Nel 2020 c’è spazio, al cinema e nel cuore delle persone, per l’ennesima rilettura di un classico della letteratura statunitense? La saga di romanzi di Louisa May Alcott con protagonista l’intrepida e volitiva Jo è l’equivalente statunitense del corpus di Jane Austen su suolo britannico. Eppure, pur avendo goduto di tanti adattamenti, Piccole donne sembra più classico, nel senso di intrappolato nella sua epoca, al passato remoto. È il simbolo di un’era, pur avendo significato molto per tante generazioni di giovani statunitensi cresciute insieme alle ragazze di casa March. Dal suo Natale senza regali alla molletta sul naso di Amy, Piccole Donne è tanto classico quanto scolpito nel suo tempo, precursore per alcuni versi ma anche limitato nel suo viaggiare dal 1868 a noi, senza nemmeno contare i ripensamenti e le incongruenze che la sua stessa creatrice ci ha riversato dentro (e nei sequel).
Insomma, l’obiezione più forte al film di Piccole Donne di Greta Gerwig, frutto del lavoro di una di quelle ragazze cresciute dalla e nella fascinazione di Jo e le altre, sta nella possibilità di dire o fare qualcosa di nuovo con un materiale così noto e così inamovibile. Sono entrata al cinema da scettica, accompagnata da un anno di entusiasmi a mio modo di vedere non sempre proporzionati a un film frizzante ma non esaltante come Lady Bird. Ne sono uscita con la netta impressione di dovermi ricredere.
Seguendola dai suoi esordi d’attrice e sceneggiatrice non avevo dubbi che Greta Gerwig non si sarebbe rivelata un fuoco fatuo, ma certo non mi aspettavo che riuscisse a trovare un così forte perché al suo sogno di bambina di portare Piccole donne su grande schermo, riuscendo persino a correggere qualche passo falso di Louisa May Alcott.
Svecchiando il mito delle sorelle March
C’è solo una discriminante per potersi godere appieno il film di Greta Gerwig ed è conoscere molto bene le vicende della famiglia March, i vizi e le virtù delle quattro sorelle Jo, Amy, Meg e Beth. La sceneggiatura di Greta Gerwig dà ampiamente per scontata questa base di partenza, anzi; dialoga con lo spettatore proprio a partire dalle sue aspettative, sin dall’introduzione a viva voce della regista, fino alle lettere che i protagonisti si scambiano e che gli interpreti leggono con lo sguardo rivolto alla cinepresa.
Quel che Greta Gerwig fa meglio è scavare dentro al mito di Piccole Donne, ai suoi passaggi obbligati, ridonando loro senso e profondità. È forse l’adattamento in cui le figure di Amy e Beth - le più stereotipate e meno vivide del quartetto - si avvicinano più allo status di persone oltre al personaggio. Senza stravolgerle, Gerwig scava con acume e affetto nei loro personaggi, donando ad entrambe una saggezza inaspettata, un conflitto interiore pari a quello dell’indiscussa protagonista Jo, nella ricerca del proprio posto nel mondo cha accomuna tutte le donne del film. Dalle sorelle alla madre, passando per la ricca e anziana zia, ogni donna cerca di essere fedele a sé stessa, spesso scontrandosi con i propri fallimenti e i limiti a lei imposti dal mondo circostante e dalle aspettative altrui.
Il fatto che il carisma di Joe non venga costruito a discapito delle tre sorelle racconta molto bene l’attenzione e il talento con cui Greta Gerwig sviluppa le relazioni tra sorelle (e genitori e amanti) grattando via i dialoghi talvolta superficiali della Alcott, rimodernandone le istanze ma soprattutto liberando le protagoniste dalla loro dimensione ingenua e adolescenziale. Il cambiamento più forte e coraggioso di Piccole Donne è che il film si sofferma a lungo su quando e come le quattro perdano quel “piccole”, non lesinando dolori, rimpianti, scoraggiamento, lutti. Piccole Donne è fatto tanto di gioie infantili quanto di scelte adulte e sbagliate che i personaggi (e noi con loro) sappiamo rimpiangeranno per tutta la vita, anche in quel dopo che non ci viene mostrato.
La scrittura di Greta Gerwig è davvero incisiva, capace di tenere per mano il racconto di un classico in una veste canonica e un suo profondo svecchiamento e rinnovamento, mettendoci persino un accento autobiografico e personale (tutte le parti in cui Jo si confronta con la sua educazione religiosa e il tentennamento della sua fede). Certo qualche volta finisce per esagerare un po’ e si passa da un racconto di emancipazione femminile (vissuto attraverso il lavoro ma anche il matrimonio, la mancanza dello stesso, la malattia e la solidarietà) a un comizio tra #MeToo e gender studies, ma il più delle volte arriva dritto al cuore.
Un cast perfetto
Un altro enorme merito del film è di centrare un cast tanto glamour quanto efficace. Saoirse Ronan si ritrova per le mani una Jo sospesa tra una canzone di Beyoncé, un’eroina romantica delle sorelle Brontë al netto del masochismo e quella vaga allure queer che ha reso la protagonista il personaggio più iconico del mondo di Piccole donne. Al suo fianco però troviamo una magnetica Florence Pugh, che dimostra ancora una volta di essere un incrocio inarrestabile di puro magnetismo e bravura eccezionale. Se questa Amy è affascinante tanto quanto Jo, il merito è di un’ottima scrittura messa nelle mani di un’attrice in grado di non scomparire in un cast di superstar. Pericolo che corre Eliza Scanlen, che va lodata per come sappia interpretare un ruolo ingrato come quello di Beth rendendo simpatetico ciò che altrove è solo lamentoso.
L’avevamo già notata a Venezia nel suo esordio attoriale Babyteeth e qui si conferma una promessa per il futuro. Timothée Chalamet e Laura Dern non sembrano neppure fare la fatica di calarsi nei panni di qualcun'altro, mentre Meryl Streep è davvero in forma smagliante.
Tutto intorno poi c’è una produzione che coinvolge la crème de la crème delle maestranze hollywoodiane: con al tuo fianco la costumista Jacqueline Durran e il compositore Alexandre Desplat non è così difficile rendere un film visivamente e musicalmente iconico. Questo è il risultato che Greta Gerwig centra: accessibile, glamour, capace di svecchiare il corpus classico e di regalare una visione utopistica che personalmente trovo eccessiva ma che è quella giusta per l’oggi, l’ora e il suo pubblico. Piccole Donne dà proprio l’impressione di un adattamento rilevante nel presente e che nel futuro parlerà di quest’epoca. Sa già di quel classico che, quando passa in TV, si rivede volentieri. Un traguardo non da poco per un secondo film da regista, anche se poi la regia è il vero tallone d’Achille di Gerwig, che pasticcia un po’ dal punto di vista visivo (quegli orridi rallenti, perché?) e si muove così rapidamente da disorientare lo spettatore.
Per il resto tanto di cappello. Gli stan di Greta Gerwig continuano ad essere un tantino esagerati - siamo a qualche spanna di distanza dalle regie e dai film rivoluzionari dell'annata - ma non sono del tutto immotivati. C’è davvero di che entusiasmarsi, di fronte alla nascita di un nuovo classico.
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Piccole donne sarà nei cinema il 9 gennaio 2020.
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Voto di Cpop
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