Il cinema fa ancora una volta ritorno nel paese delle creature selvagge: un nuovo (vecchio) supereroe si appresta infatti a invadere le sale italiane. Non nasconde la propria identità dietro una maschera né indossa armature iper tecnologiche. È il Signore delle Scimmie, nato nella giungla e allevato dai gorilla, protagonista di The Legend of Tarzan.
Alexander Skarsgård presta il volto perennemente corrucciato e il fisico scultoreo al leggendario personaggio nato nel 1912 dalla penna di Edgar Rice Burroughs. Il regista David Yates, già dietro la macchina da presa della saga di Harry Potter, rifiuta la classica origin story - visto l'abbondante sfruttamento del personaggio sia al cinema che in TV - in favore di un'avventura che coniuga esotismo e CGI, parentesi rosa e superomismo, e che mira così ad attrarre un target di pubblico più ampio, avvicinando quello che ad esempio affolla le sale dei cinecomic Marvel e DC.
Tarzan, più che il re della giungla, è a tutti gli effetti lo Spider-Man ottocentesco: si lancia tra liane e sequoie secolari con la stessa sorprendente abilità con cui l'Arrampicamuri svolazza tra i grattacieli di New York. Possiede una forza sovraumana sconosciuta sia alle popolazioni indigene che ai coloni europei. È lui, stando alla rivisitazione del personaggio operata in The Legend of Tarzan, il trait d'union fra gli individui dalle virtù eccezionali dei poemi omerici e i supereroi dei fumetti prima e del cinema poi.
John Clayton III (Alexander Skarsgård), Lord Greystoke, all'inizio del film ci viene mostrato come un uomo strappato alle terre popolate da creature selvagge e ricondotto alla civiltà. Un destino che l'ex Signore delle scimmie subisce malvolentieri, ingabbiato com'è nei rigidi formalismi imposti dalla società vittoriana. Il protagonista di The Legend of Tarzan incarna l'archetipo dell'eroe maledetto, divorato dalla saudade e tormentato dai fantasmi del passato.
È anche (però) uno dei personaggi più politicamente corretti sfornato dal cinema negli ultimi anni. A dirla tutta, è proprio il film di Yates ad essere intriso di buoni sentimenti e messaggi positivi, che ne fanno un blockbuster adatto in primis alle famiglie e ai più piccoli. Allo stesso tempo, però, tale scelta rischia di rendere definitivamente banale una sceneggiatura dai twist scontati e dal finale alla "We Are The World" (immaginate tutto il cast - perfino il villain Christoph Waltz - che canta la celebre hit prendendosi per mano).
IO ALEXANDER, TU MARGOT. The Legend of Tarzan, che cita (mai termine fu più azzeccato) i classici d'avventura e i film di cappa e spada, ha il merito di riuscire a far immergere lo spettatore in un'epoca conosciuta solo attraverso i libri di storia - pagine e pagine sul Colonialismo in Africa sintetizzate dal machiavellico disegno schiavista del Re Leopoldo II di Belgio e dal viscido lacchè Léon Rom - catapultandolo in una corsa frentica attraverso la torrida savana e le foreste pluviali, seducendo in egual modo il mondo maschile e quello femminile attraverso i pettorali di Alexander Skarsgård e lo sguardo sexy di Margot Robbie, la Jane del film.
Il reboot del re della giungla si avvale poi dell'ottima spalla Samuel L. Jackson - a lui sono affidati i momenti più divertenti della pellicola - e del ghigno di Christoph Waltz, vero e proprio habitué dei ruoli da villain (da Bastardi Senza Gloria a Spectre, l'ultimo 007). The Legend of Tarzan, in uscita il 14 luglio nelle sale italiane, è un inno alla natura e all'uguaglianza fra i popoli, penalizzato solo in parte da continui (e avvolte inopportuni) flashback e da una CGI non certo all'altezza (sorvoliamo poi su un gorilla che si improvvisa vigile in mezzo al traffico di gnu), specie se confrontata con il "rivale" Il Libro della Giungla.
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