Chi è davvero il padre di Ada? Il finale di Lamb e la sua spiegazione

Premiato al Certain Regard di Cannes per la sua originalità, l'esordio di Valdimar Jóhannsson è una fiaba dark sul dolore della perdita e sullo scontro tra uomo e natura, con un finale che fa discutere: chi è il "ram man" e che fine fa María?

Autore: Alessandro Zoppo ,

Un film sul dolore della perdita, sulla genitorialità o sull'atavico e complicato rapporto tra l'uomo e la natura? Lamb è il surreale esordio di Valdimar Jóhannsson, regista islandese che ha sceneggiato il suo debutto (da un'idea che risale addirittura al 2009) con lo scrittore e poeta Sjón, il paroliere di Björk.

Prodotto da Hrönn Kristinsdóttir e Sara Nassim con la produzione esecutiva di Noomi Rapace e Béla Tarr e presentato al Certain Regard del Festival di Cannes 2021, dove ha ricevuto un curioso "Premio Originalità" concepito apposta per l'occasione, Lamb è diviso in tre capitoli ed è stato girato in una vera fattoria di Kirkjubæjarklaustur, nel sud dell'Islanda.

Presentato come un horror art house ma descritto dal suo autore come "una storia classica ma con uno strano elemento", il film ha fatto discutere sin dal lancio del trailer e dalle prime proiezioni per il finale e il suo significato: scopriamo insieme perché.

La trama del film

Una forza soprannaturale, qualcosa di oscuro e imperscrutabile, si presenta una notte nella fattoria di María (Noomi Rapace) e Ingvar (Hilmir Snær Guðnason). Dura poco, il tempo di lasciare il loro pascolo sgomento. María e Ingvar sono due allevatori di pecore. Vivono nell'aspra e suggestiva campagna islandese con un cane, un gatto e i loro tanti ovini. Ma il loro rapporto è incrinato da una perdita devastante che li ha lasciati incapaci di superare un profondo dolore.

Durante la stagione dei parti e delle famose réttir, gli smistamenti degli animali, una pecora gravida partorisce un insolito agnellino: metà animale e metà umano. María e Ingvar vivono quella nascita misteriosa come un miracolo, la possibilità di tornare ad essere felici: è una seconda chance e poco importa che forse sia un abominio.

La coppia adotta l'agnello, la chiamano Ada, la trattano come se fosse un normale bambino e la proteggono dalla madre che la reclama. La visita di Pétur (Björn Hlynur Haraldsson), il fratello di Ingvar, un ex rockstar, fannullone, un po' molesto e ora in crisi di identità, mette in discussione il loro ritrovato equilibrio. Ma c'è un'altra minaccia in arrivo, ancora più incombente.

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Il finale e la spiegazione

Show hidden content Inizialmente disgustato e disturbato dal legame del fratello e sua moglie con la "figlia", Pétur stabilisce un inaspettato e sentito legame con Ada e ne diventa lo zio. Ma dopo una serata alcolica in famiglia, le pesanti e indesiderate avances sessuali nei confronti di María gli costano caro: la cognata lo accompagna alla fermata dell'autobus e lo rispedisce a casa per impedirgli di rovinare tutto.

Ada e Ingvar, nel frattempo, sono andati ad aggiustare il trattore che Pétur aveva lasciato in panne. Qualcuno, tuttavia, ha rubato il fucile di casa e ucciso il cane. Ingvar fa presto la sua conoscenza: è il padre biologico di Ada, un inquietante uomo-pecora che spara Ingvar al collo prima di prendere Ada con sé e andarsene nella natura selvaggia.

Al suo ritorno María scopre che il marito e Ada sono scomparsi. Si mette alla ricerca dei due e scopre il corpo di Ingvar poco prima che muoia. Il sogno di una ritrovata famiglia è finito. A María non resta altro da fare che vagare nella tempestosa bellezza del mondo di confine islandese e chiudere gli occhi pieni di lacrime sulle note della Sarabande di Georg Friedrich Händel.

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Il finale di Lamb è aperto a molteplici interpretazioni: è un'allegoria di ciò che significa essere genitore, del vuoto della perdita e del paesaggio freddo e isolato, degli abissi affettivi di una coppia piegata dal lutto. Jóhannsson stesso ha cambiato più volte idea dopo aver rivisto il film diverse volte. Nelle note di regia descrive la sua opera come "una poesia visiva su una perdita dolorosa per la quale saresti disposto a tutto pur di riportare la gioia e la felicità che avevi prima".

Non solo: Lamb è anche un saggio sullo scontro simbolico tra natura e cultura, istinto e ragione, maschile e femminile, persino tra femminile e femminile, perché "la natura non è solo ciò che vediamo ma anche ciò che sentiamo e, quindi, è strettamente connessa con il soprannaturale".

La natura non può essere prevista o controllata e noi umani siamo piuttosto fragili, deboli e dipendenti, come abbiamo avuto modo di sperimentare nel 2020. Siamo sempre soggetti a forze esterne al nostro controllo.

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Lamb è una storia basata su leggende folcloristiche e racconti popolari islandesi, ma "non su una in particolare" per ammissione dello stesso Jóhannsson. Non c'è un rimando specifico alla figura di una "pecora-umana" o una figura zoomorfa del genere nel folklore scandinavo.

Il regista spiega in un'intervista a Film Hounds che "in qualche modo sento che nessuno può sbagliarsi perché ho lasciato tutto aperto e voglio davvero che il pubblico ne tragga ciò che pensa, perché penso che sia noioso se mi limito a spiegare ciò che avevo in mente".

Ho fatto questo film perché volevo davvero fare un lavoro che volevo vedere, e ci sono riuscito. Ma volevo anche farlo per gli spettatori, affinché ne facessero parte senza dover loro spiegare tutto. Ho fiducia che ognuno possa dare la propria interpretazione del film.

Una storia significativa è quella di Dimma-limma-limm: la favola che Ingvar legge ad Ada per farla addormentare. Si tratta del racconto per bambini più amato d'Islanda, scritto nel 1921 (durante un viaggio in Italia) dall'artista, illustratore, attore e cantante Guðmundur Thorsteinsson, meglio noto come Muggur. È una fiaba che Muggur dedicò alla nipote Helga, figlia della sorella Guðrún che si era trasferita in Liguria, a Pegli.

Dimmalimm è una principessa che si affeziona ai cigni che nuotano nello stagno del suo reame: li nutre e comunica con loro. Tra i cigni ce n'è uno davvero particolare: è in realtà un principe che una strega cattiva ha trasformato in quell'animale con un perfido incantesimo. Grazie al suo amore Dimmalimm riesce a rompere il sortilegio: i due diventano re e regina e "vissero felici e contenti".

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Jóhannsson conosce bene il folklore e pure agnelli, pecore e montoni: quando era piccolo, ha trascorso tanto tempo nell'allevamento dei nonni, allevatori e genitori di cinque figli nati tutti nell'arco di otto anni. Nel corso degli anni il regista ha messo insieme suggestioni, foto di panorami e disegni (tra cui quello della creatura ibrida metà umana e metà agnello) in un "libro di bordo" che, insieme ad una raccolta di poesie di Sjón, è servito da base per la sceneggiatura.

L'idea stessa di Ada ha origini lontane: la figura del bambino con i palchi tipici della pecora islandese apparve a Jóhannsson in un sogno ed è presente in un vecchio diario dei sogni che la madre del regista tuttora conserva. Uno spunto sfuggente e immaginifico "molto provocatorio": c'è chi considera Ada una creatura tenera e adorabile e chi una disgustosa aberrazione della natura.

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Noomi Rapace specifica in un'intervista al Los Angeles Times che Ada non ha un'origine precisa nel folklore islandese, ma riguarda piuttosto le storie sulle "forze oscure" che circondano il Natale. Un esempio su tutte è quello di Grýla, la strega che terrorizza i piccoli durante le festività. Questa Troll delle montagne arriva in paese a Yule per scovare i bambini cattivi che si sono comportati male durante l'anno. Niente carbone per chi ha combinato guai: Grýla preferisce cuocere i cattivi nel suo pentolone e darli in pasto al marito Leppalúði, ai loro 13 figli e al suo gatto nero Jólakötturinn.

Dentro Ada c'è inoltre qualcosa di "cristico": le persone leggono in lei ciò che vogliono ed entrarci in contatto rivela chi sono veramente, dona ossigeno al corpo e all'anima. Ada è anche impermanente: rappresenta un "risveglio", un "centro morale" al quale vale la pena aggrapparsi per superare una fase di stallo e rinascere. È per questo che Jóhannsson ha voluto lasciare aperta allo spettatore l'interpretazione del finale. Il regista pensa che "ognuno dovrebbe decidere da solo" e mettere in questa storia ciò che vuole.

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Resta un'ultima domanda.

Show hidden content Chi è il padre biologico di Ada (Jóhannsson lo chiama "ram man") e dove porta la figlia? La creatura può rappresentare molte cose: la natura, il karma, la ricerca della giustizia. È la furia che si abbatte sugli umani che sfruttano la terra per avidità. Rapace lo spiega così.

I due protagonisti prendono qualcosa che non appartiene loro. Ada non è loro. In pratica, la rapiscono e María spara a sua madre! Credo che lei sappia che quella felicità è un capitolo breve, che è un tempo preso in prestito. È per questo che non insegue Ada: sa che in qualche modo se l'era cercata.

Proprio come Ada, il terribile "ram man" è "apparso" a Jóhannsson in sogno: una mattina si è svegliato con il ricordo di enormi montoni che divoravano orsi polari. Quando l'attrice svedese e il regista hanno girato il finale, non avevano ancora deciso cosa sarebbe successo. "Sono arrivata di corsa su quella collina... e poi abbiamo fatto diversi scatti e riprese", rivela Rapace.

Per me, la vita è sempre meravigliosa. La nostra forza di volontà e la nostra determinazione a rialzarci e ad andare avanti è così forte e penso che in uno strano modo, ci sia speranza nel finale. Una speranza dolorosa.

Con il finale di Lamb "si apre un nuovo capitolo nella vita di María" perché è finalmente libera: "quando Ada non c'è più e Ingvar muore tra le sue braccia, lei riesce ancora a trovare il coraggio per sapere che la vita continuerà. C'è una decisione di sopravvivere e di vivere". In fondo, conclude Rapace, "la bellezza di noi umani è che abbiamo la straordinaria capacità di guarire" ma soltanto quando "permettiamo a noi stessi di sentire il dolore". Se all'inizio del film la vita di María è bloccata, alla fine "è completamente aperta e sarà l'inizio di qualcosa di nuovo".

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