra le righe, ritratto incerto di un contesto sociale che accetta e degrada se stesso in qualche modo, nell’andirivieni di un desiderio che passa innanzitutto dalle immagini e dall’immaginario comune.

Una visione

Avere la possibilità di “tastare con mano” il contesto della Diva Futura consente alla regista di analizzare e approfondire un fenomeno andando oltre le convenzioni del caso e storiche. Così vediamo sfilare sul grande schermo personaggi come Ilona Staller (Cicciolina), Éva Henger e Moana Pozzi, volti immortali di un contesto che l’Italia stessa, ma anche tutto il mondo, ha sempre letto e interpretato in un modo specifico, tentando di andare oltre le maschere, le storie e le leggende, così da metterne a nudo ciò che hanno dentro. L’analisi sullo specifico femminile in rapporto, e contrasto, con un ambito sociale definito diventa una delle riflessioni principali di un film che non resta mai, fortunatamente, in superficie.

Tutto, poi, passa attraverso la “visione” particolare dello stesso Schicchi, che in Diva Futura tenta di traslare lo stesso desiderio erotico e sessuale degli italiani, identificandolo con una particolare lettura del corpo femminile che viaggia sempre in bilico fra il volgare e una sensibilità facilmente fraintendibile. Nella caratterizzazione di Riccardo, quindi, prevale un lavoro che tende a umanizzare il mito, suo e delle “sue artiste”, lavorando a stretto contatto con una scrittura per immagini che imprime uno stile preciso, dai tratti nostalgici ma anche diretti e mai volgari.

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Sembra quasi che il film di Giulia Louise Steigerwalt voglia fare il verso allo stile più classico delle VHS pornografiche in termini di estetica generale, servendosi di una fotografia curata da Vladan Radovic, al tempo stesso coloratissima e sporcata, in qualche modo mai precisa, in un’alternanza cromatica fra eccitazione e dramma.

A guidare la narrazione principale di Diva Futura, poi, troviamo il tema del sogno, della realizzazione di qualcosa di apparentemente impossibile e dell’illusione nel costruirlo a contatto con un mondo ancor più imprevedibile e incoerente di quanto si possa immaginare. Tutto si muove nella dimensione dell’ascesa e della discesa, nel dramma umano e nelle sue interpretazioni, nella trasformazione della “mitologia erotica” in umanità nascosta ed esposta, contribuendo ad approfondire alcune figure dell’immaginario culturale italiano, dando loro peso e spessore oltre gli stereotipi del caso

Il discorso alla base di Diva Futura è più chiaro che mai, forte di una manciata di interpretazioni, in particolare quella di Denise Capezza, che tenta di confrontarsi con tutte le storie circolate intorno al personaggio inarrivabile e inafferrabile di Moana Pozzi.

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La discussione alla base del film si relaziona direttamente con un pubblico che sa e non sa, che conosce e non conosce, richiamando direttamente lavori cinematografici come Boogie Nights, banalmente, ma anche Il regista nudo (serie TV giapponese su un famoso regista porno) e simili, tentando di imprimere una lettura e una critica specifica ma sempre e comunque romanzata.

Una scelta del genere, ovviamente, oltre che ammaliare contribuisce anche a parzializzare un materiale che si concretizza per intero nello sguardo della narratrice principale. Ecco che la testimonianza diretta di qualcuno che quelle cose le ha vissute diventa la scusa perfetta per evidenziare i limiti di un’Italia precisa e consapevole della propria ignoranza di fondo, di un’ipocrisia che resta sicuramente sul grande schermo, anche se impressa in un disordine generale che avvolge e investe, ma a tratti confonde, purtroppo.

Commento

Voto di Cpop

70
Diva Futura di Giulia Louise Steigerwalt esplora il mito dell’industria dell’eros italiana tra gli anni ’80 e ’90 attraverso lo sguardo personale e biografico della protagonista. Il film umanizza la figura di Riccardo Schicchi e delle sue artiste, restituendo una narrazione che oscilla tra nostalgia e critica sociale. Con una fotografia elaborata che richiama l’estetica delle VHS pornografiche, la regista analizza il fenomeno oltre gli stereotipi, trasformando l’iconografia erotica in un racconto più intimo e sfaccettato. Diva Futura si confronta con un’Italia ipocrita e moralista, mettendo in luce la complessità delle sue icone senza trascurare il peso del sogno e dell’illusione. Pur evocando riferimenti cinematografici come Boogie Nights e Il regista nudo, il film mantiene un’impronta romanzata che affascina ma, a tratti, parzializza il materiale trattato, lasciando spazio a un disordine narrativo che può confondere lo spettatore.

Pro

  • Il film evita la semplice celebrazione dell’industria dell’eros e ne offre una lettura più intima e sfaccettata, umanizzando figure spesso relegate a semplici icone.
  • Il cast, in particolare Barbara Ronchi e Denise Capezza, offre performance solide e sfumate, contribuendo a dare spessore ai personaggi e rendendo più credibile la dimensione umana della storia.

Contro

  • Il film tenta di abbracciare molteplici tematiche, ma il disordine narrativo rischia di confondere lo spettatore.
  • Pur offrendo spunti di riflessione, la scelta di una narrazione fortemente romanzata potrebbe limitare la portata critica del racconto.
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