Il robot selvaggio, recensione: la tecnologia ha un cuore?

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Autore: Nicholas Massa ,

L’animazione è da sempre fucina di grandi storie, mezzo attraverso cui la magia riesce facilmente a prendere forma e consistenza, divenendo narrazione, voce e impeto, ma anche concretizzazione creativa, materializzazione istantanea e riconoscibilità iconica. È proprio questo il caso di Il robot selvaggio, film animato diretto da Chris Sanders (Lilo & Stitch, Dragon Trainer, I Croods e altri) e tratto dall’omonimo romanzo illustrato realizzato da Peter Brown

Nell’identità di una storia che di base non offre un’idea mai vista altrove, il lungometraggio riesce a trarre un racconto che non si nutre solamente della scrittura e caratterizzazione dei suoi protagonisti, abbracciando una dimensione animata che esplode e avvolge proprio per la sua cura generale in termini cromatici e di regia. Il film sarà disponibile nei cinema italiani dal 10 ottobre 2024, con due anteprime programmate per il 29 settembre e il 6 ottobre dello stesso anno.

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Il robot selvaggio è uno di quei lungometraggi che si potrebbe leggere per intero fin dal suo trailer. Eppure riesce comunque a lasciare senza parole proprio per le modalità attraverso cui è stato costruito in termini creativi e formali. Nell’apparente semplicità di una storia che potrebbe ricordare da vicino altre opere, anche cult, come Il gigante di ferro e simili, Il robot selvaggio segna una strada tutta personale che si connette alla nostra contemporaneità in modo interessante, approcciandosi all’ideale di un rapporto che riguarda da vicino anche tutti noi e il mondo in cui viviamo e che stiamo costruendo. Dreamworks torna quindi a far parlare di sé, torna alla qualità cui ci ha abituati negli anni, sfornando però un prodotto di una delicatezza disarmante e poetica emotiva che rompe ogni barriera del caso.

Il robot selvaggio alla deriva

Gli eventi principali di Il robot selvaggio si aprono con un naufragio al cui centro troviamo un robot, il Rozzum 7134. Un moderno strumento congegnato dalla razza umana in funzione dei bisogni della popolazione e della facilitazione della vita sulla Terra. Risolvere e portare a termine i compiti assegnati: questi sono gli unici interessi diretti della macchina che, una volta ritrovatasi sulle rive di un’isola apparentemente deserta, cerca in tutti i modi di assolvere al proprio funzionamento, lanciandosi a capofitto su flora e fauna locali.

Questo fino al casuale incontro con una piccola oca appena nata, tanto sola quanto lo stesso robot. In un ambiente del genere, ostile in ogni suo anfratto, la macchina si prefiggerà l’obiettivo di adattarsi a ciò che la circonda, cercando di apprendere i linguaggi, usi e costumi dei suoi piccoli abitanti costantemente mossi dal proprio istinto e, in funzione di ciò, ottenere il suo primo, vero e fondamentale incarico: quello di far sopravvivere quel piccolo pennuto, che pare essersi legato a lei in un modo che nessuno si sarebbe mai aspettato.

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Andando oltre task, programmazione e tecnologia straordinariamente poliedrica, è proprio nella semplicità emotiva di una dinamica così imprevista e del tutto sconclusionata, almeno nei suoi primi momenti, che si sviluppa tutta la forza di una narrazione che vuole rivolgersi direttamente al pubblico in sala, mettendo in scena i germogli di una famiglia su cui nessuno avrebbe mai puntato un centesimo. Il robot selvaggio sfrutta la dimensione dell’assurdo e una particolare comicità proprio in questo senso, regalando un’esperienza che sa trattare tematiche molto complesse e sfaccettate con una semplicità disarmante e preziosa.

La famiglia e il significato di un legame del genere

Alla base della magia di Il robot selvaggio, prima ancora della cura formale generale, troviamo l’attenzione nel caratterizzare una manciata di personaggi che riescono a comunicare le loro intenzioni fin dalle primissime battute a schermo. La progressiva trasformazione di Rozzum 7134 in Roz è qualcosa di magico e al tempo stesso estremamente delicato, specificamente connesso con la tematica della genitorialità e l’inesplicabile difficoltà nell’assumere un ruolo del genere nella propria vita, senza avere la benché minima idea di cosa significhi e dei sacrifici che ci si troverà ad affrontare in seguito. Oppure la crescita della piccola oca, che poco a poco matura trovandosi a condividere il proprio cuore con un essere che gli altri abitanti della foresta non comprendono fino in fondo.

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In un’immediatezza del genere, valorizzata dallo studio animato ed estetico, c’è il cuore pulsante di un racconto estremamente sfaccettato e complesso nel suo porsi al pubblico, riuscendo perfettamente a interagire sia con i più grandi che con i più piccoli, anche in modi del tutto differenti. Una sensibilità di questo tipo, ovviamente, si deve rintracciare innanzitutto nello stesso Chris Sanders, che qui non cura solamente la regia, essendosi occupato anche della sceneggiatura.

Universal Pictures.
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La sua è un’impronta a tutto tondo, uno sguardo che avvolge gli eventi in corso e tutte quelle sfumature difficili da calibrare, ma impresse grazie alle scelte formali e a un amore per il materiale a schermo, trattato in modo praticamente attento in ogni inquadratura. Il racconto alla base di Il robot selvaggio, pur se apparentemente semplice, si concretizza in una serie di riflessioni veramente difficili da esprimere a parole, e in questo il film risulta vincente.

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La genitorialità di Roz e il senso di inadeguatezza che si prova lontano “dalla propria gente”, da quel posto perfettamente combaciante che tutti noi vorremmo trovare nella vita. Ma anche i legami profondi, al di là di ciò che si conosce, e le difficoltà che l’amore potrebbe porci lungo il cammino. Il robot selvaggio riesce a trasporre un’amalgama di complessità attraverso un linguaggio formale che è tutto personale e impossibile da trovare altrove.

Parte del fascino della pellicola risiede in questo saper trattare il difficile con facilità, complice anche il grande amore per un’animazione che lascia senza parole dall’inizio alla fine della storia. Ecco che il mondo intorno a Roz esplode di volti e piccole realtà, di usi e costumi, di battute pronte, mettendo in scena un vero e proprio habitat con regole e una riconoscibilità tutte personali.

Universal Pictures.
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Un impegno formale del genere va sicuramente sottolineato, apprezzato, studiato e divulgato in qualche modo, così da renderlo vero e proprio modello da imitare per le prossime generazioni di artisti dell’animazione. Anche se la CGI resta una costante ne Il robot selvaggio, le immagini si tingono di pennellate che rimandano a lavori più tradizionali in questo senso, regalando momenti e inquadrature che stordiscono per la loro potenza (complici la regia di Sanders e la colonna sonora di Kris Bowers).

 

Commento

cpop.it

90

Pur sviluppandosi da un'idea non troppo originale o inedita nel suo porsi al grande pubblico, Il robot selvaggio, nuovo lungometraggio animato firmato da Chris Sanders e Dreamworks, stordisce nelle modalità narrative e nella potenza creativa. Dietro alle semplicità di una storia immediatamente leggibile, albergano una serie di riflessioni e complessità che si fanno subito legame e interazione diretta col pubblico di tutte le età, tramutando la stessa animazione in ponte universale in cui le sfaccettature e le delicatezze trovano perfettamente il proprio posto, avvolgendo grazie a un amore generale tangibile dall'inizio alla fine.

Pro

  • Il lavoro in termini di animazione e caratterizzazione del mondo al centro del film.
  • La regia di Chris Sanders esplosiva e allo stesso tempo disarmantemente delicata.
  • Le tematiche al centro del racconto e il modo in cui vengono affrontate, costruendo gradualmente un linguaggio che si rivolge praticamente a tutti quanti.
  • La colonna sonora di Kris Bowers.

Contro

  • La storia, di per sé, non è troppo originale e facilmente prevedibile nella parte finale.
  • Il poco spazio dato alla controparte umana in senso diretto.
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