Lo spazio sta riacquistando interesse nell’immaginario collettivo e lo sta facendo sia attraverso la scienza che attraverso la cultura: da una parte missioni esplorative coordinate dalle maggiori agenzie spaziali del mondo, dall’altra, videogiochi, romanzi e soprattutto film.
Tre anni fa Christopher Nolan, il Re Mida del cinema di genere, ci aveva raccontato con Interstellar (2014) la sua storia su come l’uomo sarebbe arrivato a conquistare il Sistema Solare. L’anno dopo è stato il turno di Matt Damon e del suo The Martian (2015) e il 2017 è iniziato col poetico Arrival di Denise Villeneuve. A questo tris di film spaziali si aggiunge Life - Non Oltrepassare il Limite, film diretto da Daniel Espinosa, regista svedese a dispetto del nome, e sceneggiato da Rhett Reese e Paul Wernick già penne eclettiche dei dissacranti Deadpool e Zombieland.
Prima di entrare nel dettaglio della pellicola ci interessa sottolineare che, in un panorama fantascientifico saturato dai grandi franchise (Star Wars, Marvel Studios e DC Comics) o da film tratti da romanzi, Life - Non Oltrepassare il Limite è uno dei pochi lungometraggi di genere con una sceneggiatura originale. Se questo sia un bene o un male, lo vedremo tra poco.
Life - Non Oltrepassare il Limite: la trama
Show hidden content
Quando la sonda Pilgrim rientra da Marte con dei campioni di terreno prelevati dal Pianeta Rosso, la Stazione Spaziale Internazionale (ISS) diventa un laboratorio di ricerca sulla vita extraterrestre. Il suo equipaggio internazionale composto tra gli altri da Jake Gyllenhaal, il solito chiassoso Ryan Reynolds, Rebecca Ferguson e Hiroyuki Sanada ha il compito di studiare la forma di vita cellulare riportata dalla Pilgrim e di capirne, in un ambiente sicuro e lontano dalla Terra, le potenzialità. Calvin, questo è il nome che viene dato alla strana creatura scongelata dal terreno marziano, si dimostra una forma di vita molto intraprendente ma in seguito a un incidente di laboratorio, le cose si metteranno per tutti molto male.
Sony
Il problema Alien
Molti dei problemi di Life hanno a che fare con l’ingombrante sensazione di già visto che permea l’intera pellicola. L’equipaggio di una astronave costretto a combattere contro un resistente alieno omicida capace di evolversi molto in fretta non è esattamente una trama originale, e il paragone con Alien (1978) viene spontaneo lasciando Life piuttosto ammaccato dal confronto. In più qualche strizzata d’occhio di troppo al Gravity (2013) di Alfonso Cuarón non fa che aumentare la sensazione di déjà vu. Ma se cerchiamo di dimenticare queste contaminazioni, come si comporta Life?
Tra scienza e caso
Una delle cose che funzionano meglio in Life è tutto il comparto scientifico-tecnico che, soprattutto all’inizio del film, riesce a creare davvero un’atmosfera interessante. Lo studio di Calvin, la sua crescita, il modo con cui viene allevato, sono tutti dettagli che denotano un bello studio scientifico degli sceneggiatori. Inoltre il comportamento di Calvin, la sua evoluzione emotiva, è ben motivata senza ricorrere a scorciatoie. Purtroppo però questa attenzione fa un passo indietro in favore di troppe leggerezza di trama, come se per far andare il film nella direzione voluta non ci fossero altri mezzi se non una serie di incidenti fortuiti che mettono nei guai l’equipaggio.
Personaggi ma non troppo
Un altro successo a metà del film riguarda la costruzione dei personaggi. Se da un lato è interessante la caratterizzazione che viene data a quasi tutti i membri dell’equipaggio, dall’altro è un peccato che questi dettagli vengano poi utilizzati in modo piuttosto banale. Miranda North (Rebecca Ferguson) per esempio si presenta come un ufficiale di quarantena determinato e con le idee molto chiare salvo poi scivolare nello stereotipo di donna debole che si mette nelle mani del cavaliere di turno. Già da una prima occhiata a ciascun personaggio, si riesce a capire quale sarà la sua funzione nell’economia della trama e questa non è mai una buon cosa.
Nel complesso però, Life è uno degli esempi più lampanti di come un insieme di ingredienti non eccelsi riesca comunque a essere superiore alla loro mera somma aritmetica. Al netto dei difetti di cui abbiamo parlato, il film funziona piuttosto bene. Crea tensione, riesce a trasmettere la giusta claustrofobia e si impegna anche in un finale piuttosto interessante. Nel suo svolgimento, riesce persino a trattare alcuni temi etici senza annoiare e suggerendo comunque qualche spunto di riflessione sul valore della vita in quanto tale. Resta il rammarico di quello che avrebbe potuto essere con un po’ più di attenzione ma, nel panorama a volte desolato di remake, reboot, sequel e prequel non ce la sentiamo di essere troppo severi con un film che fa comunque lo sforzo di essere originale.
Iscriviti al nostro canale Telegram e rimani aggiornato!