Spider-Man: l'eroe più umano del Marvel Universe

Le origini di Spider-Man, il Tessiragnatele dei fumetti Marvel che da sessant'anni ci ricorda che grandi poteri derivano grandi responsabilità

Immagine di Spider-Man: l'eroe più umano del Marvel Universe
Autore: Manuel Enrico ,

Festeggiamo alla grande lo Spider-Man Day ripercorrendo la nascita e la crescita dell'Uomo Ragno!

Da grandi poteri derivano grandi responsabilità. Non esiste reinterpretazione cinematografico dell’Arrampicamuri marveliano che non ricordi questo mantra imprescindibile, il tratto più umano e noto del personaggio. Sono più di sessant’anni che Spider-Man sfreccia per i cieli newyorkesi, ispirando generazioni di lettori, passando con compassata agilità da uno scontro con Kraven a una saga a base di cloni, coinvolgendo nelle proprie avventure migliaia di lettori che vedono in Peter Parker l’eroe che potrebbero esser, soprattutto tramite le traversie e le sventure che capitano al giovane adolescente. È forse questo il vero segreto di Spider-Man, l’esser divenuto il transfert emotivo di una fascia anagrafica, quella adolescenziale, che percepisce il suo vissuto emotivo quotidiano, vedendo oltre la maschera?  

In un periodo in cui l’America stava riscoprendo i comics supereroici dopo gli anni bui successivi alla fine della Golden Age, un personaggio come Spider-Man non poteva che colpire immediatamente l’immaginario collettivo, ricordando uno dei tratti meno valorizzati, almeno in casa Marvel, durante la Silver Age: la presenza dei sidekicks, delle spalle degli eroi. Guardando all’interno della ricca produzione della Casa delle Idee, nel periodo della Silver Age non compaiono personaggi che si facciano eredi di questa tradizione narrativa, andando a privare il fumetto supereroico marveliano della presenza dell’alter ego narrativo dei giovani lettori. E Spider-Man era quindi il candidato perfetto per rivestire questo ruolo. 

Spider-Man è l’evoluzione della sidekick?

spiderman goblin

Ripensando alla ricca produzione della Golden Age, anche la futura Marvel Comics, nota allora come Timely Comics, aveva utilizzato la presenza della giovane spalla, spesso trattata come elemento di alleggerimento narrativo e capace di intercettare l’emotività dei giovani lettori. Uno su tutti, James Buchanan Barnes, passato alla storia come Bucky, il giovane aiutante di Captain America e divenuto, nella complessa continuity marveliana, un personaggio di primissima fascia. Gli anni successivi alla fine dell’età aurea dei comics, soprattutto se rapportata alla profonda critica del pessimo influsso di questi personaggi sugli eroi adolescenti, aveva spinto a concentrare altrove lo sguardo dei narratori, evitando di coinvolgere ulteriormente le spalle. 

Eppure, una sintonia emotiva come quella offerta dalle sidekicks adolescenti non poteva andare sprecata. Con il ritorno in auge dei supereroi dopo l’avvio della Silver Age, anche la fu Timely Comics, divenuta Atlas Comics negli anni 50, decise di tornare nuovamente a raccontare storie di supertizi, cambiando nuovamente identità e divenendo Marvel Comics. Sotto l’attenta guida di Stan Lee, i primi passi della Casa delle Idee vennero compiuti con la famiglia marveliana per eccellenza, i Fantastici Quattro, ma il geniale autore era ben consapevole di come i lettori principali di comics fossero gli adolescenti, rendendo quindi necessario creare un personaggio che sapesse cogliere le emozioni e i pensieri del teen ager tipico americano del periodo. 

Per quanto avventurosi e ben tratteggiati, i Fantastici Quattro erano venati da una narrativa più adulta e virata alla sci-fi, mentre Lee era intenzionato a creare un personaggio che avesse una natura più quotidiana, che fosse più grounded, come dicono gli americani. Meno dimensione cosmica e scientifica e più realismo, insomma, e per farlo si doveva sia trovare un alter ego credibile per i lettori che invertire quella che sembrava una consuetudine del periodo: i supereroi devono essere adulti. 

Prima dell’uscita di Spider-Man, i pochi adolescenti del mondo dei comics supereroico erano ancora relegati al ruolo di spalle, ma questo dogma iniziava a venire rielaborato, spingendo alcuni autori a rielaborare queste figure.

Lee si fece quindi interprete di una dinamica di rielaborazione del concept supereroico, offrendo all’adolescenza non più il compito di essere una lente da cui analizzare l’operato dei supertizi, ma divenendo anzi parte centrale della figura del supereroe. Un’idea che si era fatta sempre più concreta nella mente di Lee, al punto che nella prima fase della vita di Marvel Comics non esitò a prendersi il rischio di affidare questo compito di elemento di rottura con la tradizione dei comics alla seconda testata della Casa delle Idee. 

Le origini di Spider-Man

Spiderman Amazing fantasy
Amazing Adult Fantasy #15 (agosto 1962)

Come spesso accade, andare a ricostruire la vera origine di Spider-Man non è semplice. Negli anni seguenti all’esplosione del successo dei personaggi marveliani, l’istrionico Lee si è spesso lanciato in fantasiose ricostruzioni delle origini degli eroi della Casa delle Idee, prendendosi meriti a volte criticati dai suoi collaboratori.

Stando a quanto raccontato dal Sorridente Stan, l’idea per la creazione di Spider-Man venne dopo che aveva visto un ragno arrampicarsi su una parete, ma seguendo quelo che sarebbe divenuto un aspetto ricorrente nei primi anni di Marvel Comics viene da chiedersi se anche per il Tessiragnatele Lee non abbia utilizzato un sistema meno poetico: rielaborare vecchi personaggi dei comics. 

Nel caso dell’Arrampicamuri, l’ispirazione era The Spider, fumetto pulp degli anni 30 appartenente al filone dei combattenti del crimine cui apparteneva anche un altro personaggio divenuto cult, The Shadow.

Creato da Harry Steeger, The Spider era l’identità segreta con cui il ricco ereditiero Richard Wenthworth combatteva il crimine nella New York post-Depressione, divenendo non solo un nemico della criminalità, che spesso riusciva a risalire alla sua vera identità, ma anche della polizia, che non accettava la sua ingerenza nella gestione dell’ordine pubblico. In possesso di alcuni poteri particolarmente apprezzati dai lettori del periodo, come la capacità di modulare la propria voce rendendola ipnotica, The Spider era caratterizzato soprattutto da un sesto senso, maturato in anni di lotta contro il crimine, che lo rendevano quasi preveggente in fatto di minacce incombenti. 

Rivedendo questi tratti di The Spider, è facile riconoscere alcune delle caratteristiche più celebri dell’Arrampicamuri marveliano.  Indubbiamente, come accaduto in seguito per altri personaggi come Daredevil o Ghost Rider, Lee aveva intercettato in The Spider delle potenzialità che avrebbero giovato non poco al suo nuovo personaggio, soprattutto quel sesto senso che avrebbe potuto essere il potere distintivo del suo eroe, una sorta di radar preveggente in grado di esser un ottimo strumento narrativo per dare vita a situazioni particolari per il panorama supereroico. 

L’idea di essere un eroe non compreso, come accaduto a The Spider, era un tratto che ben si conciliava con un protagonista adolescente, che non solo avrebbe sperimentato la sensazione di sentirsi un pariah nella sua vita quotidiana, ma di esser anche non accettato nella sua seconda vita eroica. 

Due elementi essenziali del mito di Spider-Man, specialmente nella prima parte della sua vita editoriale. Peter Parker è a tutti gli effetti un adolescente introverso e schivo, contrapposto alla più vivace e spensierata visione della vita dei suoi coetanei, che anzi in alcuni casi lo scherniscono andando ad acuire la sensazione di weirdo, di tipo strano e incompreso. Un senso di estraneità che viene bilanciato dalla sua seconda identità, dove invece si sente più libero e potente, arrivando anche a sviluppare quasi una seconda personalità, chiacchierona e irriverente, che nel corso della lunga vita editoriale del personaggio arriva a essere la visione dominante della personalità di Parker. 

Se sul piano concettuale, le origini di Spider-Man si possono ricondurre a questa eredità degli eroi pulp, più articolata è la scelta del nome, vero cruccio per la creazione di un personaggio. La consuetudine avrebbe voluto che fosse presente il termine ‘boy’, considerata l’età di Parker, ma Lee non voleva limitare anagraficamente il suo nuovo eroe, nella speranza di poterne raccontare anche una crescita anagrafica. Motivo per cui era necessario introdurre un più generico ‘man’, ma in questo modo si creava una fastidiosa assonanza con un altro celebre eroe a fumetti, Superman, pericolo che Lee voleva scongiurare al punto di concepire il nome di Spider-Man, separando le due parole. Anche la similarità cromatica dei costumi tra il kryptoniano e Spidey fu inizialmente un problema, ma Lee pensò che inserire sul costume dell’Arrampicamuri un evidente simbolo a forma di ragno avrebbe risolto ogni perplessità.

Convito di avere risolto ogni possibile inghippo, Lee presentò Spider-Man a Martin Goodman, proprietario di Marvel Comic, che sorprese Lee dimostrandosi restio ad approvarne la pubblicazione. 

Goodman aveva non poche perplessità relativamente a Spider-Man, soprattutto in merito alla sua giovane età, ma dietro insistenza di Lee decise di concedere a Peter Parker una possibilità, con una storia breve in Amazing Adult Fantasy, testata di racconti sovrannaturali e sci-fi oramai prossima alla chiusura. Fu proprio su Amazing Adult Fantasy #15 dell’agosto 1962 che fece il suo esordio il nostro amichevole Spider-Man di quartiere, che si prese addirittura la copertina, realizzata da Jack Kirby. La prima storia di Parker fu un successo tale che rivedendo i dati di vendita Goodman non perse tempo e affidò a Lee un compito: dare immediatamente vita a una serie di Spider-Man, che prese il via con Amazing Spider-Man nel marzo del 1963.

Le origini del costume di Spider-Man

Il tratto più riconoscibile di un supereroe è il suo costume e gran parte dei personaggi della prima fase del Marvel Universe devono la loro idealizzazione al genio di Jack Kirby. All’epoca parte integrante del meccanismo produttivo di Lee, Kirby era spesso coinvolto negli studi sui personaggi ed era il primo disegnatore considerato, una tradizione mantenuta anche nel caso di Spider-Man. 

Nel caso dell’Arrampicamuri, Kirby era ulteriormente stimolato in quanto aveva visto nell’identità civile del Ragno un possibile erede di una sua vecchia idea mai realizzata, Silver Spider, concepita nei primi anni 50 con il collega Joe Simon, che vedeva un giovane orfano cresciuto dagli zii trovare un anello magico che gli conferiva poteri straordinari.

Dopo avere presentato questa suggestione a Lee, che aggiunse al background del personaggio questo aspetto familiare, Kirby venne messo immediatamente all’opera per realizzare il design del costume di Spider-Man, venendo affiancato dall’inchiostratore Steve Ditko.

Il primo bozzetto realizzato venne scartato da Lee che ritenne la proposta troppo simile a una versione ragnesca di Captain America, personaggio creato proprio da Kirby, portando l’editor ad affidare la realizzazione del costume al solo Ditko, che, come raccontò in seguito, sentì immediatamente una forte responsabilità:

La prima cose che feci fu lavorare sul costume, una parte essenziale, visiva del personaggio. Dove capire come sembrasse, prima di abbattermi. Ad esempio, un potere di arrampicata che non contemplasse scarpe rigide o stivali, un lancia ragnatale da polso nascosto anziché una pistola spara-ragnatele con fondina. Non era neanche sicuro che a Stan potesse andare a genio l’idea di coprire il volto del personaggio, ma lo feci perché la maschera nascondeva un volto adolescenziale, e contribuiva a dare un tono di mistero al personaggio. Stan Lee pensò al nome, io mi occupai del costume, dei lanciaragnatele da polso e del simbolo del ragno

Il design di Ditko è ancora oggi considerato la quintessenza di Spider-Man, ma non fu comunque sufficiente a rendere immune il personaggio da una serie di feroci critiche da parte di Jack Kirby.

Secondo Kirby, infatti, i tratti essenziali di Spider-Man sono stati mutuati dal suo Silver Spider, che in prima battuta era stato battezzato dal co-creatore Joe Simon proprio Spider-Man. A confermare queste accuse, in un certo senso, fu la paura di Ditko nel disegnare Spider-Man quando si accorse che The Fly, personaggio creato da Simon sulla base del mai nato Silver Spider, era incredibilmente simile al Tessiragnatele marveliano, tanto che dopo una conversazione con Lee, Ditko dovette attendere che Lee rielaborasse alcuni aspetti del personaggio. 

È in questa fase che si abbandono l’idea dei poteri magici per affidarsi nuovamente alla tradizione marveliana del periodo, ossia la weird science. I Fantastici Quattro avevano ottenuto i loro poteri tramite i raggi cosmici l’anno precedente; quindi, la scienza imprevedibile poteva esser nuovamente utilizzata come deus ex machina per l’acquisizione di grandi poteri, complica una visione della scienza ancora poco approfondita presso gran parte della popolazione, che era invece atterrita e inquietata dalle potenzialità letali dell’era atomica. Nuovamente Lee estrare il proverbiale coniglio dal cilindro: il morso del ragno. 

spider-man prima apparizione
Amazing Spider-Man #1 (marzo 1963)

Se in diverse occasioni le origini del Ragno sono state oggetto di dibattito, tutti sono sempre stati concordi nel tributare alle intuizioni visive di Ditko il successo del costume di Spider-Man. Si deve infatti a Ditko l’idea di dare a Spider-Man una doppia vita scegliendo di coprirne il volto nella sua versione supereroica, una mossa che non solo sostiene l’anonimato del personaggio ma consente anche ai lettori di potersi immaginare sotto quella maschera, dove le fattezze dell’eroe sono ignote. Come ricordava spesso Lee, grazie a questa felice intuizione di Ditko tutti potevano immaginare di poter essere l’Arrampicamuri. 

L’impatto culturale di Spider-Man

spider-man venom
optional

Come è possibile che una figura come Spider-Man sia divenuta una delle icone non solo della pop culture, ma dell’immaginario socio-culturale mondiale? Oggi sembra scontato che l’Arrampicamuri sia parte del sentito dire comune anche di coloro che hanno poca familiarità con il concetto dei supereroi, eppure a stupire è l’immediato successo di questo personaggio. 

Nonostante l’iniziale reticenza di Martin Goodman, Spider-Man divenne un instant cult, già a partire dal 1965, quando un sondaggio di Esquire lo incoronò come il personaggio dei comics di maggior successo nei college americani, dove gli studenti non solo sapevano della sua esistenza, ma arrivano addirittura a riconoscersi in Peter Parker. D’altronde, Parker nella sua prima incarnazione era il prototipo dell’adolescente dell’America proletaria del periodo, cresciuto nella periferia della Grande Mela e alle prese con le difficoltà della vita quotidiana, dall’incapacità di relazionarsi con i coetanei alle ristrettezze economiche di una famiglia tipo. 

Al pari di Bob Dylan, menestrello dell’America sincera e povera, Parker rappresentava il punto di vista degli adolescenti con meno prospettive per il futuro, era la voce di coloro che trovavano difficoltà nel trovare il proprio posto nel mondo. La sua doppia identità diventava per i lettori la sublimazione di una possibilità di riscatto, un’avventurosa speranza di un futuro differente, al contempo rivelandosi anche la scintilla di quello che divenne il mantra non solo del Ragno, ma di gran parte degli eroi marveliani: supereroi con superproblemi.

Il contrasto tra l’apparente vitalità di Spider-Man e le ristrettezze economiche di Peter Parker erano un dualismo incredibile per l’epoca.  Basterebbe ripensare a come Parker inizialmente cerchi un modo per mettere le sue nuove capacità a buon frutto per la propria vita personale, arrivando persino a chiedere di esser assunto dai Fantastici Quattro come quinto del gruppo, ma dopo un brutale scontro con la realtà, Parker capisce come i suoi poteri non siano uno strumento per prevaricare la vita, ma una responsabilità da gestire.

Questo realismo, precedentemente insolito nel canone dei fumetti supereroici, diviene anche la base del celebre dogma del Ragno, ossia che da grandi poteri derivano grandi responsabilità. La moralità e l’etica di Spider-Man sono basati non sull’idea di essere assolutamente buoni, come dimostrano i numerosi momenti di crisi esistenziale del personaggio, ma sulla concretezza e umanità di Parker, il cui verso superpotere non è il senso di ragno ma l’essere un uomo autentico, concreto e, contrariamente a gran parte degli eroi marveliani, straordinariamente quotidiano. 

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Spider-Man di Todd McFarlane. Marvel Omnibus

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Spider-Man di Todd McFarlane. Marvel Omnibus raccoglie la storica di run anni 90 di McFarlane, uno dei momenti più intensi del mito del Ragno marveliano

Questo suo tratto inconfondibile lo ha portato a essere anche il primo eroe a forzare i rigidi dettami del Comics Code Authority, il giogo sotto cui erano posti i fumetti dopo la fine della Golden Age. Forte della sua invidiabile posizione di fumetto supereroico più venduto, fu proprio Spidey a esser identificato come un perfetto strumento di dialogo con i giovani americani nel 1970, quando il Dipartimento della Salute ed Educazione dell’amministrazione Nixon decise di intraprendere una campagna di sensibilizzazione per allertare i teen ager sui pericoli delle droghe, optando per il coinvolgimento anche del mondo del fumetto, considerato uno strumento di comunicazione perfetto.

A Stan Lee, in qualità di rappresentante della Marvel Comics, fu richiesto di inserire un messaggio contro l’uso delle droghe all’interno di una delle sue testate di maggior successo, ossia Spider-Man, scelta comprensibile considerato anche il legame anagrafico che legava il protagonista agli adolescenti a cui era diretto il monito.

Venne quindi ideato l’arco narrativo di Green Goblin Rinato!, uscito su The Amazing Spider-Man #96-98, pubblicato tra maggio e luglio del 1971. Nella storia, Harry Osborn, storico amico di Peter Parker e figlio di Norman ‘Green Goblin’ Osborn, cede alla tentazione delle pasticche come via di fuga alle pressioni di un’ingombrante figura paterna. La dipendenza delle droghe venne trattata con una certa delicatezza, enfatizzandone comunque la pericolosità, suscitando il rimprovero della Comics Code Authority, che impose il veto alla storia.

Lee però non accettò la decisione dell’Authority, e portò ugualmente in edicola la storia. Fu un momento epocale per il fumetto americano, considerato che l’enorme successo di Green Goblin Rinato! fu un catalizzatore delle spinte revisioniste sul ruolo della Comics Code Authority, ruolo che si concretizzò in una rielaborazione dei limiti che la Authority imponeva ai comics.

Spider-Man: l’eroe è sotto la maschera

spider-man no more

Ripensando all’evoluzione di Spider-Man all’interno del Marvel Universe, non si può non ravvedere come Peter Parker rappresenti sin dai suoi albori la perfetta incarnazione del concetto di eroe umano. Nelle idee di Lee e dei suoi colleghi, i supereroi erano sostanzialmente umani, e come tali erano costretti ad affrontare problemi reali, resi ancora più ardui dal sentire sulle proprie spalle responsabilità incredibili.

Peter Parker, in questo, diventa il simbolo di questa concezione profondamente umana del metaumano. Contrariamente ad altre figure della Casa delle Idee, è il personaggio che più di ogni altro, con la sola esclusione di Daredevil, si trova a dover gestire un fardello emotivo intenso scaturito dalla sua identità segreta. Contrariamente al Diavolo Custode, tuttavia, Parker ha una dimensione intima ancora più magnetica in quanto riesce a preservare sempre una vena positiva nella sua travagliata esistenza, con umani momenti di buio interiore, ma capace sempre di trovare il buono e preservare la propria anima. 

Il senso di colpa originale, non aver fermato il criminale che in seguito ucciderà suo zio Ben, è una ferita che non si rimarginerà mai, acuito da quel ‘Da grandi poteri derivano grandi responsabilità’ che diventa un mantra per l’Arrampicamuri. Una pressione emotiva costante e logorante, in cui si intrecciano le difficoltà a gestire i rapporti, la salute cagionevole di Zia May e il suo rendimento universitario tutt’altro che incoraggiante. Situazione complessa che trova il suo climax in una delle storie più emozionati del Ragno: Spider-Man no more!, pubblicata in Amazing Spider-Man #50

Comprensibile questo abbandono del costume, reso immortale da una tavola straziante di Romita. Difficile concepire un supereroe che abbandona il costume, ma questo atto ribelle e liberatorio è la riconferma del lato umano di Spider-Man, l’infrangere l’idealizzazione dell’eroe inattaccabile, lasciando emergere invece la profonda complessità dell’animo umano. Una scelta che trova, ironicamente, proprio nella decisione di Parker di tornare sui suoi passi e vestire ancora i panni di Spidey il suo fondamento: è una sua responsabilità aiutare gli altri. Il momento in cui Parker riprende il suo ruolo di Arrampicamuri è l’affermazione dell’anima autentica di Spider-Man: per quanto fragile, per quanto abbattuto, Parker sarà sempre Spider-Man, non solo perché ne indossa il costume, ma perché lo è nello spirito.

Questa natura complessa di Spider-Man è da sempre uno dei suoi punti più affascinati, che ha spinto diversi esperti di fumetto ad interrogarsi sulla sua anima. La forte caratterizzazione emotiva di Parker, virata verso una visione realistica delle difficoltà relazioni dell’adolescenza, consentì a Marvel di introdurre una narrazione emotivamente più completa, quasi da soap opera, come sostenne lo storico dei fumetti Peter Sanderson:

Viene detto spesso con leggerezza che la Marvel ebbe successo mescolando le avventure dei supereroi con la soap opera. Quello che Lee e Ditko fecero con The Amazing Spider-Man fu di rendere la serie un continuo racconto della vita del protagonista. La maggior parte dei supereroi affrontavano problemi che non erano mai i complessi problemi affrontati dai lettori nella vita reale, quanto l’affrontare il cattivo del mese. Parker, invece, era impegnato su problemi più immediati: gestire l’elaborazione del lutto per la morte di una persona cara, lottare per sbarcare il lunario e affrontare crisi di coscienza

Una visione netta che identifica l’essenza del personaggio, che però ha un’altra grande problematica: l’opinione pubblica. I supereroi solitamente sono visti positivamente dal pubblico, mentre Spider-Man, sin dalle sue prime avventure, deve confrontarsi con una società combattuta sul suo ruolo, capace di vederlo come una presenza positiva della società newyorkese, oppure apertamente ostile nei suoi confronti, eredità intelligentemente trafugata da Lee dal citato The Spider.

La figura di J. Jonah Jameson, direttore del Daily Bugle, è essenziale nella vita sia di Spider-Man che di Parker, da un lato per la sua campagna denigratoria ai danni dell’Arrampicamuri, dall’altro per il modo in cui tratta Parker, che vive vendendo foto di Spider-Man e trattato con burbera aggressività dal suo capo. 

Spider-Man e la perdita dell'innocenza

Questo complesso rapporto tra Spidey e l’opinione pubblica si rafforza grazie alla caratteristica delineata da Sanderson: la crescita di Parker come uomo. Spider-Man passa dall’adolescenza all’età adulta in un periodo complesso della società americana, gli anni ’60, in cui si concentrano Guerra Fredda, paura del Comunismo e moti studenteschi. Peter Parker diventa quindi uno strumento con cui analizzare queste spinte sociali con gli occhi di un adolescente, che non solo osserva ma è direttamente coinvolto da queste tensioni culturali. Un ruolo che viene spiegato con precisione da Braford W. Wright nel suo Comic Book Nation: The Transformation of Youth Culture in America:

Dai suoi primi anni al liceo sino all’ingresso all’università, Spider-Man rimane il supereroe più attinente al mondo dei giovani. Di conseguenza, i suoi fumetti contengono anche alcuni dei primi riferimenti alle percezioni politiche del mondo giovanile. Nel 1968, sull’onda del risveglio militante delle dimostrazioni studentesche della Columbia University, Peter Parker si trova coinvolto in una situazione simile in quanto studente della Empire State University. Parker deve trovare il modo di conciliare la sua comprensione per gli studenti con il suo ruolo di combattente del crimine come Spider-Man. Si trova in bilico tra la militanza di sinistra e il conservatorismo più feroce

Tutte queste definizioni concorrono nel definire Spider-Man come l’incarnazione umana del supereroe per eccellenza nella Silver Age del fumetto. Spidey compare nei primi passi della rinascita degli eroi, un periodo in cui si cerca di dare una visione più umana della figura del supertizio, cercando di farsi interprete di una visione dura ma comunque virata a un ottimismo legato all’adolescenza, divenendone il volto più identificativo. Tanto che è la fine della Silver Age viene legata proprio al momento più oscuro e cupo della vita di Peter Parker, l’istante in cui la sua vita supereroica e la sua identità civile impattano in modo devastante costringendo Parker a rivivere il doloroso meccanismo della origin story di Spider-Man: il lutto.

La notte in cui morì Gwen Stacy è ancora oggi, a cinquant’anni dalla sua pubblicazione, uno dei momenti più intensi non solo della vita del Ragno ma dell’intero Marvel Universe. Nell’estate del 1973, Gerry Conway, Gil Kane e John Romita realizzarono una tragedia a fumetti, in cui al culmine di uno scontro con Green Goblin, Spidey deve salvare l’amata Gwen Stacy da una rovinosa caduta dal ponte di Brooklyn. Nel tentativo di salvarla, la cattura con una ragnatela prima che tocchi le fredde acque dell’Hudson, ma il contraccolpo del brusco arresto spezza il collo della giovane.

All’interno del mondo del fumetto è un momento epocale: l’eroe non riesce a salvare l’amata dell’uomo dietro la maschera. Spesso ci si concentra su questo momento tragico, dimenticandosi come nelle pagine seguenti si veda uno dei momenti di maggior umanità nella storia di Parker, in cui il povero ragazzo deve elaborare la perdita della donna che ama, vivendola con una verosimile disperazione.

Al punto da non capire come un’altra donna a lui vicine, Mary Jane Watson, sia vicina a Peter, ma la perdita acceca l’uomo che lascia emergere una vena di disperata acidità che si abbatte sulla povera Mary Jane. L’importanza epocale di questa vicenda drammatica è di tale portata da essere stata elaborata decenni dopo da Tim Sale e Jeph Loeb nello straziante Spider-Man: Blu, graphic novel in cui un Parker più adulto ricorda il rapporto con Gwen e ne celebra l’eterno amore, nonostante la nuova vita con Mary Jane, ora sua compagna. 

Questo passaggio dell’esistenza di Spidey viene riconosciuto come la ‘perdita dell’innocenza’, l’attimo in cui il supereroe per eccellenza della Silver Age conosce in pieno la sua dolorosa umanità, segnando la fine dell’età argentea dei supereroei. La morte di zio Ben era stata, per Parker, un elemento delle sue origini come supereroe, la morte di Gwen è invece il momento in cui Spider-Man deve accettare la sua innegabile umanità.

In questa sua perenne dualità tra eroismo e quotidianità, il suo voler esser un faro di speranza nonostante le sue difficoltà interiori, Spider-Man smette di esser un semplice supereroe ma diventa un uomo che cerca di fare del suo meglio per chi lo circonda, confermando di essere il nostro amichevole Spider-Man di quartiere, arrivando anche a conquistare prima il mondo del cinema e infine guadagnandosi anche uno spazio nella serialità, prima tramite l'animazione e ora con una serie live action di Spider-Man

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