Voleva fare il cow-boy, Chris Kyle. È diventato invece il più infallibile cecchino della storia militare americana, con 160 uccisioni confermate dal Pentagono. Spirito patriottico, destino tragico. Non stupisce che Clint Eastwood ne sia rimasto affascinato al punto da realizzare un film - American Sniper - che racconta le incredibili vicende di quello che è stato il più temuto e spietato Navy SEAL.
La pellicola con protagonista Bradley Cooper trasforma in immagini i racconti di guerra di Kyle, descritti minuziosamente nell'autobiografia “American Sniper: The Autobiography of the Most Lethal Sniper in U.S. Military History”, best-seller da oltre 1,2 milioni di copie vendute pubblicato nel 2012. Un diario che racchiude - con dovizia di particolari - episodi drammatici del conflitto iracheno, combattuto tra il 2003 e il 2009 (per un totale di 4 turni di servizio) dal militare nato a Odessa nel '74.
American Sniper, Eastwood guarda al cinema sul Vietnam
Il film di Eastwood ripercorre la vita del cecchino statunitense, uomo dalla ferrea educazione ("Esistono i lupi cattivi, le pecore e i cani da pastore. Voi sarete cani da pastore") e dallo spirito patriottico, inevitabilmente dopato dopo la tragedia dell'11 settembre 2001. American Sniper, che a prima vista potrebbe sembrare (solo) un war movie raccontato in prima persona, è in realtà una complessa analisi delle conseguenze, pubbliche e private, che la guerra scatena, con riflessioni per nulla banali sulla libertà di circolazione delle armi negli States, sul reinserimento nella vita civile dei militari al fronte e sul PTSD, il disturbo post-traumatico da stress che colpisce una fetta consistente dei reduci di guerra.
First Bradley
In questo, il film con Bradley Cooper si inserisce in un filone già ampiamente sfruttato a Hollywood, specie negli anni '70 e nei primi '80 da quella che era allora la nuova generazione di registi (in tempi relativamente recenti è stata Kathryn Bigelow con The Hurt Locker a toccare l'argomento). I segni di cedimento del protagonista nei periodi di licenza, i rumori di guerra nella sua testa anche a TV spenta, l'incapacità di mantenere l'autocontrollo una volta lontano migliaia di km dal fuoco nemico sono magnifici momenti di déjà-vu cinematografico che irrimediabilmente scomodano titoli di culto come Il cacciatore di Cimino, il Rambo con stallone, Apocalypse Now di Coppola.
Forse American Sniper è debole sul tasto dell'epica (specie se confrontato con i capolavori del genere), leggermente macchinoso nel ritmo e deludente, in parte, nel ridurre in modo davvero troppo superficiale il conflitto in Iraq ad una rivalità fra tiratori scelti (sulla complessità politico-economica dell'offensiva statunitense del Nuovo Millennio è ancora una volta la Bigelow, con Zero Dark Thirty, a rubare l'occhio). Però la mano esperta di Eastwood sa cogliere le fragilità di un uomo all'apparenza coriaceo e risoluto, così come mantiene alta la tensione durante le missioni dei SEAL, non preoccupandosi affatto di mostrare ogni tipo di atrocità (sulla falsariga di Black Hawk Down).
Kyle, eroe tra luci e ombre: la storia vera dietro American Sniper
Qual è l'immagine di Chris Kyle che un film come American Sniper mostra? Senza dubbio quella di un eroe di guerra, di un simbolo del cameratismo e della lotta al terrore. E se il biopic eastwoodiano ce lo mostra (anche) come un giudice spietato e senza rimorsi che si ispira al Punitore dei fumetti Marvel (con tanto di simbolo verniciato su elmetto e veicolo blindato), la realtà, molto più del cinema, racconta di un uomo tra luci e ombre recordman di uccisioni, generoso verso i propri compagni in difficoltà e preoccupato di mantenere viva la sua memoria arrivando magari a nutrirla di episodi in realtà mai accaduti, come testimonia la causa intentata a Kyle (e poi vinta) da Jesse Ventura, ex wrestler e attore (molti lo ricorderanno in Predator), al centro di un episodio raccontato dal cecchino nella sua biografia (una rissa da bar in cui Ventura avrebbe avuto la peggio, in realtà mai avvenuta).
La realtà parla quindi di un uomo tormentato dai demoni di guerra, vittima durante i periodi di congedo del PTSD, affogato dal cecchino nell'alcool (Kyle nel 2010 venne arrestato e poi rilasciato dopo una notte di prigione dopo essersi schiantato col proprio pick-up perché ubriaco) e superato tra mille difficoltà solo dopo aver trovato una nuova dimensione come supporto per i reduci di guerra colpiti dallo stesso disturbo. È questo uno degli aspetti maggiormente affrontati da Eastwood nel film. L'esperienza angosciante del ritorno a casa, la difficoltà nel metabolizzare le missioni, l'incapacità relazionale (la resa della performance di Cooper è davvero ottima in questo senso). Passare da zone di battaglia a parcheggi di un fast food può essere un'esperienza traumatica anche per i veterani, come racconta lo psichiatra Jonathan Shay, che definisce i sintomi del disturbo come "la persistenza nella vita civile, dopo i momenti di pericolo in guerra, delle tattiche che hai utilizzato per rimanere in vita quando altre persone cercavano di ucciderti". Lo stesso Kyle, in un'intervista, ha dichiarato:
Non c'è modo, dopo che hai ucciso persone e visto compagni saltare in aria e venire mutilati, di uscirne senza un bel po' di stress.
American Sniper: il finale nel film (e nella realtà)
Il destino di Kyle, nel film come nella vita reale, incontrò il 2 febbraio 2013 quello del reduce Eddie Ray Routh, un commilitone che Kyle stava aiutando nel delicato percorso di superamento dei disturbi comportamentali e nel reinserimento sociale. Il giovane psicolabile uccise con 13 colpi di pistola Kyle ed un suo amico ad un poligono di tiro, venendo in seguito arrestato dalla polizia dopo un'inseguimento. Condannato con sentenza definitiva all'ergastolo, Routh ha messo fine alla vita del più letale cecchino dei navy SEAL. Una morte davvero beffarda per colui che veniva chiamato "Leggenda" dai compagni di reparto e "Il Diavolo di Ramadi" da tutti gli altri, capace di uccidere oltre 250 nemici in Iraq (per questo sulla sua testa venne messa all'epoca una taglia di 200mila dollari).
Eastwood, in un finale toccante, fa calare il sipario sulle note struggenti de Il Silenzio e di The Funeral (di Ennio Morricone) mentre nei titoli di coda scorrono le immagini del vero funerale di Kyle, celebrato con una solenne cerimonia di Stato nell'AT&T Stadium, lo stadio della squadra di NFL dei Dallas Cowboys. Quale altro posto per uno che sognava di fare il cow-boy?
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