James Bond: la spia al servizio segreto di Sua Maestà

Intrighi, inseguimenti mozzafiato, donne bellissime e anni di onorata carriera: James Bond, la spia che ha cambiato il cinema

Autore: Manuel Enrico ,

È la spia per eccellenza, da quando nel 1962 sconfisse il temibile Dr. No, mostrandosi al mondo con il volto di un giovanissimo Sean Connery. Una lunga carriera al servizio segreto di Sua Maestà, che ha reso James Bond il simbolo degli spy movie, segnando un percorso su cui poi avrebbero camminato Jason Bourne, Lorraine Broughton e gli altri agenti segreti che hanno popolato la pop culture, a prescindere che si muovessero al cinema, nei romanzi o nei comics.

L’impatto di James Bond sull’immaginario collettivo non ha bisogno di presentazioni, il mondo creato nei romanzi di Ian Fleming e poi approdato sul grande schermo ha fatto presa sul pubblico, mostrando un personaggio che con il suo savoir fair e la sua visione a tratti cinica del mondo ha accompagnato generazioni di appassionati nei meandri dello spionaggio, raccontando anche i cambiamenti del mondo contemporaneo.

 

Dalle macerie di Londra alla nascita in Giamaica

Torniamo ai tempi della Seconda Guerra Mondiale, quando l’Inghilterra si trovava ad affrontare la minaccia nazista. Nel 1939, un giovane impiegato di banca con un passato da giornalista alla Reuters, Ian Fleming, viene reclutato dall’Ammiraglio John Edmund Geoffrey, capo dell’intelligence della Royal Navy. Fleming, nella sua formazione universitaria, ha girato atenei di mezza Europa, elemento che Geoffrey ritiene utile per un suo potenziale assistente.

L’ammiraglio, infatti, non ha nomina di essere un ufficiale con cui è facile è rapportarsi, mentre l’indole più amichevole e la facilità con cui Fleming interagisce con le persone sembra la chiave per imbastire rapporti più efficaci con le altre branche dell’intelligence alleata.

Fleming scala rapidamente le gerarchie militari, complice la sua fama di abile analista, che lo porta a elaborare strategie che, pur venendo presentate da Geoffrey, non mancano di mostrare il suo tocco. In questa fase della guerra, Fleming si ritrova a collaborare sempre più spesso con ufficiali e agenti dell’intelligence alleata, compreso William ‘Wild Bill’ Donovan, uomo vicino al presidente americano Roosevelt, che diede vita all’O.S.S. (Office of Strategic Services), l’antesignana della C.I.A. Questo rapporto rese Fleming centrale nel mondo dello spionaggio britannico, ruolo che lo portò a gestire importanti missioni, creando infine un proprio team operativo, il 30 Assault Unit.

Al termine del secondo conflitto mondiale, Fleming decide di chiudere con la vita militare. La sua fama, però, gli consente di trovare un facile impiego come corrispondente per il The Sunday Times, sino a divenire responsabile della sezione estera. Incarico che dura sino al 1952, quando Fleming sposa la contessa Anne Geraldine Rothermere, dopo una storia d’amore clandestina. È durante la luna di miele, svoltasi nella sua tenuta giamaicana nota come Goldeneye, che Fleming scrive la prima bozza di Casino Royale. Tornato in patria, Fleming rifinisce il suo romanzo, portando alla nascita della serie di libri dedicati alla spia britannica James Bond.

Quello che era nato come un diversivo, diventa per Fleming una sorta di supporto alla vita coniugale. Fleming non era portato per i legami sentimentali stabili per via di ferite personali, e vede nei romanzi di James Bond una valvola di sfogo per le proprie ansie. Da questo, nasce una routine lavorativa bene precisa, che lo vede isolarsi per due mesi ogni anno a Goldeneye, tra gennaio e marzo, in cui passava mezza giornata di lavoro a scrivere minimo 2000 parole, prendendosi un’ultima settimana per revisionare il testo e mandarlo al suo editore.

Seguendo questa consuetudine, Fleming riuscì a pubblicare un libro di Bond ogni anno, rendendolo un personaggio avvincente, ma con una contropartita: Fleming assomiglia sempre più al suo personaggio, soprattutto nei vizi. Condizione che aggraverà la sua salute, ma che lo porta anche ad avere una sinergia con la sua creazione, che ne benificia al punto di venire infine notata da due giovani produttori cinematografici londinesi, Harry Saltzman e Albert R. Broccoli.

Chi è James Bond?

Nei libri, non esiste una biografia precisa di Bond, i cui trascorsi sono accennati principalmente in Si vive solo due volte. Figlio di un rappresentante commerciale per l’estero di un’azienda inglese, Andrew Bond, e di una donna di origine svizzera, Monique Delacroix, James Bond rimane orfano all’età di undici, venendo quindi affidato alla zia paterna, Charmian, che lo educa rigidamente sino a farlo accettare presso il prestigioso college di Eton.

 

Da cui viene però cacciato per via di una tresca con una cameriera, che lo porta a passare a Fettes, dove eccelle sia come studente che come sportivo. Allo scoppio della Secondo Guerra Mondiale, mente sulla propria età per arruolarsi in Marina. Durante la guerra opera nel controspionaggio militare, ruolo che lo porta, al temine del conflitto, a rimanere nei servizi segreti, svolgendo incarichi che lo portano a operare in tutto il mondo. È solo dopo avere ucciso l’agente sovietico Le Chiffre che ottiene la licenza di uccidere, ottenendo il doppio zero e assumendo il nome in codice 007.

Inizia una vita di lotta contro l’agenzia sovietica SMERSH, incaricata di eliminare spie nemiche, che causa anche la morte della prima donna amata da Bond, Vesper Lynd. Nelle sue missioni, James Bond affronterà avversari come Ernst Stavro Blofeld, che dopo avere fondato la SPECTRE, diventerà la nemesi per eccellenza dell’agente britannico. Lutti personali, amnesie e paternità furono parte integrante della vita letteraria di James Bond, che divenne anche un rifugio per il suo creatore.

Dai libri al cinema: il Bond di Sean Connery

Saltzman e Broccoli non furono i primi a vedere il potenziale di James Bond. Già nel 1954, all’intera dell’antologia televisiva Climax, si era mostrata una prima trasposizione di Casino Royale. Il personaggio, però, venne stravolto, rendendolo l’agente della C.I.A. Jimmy Bond, interpretato da Barry Nelson. Fleming provò a dare vita una serie dedicata al suo personaggio, sottoponendo adattamenti di alcuni suoi romanzi, come Vivi e lascia morire e Moonraker, ma non ebbe successo.

Solo nel 1956 Albert R. Broccoli parve essere l’uomo giusto per portare Bond al cinema. Broccoli ne era talmente innamorato da scontrarsi con il suo socio, Irving Allen, e scegliere di tentare una produzione basata su una sceneggiatura originale di Fleming, che avrebbe prodotto assieme a Kevin McClory.

Alla regia era previsto nientemeno che Alfred Hitchock, che avrebbe diretto Richard Burton come Bond, ma anche questo progetto non ebbe vita. Broccoli non si arrese, e nel 1961 assieme a Harry Saltzman fece un gesto ardito: acquistò tutti i diritti dei romanzi di James Bond, con l’esclusione di Casino Royale. Dopo avere trovato nella United Artist una spalla per realizzare il primo film, Broccoli e Saltzman crearono la EON Productions, avviando la produzione del primo film di James Bond: Licenza di uccidere.

La ricerca per un interprete, dopo candidature eccellenti, si concluse con un giovane attore scozzese, Sean Connery. Una decisione che, nel corso degli anni, divenne quasi una condanna per Connery, che a causa dell’incredibile successo del personaggio rimase il volto per eccellenza di Bond, nonostante il primato di Bond più longevo spetti ancora oggi al suo successore di maggior successo, Roger Moore. Il Bond di Connery, nella sua prima apparizione, mostra già tutti i caratteri essenziali del personaggio, ma ha una vena più cinica e distaccata che sembra richiamare tratti della personalità del suo creatore, specialmente nel relazionarsi con il genere femminile. Nonostante una ricezione piuttosto tiepida da parte della critica, Licenza di uccidere fu al contrario accolto con grande passione da parte del pubblico.

La prima avventura di Bond aveva tutti gli elementi per piacere agli spettatori. Connery diede un’ottima interpretazione del personaggio, mostrandolo esattamente come lo aveva descritto in passato il suo stesso creatore:

Stiamo vivendo un’era di violenza. Il corteggiamento ha lasciato posto alla seduzione, l’approccio immediato non è più un’eccezione, ma la regola. Bond è un uomo figlio del suo tempo, un sano trentenne, violento, non un intellettuale. Forse non il tipico uomo del nostro periodo, ma di sicuro a suo agio in questi tempi. Pur essendo distaccato e disinteressato, Bond è comunque credibile, e attorno a lui cerco di creare una vasta rete di emozioni e fantasie. 

È un’arma brutale e diretta, impugnata da un’agenzia governativa. È freddo, adamantino, senza scrupoli, sarcastico e fatalista. Con le donne si comporta esattamente come richiede il suo lavoro, anche se mostra una certa dolcezza verso di loro, arrivando al punto di aiutarle in caso di necessità, ma solo se questo non compromette il suo incarico. È appassionato di macchine veloci, golf e gioco d’azzardo
 

Una visione piuttosto dura e cinica del mondo, frutto di concezioni personali di Fleming, che inevitabilmente influenzarono il personaggio anche al cinema. Eppure, Bond risultò un personaggio avvincente, tanto che per il suo seguito, 007 – Dalla Russia con amore, la produzione scelse di alzare il tiro, girando in diverse location europee, e curando maggiormente la definizione di quelli che sarebbe divenuti due elementi centrali dei futuri capitoli: l’apertura del film con un prologo antecedente la tradizionale barrelgun sequence e la presenza di Q, il geniale inventore dei gadget di Bond, interpretato da Desmond Llwelyn, che interpretò il personaggio sino a Il mondo non basta.

 007 – Dalla Russia con amore entra maggiormente nelle dinamiche della Guerra Fredda, mostrando l’U.R.S.S. come una potenza rivale, un tratto che ha contribuito a rendere questo secondo episodio della saga un successo incredibile, tanto che John Fitzgerald Kennedy lo definì uno dei suoi film preferiti.

Bisogna però attendere 007 – Missione Goldfinger, per vedere comparire uno dei tratti più iconici di Bond, che assumerà sempre più importanza nel corso del tempo: l’ironia. Merito del regista Terence Young, che sfruttando la presenza scenica di Gert Fröbe, alias il villain Auric Goldfinger, crea un’alchimia tra Bond e la sua nemesi che si basa su una sottile ironia, che emerge anche nelle situazioni più tese della pellicola, culminata in uno scambio di battute diventato storia del cinema:

“Si aspetta che io parli?”

“No, mi aspetto che lei muoia”
 

Sempre in 007 – Missione Goldfinger compare per la prima volta uno dei simboli del mito di di James Bond: la sua Aston Martin DB5. Ovviamente potenziata da Q con una serie di gadget che la rendono un veicolo adatto alla spia per eccellenza, la Aston Martin DB 5 di James Bond è uno dei simboli della pop culture, ricomparendo in numerose pellicole successive.

 Connery ha contribuito, con le sue cinque interpretazioni all’interno della saga ufficiale, a definire il personaggio di James Bond, tra il 1962 e il 1971, anno in cui veste per l’ultima volta i panni dell’agente segreto in 007 – Una cascata di diamanti. Connery tornò a interpretare la spia britannica in Mai dire mai (1983), film apocrifo e realizzato da Kevin McClory dopo una lunga bagarre giudiziaria risalente ai primi tentativi di portare al cinema il personaggio di Fleming, che lo aveva visto scontrarsi con Albert R. Broccoli.

Mai dire mai si basava sulla trama di Operazione Thunderball, la prima storia di Bond destinata a divenire film, che era già stata utilizzata per realizzare 007 –Thunderball (Operazione Tuono) nel 1965, sempre interpretato da Sean Connery. Mai dire Mai uscì al cinema nello stesso anno di 007 – Operazione Octopussy, dove Bond era interpretato da Roger Moore.

Il Bond sconfitto: George Lazenby

Il Bond di Connery era accompagnato da un’aura di invincibilità, in ogni occasione usciva vincitore e, ovviamente, con gradevole compagnia al fianco. Quando Connery si accomiatò la prima volta dal suo alter ego, si presentò un’occasione unica: mostrare un Bond differente. Non solo perché un altro attore avrebbe incarnato la spia di Sua Maestà, ma anche perché si poteva scegliere di mostrare un Bond diverso, lasciando emergere una sua umanità. Tentativo fatto con 007 – Al servizio segreto di sua maestà.

Lo spettro di Connery, ovviamente, era presente, tanto che il primo candidato a sostituirlo, Timothy Dalton, rifiutò, sentendo il peso dell’eredità. Poco male, visto che avrebbe indossato lo smoking di Bond qualche anno dopo, lasciando che il testimone venisse raccolto dall’australiano George Lazenby.

Lazenby cercò di mantenere i tratti del Bond di Connery, ma lo fece in una storia che era più umana, dove l’agente segreto mostrava una dimensione emotiva più intima mai vista prima. È in 007 – Al servizio segreto di Sua Maestrà che vediamo il primo amore cinematografico di Bond, la contessa Teresa di Vincenzo, una bellissima Diana Rigg, la miss Peel di The Avengers – Agente Speciale. Amore romantico ma drammatico, che si conclude con la morte della donna poco dopo le nozze, uccisa dalla nemesi di Bond, Ernst Stavro Blofeld.

È un Bond sconfitto, colpito nell’animo, lontano dall’eroe intoccabile cui era abituato il pubblico, protagonista di una vicenda differente dai precedenti capitoli anche per una diversa gestione della componente action, che un taglio più realistico moderno, complice anche l’addestramento militare di Lazenby, ex-ufficiale addestrato nel corpo a corpo.

Lazenby aveva accettato un contratto per un solo film, consigliato dal suo agente che considerava Bond un personaggio oramai finito. Un peccato, perché nonostante la convinzione che 007 – Al servizio segreto di Sua Maestà sia uno dei peggiori capitoli della saga, in realtà Lazenby ha mostrato una versione umana e convincente di Bond, non priva di difetti, ma che rappresenta l’ultimo esempio di una costruzione seria delle vicende della spia britannica prima che il volto di Bond diventi quello del suo più longevo interprete: Roger Moore.

Il Bond ironico: Roger Moore

Dopo il breve ritorno di Connery per 007 – Una cascata di diamanti, si rese nuovamente necessario identificare il nuovo James Bond. Erano cambiati i tempi, la dimensione troppo seria delle precedenti avventure di Bond non era più concepibile, serviva un interprete più divertente, funky se vogliamo. La scelta ricadde sull’attore inglese Roger Moore, già noto al pubblico per due serie televisive in cui aveva mostrato una recitazione leggera e ironica, Il Santo (1962) e Attenti a quei due (1971), in coppia con Tony Curtis.

A Moore venne consentito di emanciparsi dall’ingombrante figura del Bond di Connery, una chance di poter imprimere una propria visione del personaggio, che divenne più ironico e meno ingessato. Questo passaggio coincide anche con un cambio narrativo nelle avventure di Bond, in cui gli elementi comici si fanno più marcati, a partire da Agente 007 – Vivi e Lascia morire, in cui Bond si trova a operare su suolo americano per fermare un pericoloso criminale che utilizza le credenze voodoo per spaventare i propri avversari.

Nonostante questo cambio di registro, il nuovo Bond, sorretto dalla recitazione divertente di Moore, piace al pubblico. L’attore inglese riveste per dodici anni il ruolo, realizzando sette pellicole, non tutte apprezzate dalla critica, come nel caso di Moonraker – Missione spazio. Pellicola inizialmente non previsto dalla famiglia Broccoli, divenuta unica detentrice dei diritti del personaggio dopo che Saltzman rinunciò alla sua metà per motivi economici, una condizione che consentì ai Broccoli di potere gestire sotto ogni aspetto lo sfruttamento del personaggio.

Forti di questa possibilità, anziché realizzare l’annunciato Solo per i tuoi occhi, come svelato al termine di La spia che mi amava, per cavalcare il nuovo interesse per la fantascienza emerso con il successo di Star Wars, si decise di realizzare un film che vedesse lo spazio come nuovo territorio d’avventure per Bond, dando vita a Moonraker.

Fu durante il periodo di Moore che i film di James Bond esaurirono le storie scritte da Fleming, morto di infarto nel 1964. Il primo film a non esser tratto da una sua opera fu La spia che mi amava (1977), che pur avendo il titolo di una storia di Fleming ha una trama completamente diversa. Moore si trovò quindi per primo a dover interpretare il personaggio in avventure non create da Fleming, anche se per dare titoli ai film si continuarono a utilizzare quelli di racconti brevi o romanzi firmati da Fleming.

Con 007 – Bersaglio mobile, Moore chiuse il suo sodalizio con James Bond, dopo aver già cercato di lasciare il ruolo dopo Solo per i tuoi occhi, ma venendo costretto dalla produzione a interpretare la spia britannica per contrastare il Mai dire Mai di McClory, che si scontrò con il canonico Octopussy – Operazione piovra. Era infine arrivato il momento di dare un nuovo volto a James Bond.

Il Bond degli anni ‘80: Timothy Dalton

Cambio di volto e cambio di approccio per il Bond di fine anni ’80, interpretato da Timothy Dalton. Dalton era già stato accostato al personaggio all’addio di Connery, ma all’epoca aveva rifiutato sentendosi troppo giovane per la parte. Quando gli venne nuovamente proposto nel 1985, non ebbe dubbi e accettò, scegliendo anche di dare una nuova impronta al personaggio, che lo rendesse più attuale e vicino all’essenza della creazione di Fleming.

007 – Vendetta privata e 007 – Zona pericolo vedono un Bond che pur mantenendo una traccia di ironia, tipica della recitazione di Moore, affronta situazioni più personali e con un piglio maturo e serio, che si riflette anche in una narrativa più violenta. Il Bond di Dalton, poco apprezzato dal pubblico, si avvicina alla contemporaneità, sostituendo i tradizionali nemici con narcotrafficanti e oligarchi russi in combutta con trafficanti d’armi, una prima apertura al mondo moderno pre-crollo del Muro di Berlino che avrà, inevitabilmente, un impatto anche sul mondo di Bond, a partire dall’erede di Dalton, Pierce Brosnan.

Il Bond di fine secolo: Pierce Brosnan

La fallimentare esperienza di Timothy Dalton si conclude quando l’attore, stanco del continuo procrastinare il suo terzo film come James Bond, sfrutta un cavillo legale del suo contratto per liberarsi da ogni impegno. A ereditare il ruolo fu Pierce Brosnan, già vicino al ruolo dopo l’abbandono di Moore, che rifiutò la prima chiamata per precedenti impegni. Brosnan fu l’unico attore a interpretare il ruolo a dovere affrontare un’aperta contrarietà da parte della stampa inglese, che non perdonò all’attore le sue origini irlandesi, memore della secolare animosità tra Gran Bretagna e Irlanda, arrivando a deridere Brosnan ribattenzandolo James O’Bond.

In realtà, Brosnan fu anche il James Bond del cambiamento, arrivando al ruolo dopo i grandi sconvolgimenti sociali degli anni ’90. A partire da 007 – Goldeneye, Bond ha un’impronta meno macchiettistica, assume un’aria elegante e compita, radicali cambiamenti che si sposano anche con una rivoluzione di grande effetto: a interpretare M è Judi Dench, che riveste questo ruolo anche nel reboot con protagonista Daniel Craig sino a Skyfall. Erano risposte precise ad accuse che vedevano Bond con un personaggio morto con il crollo del Muro di Berlino, una figura talmente radicata all’ambiente spionistico tipico della Guerra Fredda da non riuscire a sopravviverle.

Brosnan, invece, dimostrò come James Bond fosse ancora vivo, capace di affrontare nuove minacce, grazie alla comparsa di nuovi nemici che rappresentassero lo specchio dei tempi. Spii traditrici, magnati dell’informazione e ex agenti divenuti terroristi si sostituirono ai servizi segreti nemici, dando vita a una serie moderna e che, nonostante alcuni estremi narrativi, ha traghettato la spia britannica nel nuovo millennio, portando il nome di Bond verso una necessaria operazione di reboot, che rese Brosnan non più adatto al ruolo e aprendo le porte dell’MI6 a Daniel Craig.

Il Bond di Fleming: Daniel Craig

Nei precedenti cambi di volto di Bond, non ci si era mai preoccupati eccessivamente della continuity del personaggio, dando per scontato che le avventure di James Bond fossero sempre vissute dal medesimo agente, al netto del cambio di attore. Con il nuovo millennio, invece, si decise di ripartire da zero, dando vita a un vero e proprio reboot della serie. Operazione che ci ha consegnato un Bond totalmente differente dai suoi predecessori, tagliando ogni legame con la saga.

Craig ha dato vita a un James Bond molto vicino all’originale cartaceo, cinico, fisico e disincantato. La scelta di ripartire con un film che seguisse la trama del primo romanzo e ne avesse anche il titolo, Casino Royale, ha consentito di orchestrare una saga che si muove su una trama orizzontale più solida rispetto al passato, dando allo spettatore una sensazione di maggior coerenza tra i diversi capitoli del Bond di Craig, che diventa un uomo tormentato, che subisce il passaggio degli anni anche fisicamente, oltre che emotivamente.

Questo cambio radicale del personaggio porta a concepire diversamente alcuni tratti tipici del personaggio, come gli incredibili gadget creati da Q, che diventano gingilli tecnologici più credibili e meno fantascientifici del passato.

Le Bond Girl

Quando Honey Ryder emerge dalle acque caribiche in 007 – Licenza di uccidere, crea una della figura più amate e sognate della pop culture: la Bond Girl. Da quella scena divenuta cult grazie alla bellezza di Ursula Andress, infatti, nacque uno degli elementi essenziali della saga di James Bond, ossia l’immancabile presenza femminile al fianco della spia britannica. 

Nel mito di Bond era già presenta una figura femminile forte, incarnata dalla segretaria di M, miss Monneypenny, eterna compagna di schermaglie seduttrici con l’agente britannico, tanto affascinate quanto intoccabile, in una sorta di mutuo rispetto tra i due. Fedele al suo ruolo di seduttore, però, Bond necessitava della sua damsel in mistress, ruolo che toccò a personaggi femminili divenute amatissime dai fan della saga, come Pussy Galore o Anya Amasova.

Il ruolo della Bond Girl venne per anni considerato una dimostrazione di machismo da parte della spia britannica, considerato il ruolo solitamente debole di queste figure femminile. Una concezione che cominciò a mutare a partire dagli anni ’80, quando le Bond Girl mostrarono una maggior definizione, arrivando anche a gestire in modo più maturo il proprio rapporto con l’agente segreto. Un’evoluzione che durante l’era Brosnan arrivò a far emergere il progetto di uno spin-off al femminile della saga, incentrato inizialmente sull’agente della N.S.A Giacinta ‘Jinx’ Johnson, interpretata da Halle Berry in La morte può attendere (2002). Progetto che non ebbe mai seguito.

 Bisogna attendere Casino Royale per vedere una differente concezione di Bond Girl, che si avvicina anche all’essenza del personaggio creato da Fleming. Centrale in questa rivoluzione è Vesper Lynd, interpretata da Eva Green, che si rifà all’omonimo personaggio presente nel primo romanzo di Bond.

Per creare questa donna, Fleming si era ispirato al suo primo amore, Muriel Wright, morta durante i bombardamenti di Londra durante la Seconda Guerra Mondiale. Come Fleming rimase ossessionato dall’amore così duramente troncato verso la Wright, anche Bond rimane ferito in equal modo dalla morte di Vesper Lynd, causata indirettamente da Le Chiffre sia nel libro che nel primo film con Daniel Craig, una presenza eterna nei pensieri di Bond, capace, nei romanzi, di invadere anche il poco tempo passato assieme alla moglie Teresa di Vincenzo.

Il Bond di Craig ha quindi un diverso approccio alla figura della Bond Girl, vista come presenza attiva, capace di impattare direttamente sull’animo di Bond. Che si tratti di un amore troncato violentemente come quello per Vesper o di una morte violenta e nata come conseguenza delle azioni di Bond, come nel caso di Strawberry Fields in Quantum of Solace.

Il mio nome è Bond, James Bond

Pochi personaggi hanno saputo reinventarsi e ricrearsi a seconda delle esigenze del periodo come ha fatto James Bond. Non sono stati solamente i diversi volti che hanno indossato il suo smoking a trasmettere questo moto evolutivo, ma è stato il suo cogliere i cambiamenti della società, diventandone al contempo specchio ed elemento di rottura.

L’agente con licenza di uccidere ha ritratto la seconda metà del ‘900 e il primo ventennio del nuovo millennio con il suo stile, tra alti e bassi ma sempre con una missione a cui non poteva sottrarsi: proteggere gli interessi della Corona, e se possibile salvare il mondo. Senza dimenticarsi di sorseggiare un Martini (rigorosamente agitato, non shakerato) e sedurre la bellezza di turno.

Definire l’impatto di James Bond sull’immaginario collettivo e sulla pop culture è semplice: è stato devastante. Dalla sua prima apparizione in poi, Bond ha saputo fare leva sul suo fascino per imporsi come un personaggio capace di divenire la spia per eccellenza. Basti pensare che per identificare agenti segreti, da decenni oramai si ricorre al termine 007 come fosse naturale, solo per creare un’associazione di idee che riporti al fascino e al mistero tipici di Bond.

Una presenza che non si è limitata al ciclo di letterario di Fleming e ai film al cinema, ma che è proseguito in pubblicazioni successive, affidate a diversi scrittori, che ne hanno proseguito la saga, arricchendola ed evolvendo il personaggio. Dai primi esperimenti nel creare già nel 1976 una collana young adult dedicata all’adolescenza di Bond, poi concretizza nel ciclo Young Blood, a The Moneypenny Diaries, in cui venivano ripercorse storie di Bond dal punto di vista della segretaria di M.

Anche il mondo dell’animazione ha voluto attingere al mondo di Bond, operazione compiuta negli anni ’90 con la serie animata James Bond Jr., dedicata al nipote adolescente della celebre spia, che si ritrova ad affrontare avventure scontrandosi anche con nemesi dello zio, come Auric Goldfinger, Dr No o Oddjob.

 La fama di Bond, sin dai primi anni, fu tale da renderlo oggetto di parodie, come la celebre Casino Royale, con David Niven e Peter Sellers, o la nostrana 00-sexy, missione bionda platino con un divertente Raimondo Vianello nei panni di un improbabile agente segreto. Più celebri, specie per il pubblico moderno, sono i cicli di Austin Powers di Mike Myers e Johnny English di Rowan Atkinson, meglio noto come Mr. Bean e che aveva preso parte come agente di collegamento di Bond in Mai dire Mai.

Ma Bond è divenuto anche un'icona di stile, capace di divenire uno di più lampanti di product placement, grazie alla fama del personaggio che ha spinto importanti brand di moda e tecnologia a vedere nei film della spia britannica una fonte di advertising perfetta, legando l'uscita di nuovi prodotti ai nuovi capitoli della saga di Bond.

A contribuire alla fama di Bond contribuisce anche la presenza di nomi celebri del mondo della musica come autori dei brani che accompagnano i nuovi film della saga. Inseriti all'interno della ormai celebre sigla che segue la sequenza denominata burrelgun, si sono susseguiti artisti del calibro dei Duran Duran, Garbage, Madonna, Tina Turner o Chris Cornell

Pochi personaggi hanno saputo attraversare decenni di storie rimanendo nel cuore degli appassionati come James Bond, costruendo un proprio mito e riuscendo a influenzare la pop culture arrivando a condizionare la creazione di altre icone, come nel caso di Indiana Jones. La spia per eccellenza rimane e rimarrà sempre James Bond, capace di sventare l’ennesima minaccia globale con la stessa semplicità con cui sorseggia il suo Martini, rigorosamente agitato e non shakerato, o calando una mano vincente a poker, guardando sornione il suo avversario e presentandosi con una frase che è già mito:

Mi chiamo Bond, James Bond

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