La vera Lidia Poët: la storia vera dietro la serie Netflix

Cosa c’è di vero nella serie Netflix La legge di Lidia Poët? Ecco la vera storia del personaggio di Matilda De Angelis.

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Autore: Elisa Giudici ,

La legge di Lidia Poët non è un’opera del tutto inventata. Si basa infatti sulla battaglia legale di una pioniera italianache, tra Ottocento e Novecento, lottò per vedere legalmente riconosciuta la sua regolare iscrizione all’ordine degli avvocati.

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La serie con Matilda De Angelis mette al centro un personaggio storico realmente esistito e che ha segnato una pagina della storia d’Italia: Lidia Poët. La trama della serie è molto romanzata, ma si basa su alcuni elementi biografici certi della vera Lidia Poët, la cui vicenda tenne banco in Italia e in Europa a lungo.

Come accennato nella recensione della prima stagione di La legge di Lidia Poët, la serie non racconta solo i casi legali che la protagonista (interpretata da Matilda de Angelis) affronta brillantemente.

Al centro della storia orizzontale della serie c’è la battaglia legale che Lidia dovette affrontare per superare gli stereotipi e diventare la prima italiana ad entrare nell’ordine degli avvocati.

La prima stagione vede ancora una Lidia giovanissima, tentata dall’idea di lasciare l’Italia e dirigersi in nazioni più progressiste sui diritti delle donne per sfruttare il suo potenziale professionale (per saperne di più leggi Come finisce La legge di Lidia Poët). Nella realtà storica la sua battaglia con le leggi italiane durò più di 60 anni.

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Prosegui la lettura per scoprire la vera storia di Lidia Poët.

Chi è Lidia Poët, la prima avvocata italiana

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Lidia Poët nacque nel 1855 da un’agiata famiglia valdese a Traverse di Perrero. In famiglia l’avvocatura era di casa. Così come avviene nella serie, anche nella realtà il fratello di Lidia, Giovanni Enrico, era infatti avvocato. Il fratello giocò un ruolo cruciale nella vita della sorella, così come raccontato dalla serie.

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Lidia crebbe dedicandosi con zelo e profitto agli studi. Dopo aver studiato in un collegio per signorine in Svizzera, studiò per ottenere la patente di Maestra superiore normale, che le avrebbe permesso d’insegnare nelle scuole. Conseguì poi il medesimo titolo anche per insegnare le lingue.

Persi i genitori ma con il fratello al suo fianco pronto a sostenerla, Lidia decise d’iscriversi all’università di Torino.Inizialmente scelse la facoltà di medicina, dove ai tempi insegnava il celebre Cesare Lombroso. L’uomo passò alla storia per aver sostenuto la tesi, rivelatasi falsa, che la forma e la misura del cranio e del viso di una persona potesse essere misurata per capirne le inclinazioni criminali.

Dopo un primo periodo di frequenza a medicina, Lidia si trasferì alla facoltà giurisprudenza.

La lotta di Lidia Poët per diventare avvocato

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La data che svolta la vita di Lidia Poët è il 17 giugno 1881. Davanti a un pubblico di curiosi e compagni di corso, Lidia si laurea in giurisprudenza. All’epoca erano rarissime le donne che riuscivano a raggiungere questo traguardo.

La mentalità predominante dell’epoca riteneva che le donne dovessero fare gli angeli del focolare, ricoprendo un ruolo casalingo di cura come mogli e madri. Non mancavano però le spinte progressiste. Tra gli stessi professori e compagni di corso di Lidia Poët, in molti appoggiavano il ruolo attivo della donna in società, anche nel mondo del lavoro.

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Inizialmente l’iscrizione all’ordine degli avvocati di Lidia Poët venne accolta. D’altronde la giovane aveva tutti i requisiti in regola, avendo concluso anche il praticantato con voti eccellenti. Poi la doccia fredda: Lidia viene esclusa dall’ordine.

Alcuni esponenti, uomini, accesero una vivace polemica contro l’ingresso di una donna nell’ordine degli avvocati. Arrivarono addirittura a dimettersi per protesta dall’ordine stesso.

Così come mostrato nella serie, Lidia diede il via una lunghissima battaglia legale per vedersi riconosciuto il diritto di diventare avvocato. La storica sentenza della Cassazione con cui vennero di fatto escluse le donne dall’esercitare la professione di avvocato - quella con cui si chiude la prima stagione - scatenò un vivace dibattito in tutta Europa.

Lidia ebbe molti sostenitori, soprattutto tra i giornali dell’epoca (il cui ruolo è riassunto dal personaggio del giornalista Jacopo). Storica la sua intervista al Corriere della Sera, a cui raccontò il suo percorso di studi e la sua vita da universitaria, per legittimare la sua richiesta agli occhi di un’opinione pubblica, divisa tra favorevoli e contrari.

Come avviene nella serie, Lidia esercitò per anni la professione di fatto, al fianco del fratello. È certificata la sua presenza al suo fianco in molte cause legali affrontate da Giovanni Enrico Poët e il suo lavoro allo studio legale di famiglia.

Lidia inoltre fu una figura di spiccò per le lotte civili in Italia. Si è battuta per tutta la vita non solo per migliorare la condizione della donna e per ottenere il diritto di voto, ma anche per i diritti dei minori e delle persone sfruttate nel mondo del lavoro.

La sua incredibile battaglia ha un finale amaro: Lidia visse abbastanza per vedersi riconosciuto legalmente il diritto di essere avvocato, regolarmente iscritto all’ordine. Il 17 luglio 1919, dopo il primo conflitto mondiale, la Legge Sacchi permise infine alle donne di iscriversi agli ordini, tra cui quello legale. Lidia aveva già 64 anni ed esercitava come avvocatessa de facto da decenni.

La serie suggerisce come Lidia non amasse troppo l’idea del matrimonio. Anche questo fatto è verosimile: la vera Lidia infatti non si sposò mai e morì nubile all’età di 94 anni.

L'immagine di copertina di questo articolo è tratta da La legge di Lidia Poët di Netflix.

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