Stasera in TV c'è Quo vadis, Aida?: il massacro di Srebrenica e le vicende reali che hanno ispirato il film

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Autore: Silvia Artana ,

Il 12 aprile 1995, nella città di Srebrenica, nel cuore della Bosnia ed Erzegovina, è stata scritta una delle pagine più nere della storia contemporanea. Più di 8mila bosniaci musulmani (bosgnacchi) sono stati trucidati e buttati in fosse comuni, dopo che il contingente olandese dei caschi blu li ha consegnati con l'intera popolazione dell'enclave alle truppe guidate dal generale Ratko Mladić.

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Stasera, 19 luglio, in TV alle 21.10 su Rai Movie c'è Quo vadis, Aida?

I fatti che hanno portato al "massacro di Srebrenica" e l'intera vicenda sono una ferita aperta per il governo olandese, l'ONU e tutta l'Europa e ancora oggi sono al centro di controversie e vicende giudiziarie.

La regista di Sarajevo Jasmila Žbanić ha raccontato quel terribile giorno in Quo Vadis, Aida?, una pellicola dura e asciutta, ma anche toccante e sicuramente necessaria, che dopo essere stata presentata a Venezia 77 ha ottenuto la nomination agli Oscar 2021 com Miglior film straniero. 

Quo Vadis, Aida? è un resoconto accurato dei fatti di Srebrenica e si ispira alla storia vera dell'interprete bosniaco Hasan Nuhanović.

Il massacro di Srebrenica

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Il massacro di Srebrenica è avvenuto negli ultimi mesi del conflitto che ha insanguinato la Bosnia ed Erzegovina in seguito alla dissoluzione della Jugoslavia.

Nel 1995, l'Esercito della Repubblica Serba di Bosnia ed Erzegovina (VRS) stava perdendo terreno nella regione della Krajina e dopo vari tentativi fallimentari di conquistare la città di Bihać, ha rivolto la propria offensiva verso un obiettivo più "facile".

Da due anni, da quando era stata proclamata "area di sicurezza" sotto il controllo della Forza di protezione delle Nazioni Unite (UNPROFOR), l'enclave a maggioranza musulmana di Srebrenica era di fatto sotto assedio, con rifornimenti e assistenza medica a malapena sufficienti alla sopravvivenza, e non ha praticamente opposto resistenza all'offensiva del VRS. Gli abitanti, gli sfollati arrivati in cerca di rifugio e i caschi blu hanno abbandonato la città alla volta della base ONU di Potočari.

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Mentre l'esercito serbo bosniaco "conquistava" Srebrenica l'11 aprile 1995 e il generale Ratko Mladić faceva "dono" della città alla "nazione serba", migliaia di uomini, donne e bambini speravano nell'aiuto delle truppe delle Nazioni Unite. Ma i soldati olandesi del Dutchbat incaricati di proteggere l'area di sicurezza di Srebrenica hanno fallito nella loro missione.

Le truppe ONU hanno lasciato entrare nella base 5mila persone, mentre altre 20mila si sono accampate sul perimetro esterno, e hanno accettato la proposta di Ratko Mladić per "evacuare in sicurezza" i civili. L'accordo è arrivato dopo che una delegazione composta dal tenente colonnello Thom Karremans e da alcuni rappresentanti musulmani bosniaci ha incontrato il generale per un negoziato che è stato descritto in seguito come una "deliberata intimidazione".

Il 12 luglio 1995, decine di pullman e camion sono arrivati alla base di Potočari per prelevare gli abitanti di Srebrenica e i rifugiati. Ma quando i soldati serbi hanno iniziato a dividere le donne dagli uomini, è stato chiaro che non esisteva alcuna volontà di evacuare in sicurezza i civili. Padri, figli, mariti, fratelli, amici, parenti, vicini di casa sono stati portati in magazzini, scuole, edifici abbandonati in tutta la regione e sono stati fucilati in massa, trucidati con bombe a mano e buttati in fosse comuni.

Il VRS e il gruppo paramilitare degli "Scorpioni" hanno massacrato 8.732 bosniaci musulmani con la volontà di cancellare il loro gruppo etnico. Per questa ragione, nel 2007 il Tribunale dell'Aia ha stabilito che il massacro di Srebrenica costituisce un genocidio.

La storia di Hasan Nuhanović

La vicenda di Quo Vadis, Aida? è ispirata alla storia vera di Hasan Nuhanović, un cittadino bosniaco che nel 1995 lavorava nella base ONU di Potočari come interprete e ha perduto il padre, la madre e il fratello minore nel massacro di Srebrenica.

Hasan ha iniziato a collaborare con i caschi blu quando l'enclave è diventata "zona protetta" nel 1993 ed è stato lui a tradurre a 5mila persone l'ordine di "lasciare la base a gruppi di 5" che ha cambiato per sempre il loro destino. Ma come ha raccontato lui stesso, quello che è accaduto il 12 luglio 1995 non è stato che "l'atto finale" di una strage iniziata 3 anni e mezzo prima.

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Hasan ha ricordato che quella nell'"area protetta" presidiata dai caschi blu era "una vita di miseria, di totale miseria" e tuttavia l'unica possibile. Per questo, l'ha accettata e come lui migliaia di altre persone. Hasan sapeva che la sopravvivenza di tutti loro era appesa a un filo, ma non immaginava che a tradirli sarebbe stato chi doveva proteggerli:

L'unica cosa che non mi aspettavo, perché mi aspettavo che accadessero cose brutte, era che le forze di pace dell'ONU, in questo caso gli olandesi, avrebbero collaborato con i serbi e avrebbero consegnato loro queste persone e la mia famiglia.

Il giovane interprete ha visto i soldati del Dutchbat sbarrare i cancelli del presidio e lasciare 20mila civili in balia del VRS:

Ho saputo di omicidi avvenuti fuori dalla base. Ho sentito urla e spari. Avevo paura per la mia famiglia: per mio padre, mia madre e mio fratello. Se fossero usciti, li avrebbero uccisi.

Il padre di Hasan, Ibro, era uno dei portavoce bosniaci musulmani che hanno partecipato all'incontro con Ratko Mladić. Ma nonostante il suo contributo, il giovane non ha potuto impedire che fosse sfollato dalla base come tutti coloro che non facevano parte del personale ONU. La famiglia di Hasan è stata tra le ultime persone ad abbandonare il presidio di Potočari. E quando li ha salutati, il giovane sapeva che andavano incontro alla morte.

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Insieme alla famiglia di un'altra vittima, l'elettricista Rizo Mustafić, Hasan ha fatto causa allo stato olandese per la morte del padre e del fratello e l'ha vinta. Nel 2011, il Tribunale dell'Aia ha riconosciuto la responsabilità del Dutchbat nella morte dei 3 uomini, per averli consegnati alle truppe serbo bosniache.

Hasan ha identificato il resti del padre nel 2006, mentre ha potuto dare una sepoltura alla madre e al fratello nel 2009.

Per la sua instancabile battaglia alla ricerca della verità (anche attraverso diversi libri) e per ottenere giustizia per le vittime, il giornalista investigativo Dragan Stanimirović ha definito Hasan l'"Elie Wiesel della Bosnia".

Il comportamento dei soldato olandesi e dell'ONU e le conseguenze 

Il comportamento dei soldati olandesi del Dutchbat di stanza a Srebrenica nel 1995 è stato duramente criticato dai media e dall'opinione pubblica e ha avuto conseguenze giudiziare. Ma perché il contingente incaricato di proteggere l'enclave non l'ha fatto? Ancora oggi, la controversia rimane aperta.

Nella vicenda hanno giocato un ruolo molti fattori. Gli olandesi sono arrivati a Srebrenica nel gennaio del 1995, trovando una popolazione disperata e allo stremo, costretta a vivere in condizioni terribili. La situazione ha continuato ad aggravarsi ed è stata tra le cause che hanno portato il contingente ad abbandonare la città nelle mani del VRS praticamente senza combattere.

Quando le truppe dell'esercito serbo hanno iniziato ad avvicinarsi minacciosamente a Srebrenica, il tenente colonnello Thom Karremans ha richiesto due interventi aerei di supporto il 6 e l'8 luglio. Ma in entrambi i casi, il quartier generale dell'ONU a Zagabria ha negato il consenso al volo, per mancanza di conformità alle regole di ingaggio (non c'era stato alcun attacco da parte del VRS).

Quando i carri armati di Ratko Mladić sono entrati in città l'11 luglio, Karremans ha fatto una nuova richiesta. La domanda è stata approvata dopo un iniziale rifiuto, ma il volo è stato male organizzato e non ha avuto risultati significativi. A quel punto, gli olandesi hanno lasciato Srebrenica con la popolazione e sono andati alla base ONU di Potočari.

La mancanza di mezzi e di autorizzazione ad agire, la superiorirà dell'esercito serbo, l'atteggiamento intimidatorio di Mladić e probabilmente i rapporti tesi con gli abitanti del luogo (testimoniato da scritte misogine e anti-musulmane sui muri della base) hanno finito con il convincere i militari della Dutchbat a collaborare con il generale e a consegnare i civili ai suoi uomini.

Le conseguenze di quella decisione hanno portato a diverse inchieste sull'operato dei soldati e del governo olandesi, facendo cadere nel 2002 la coalizione guidata da Wim Kok e portando alle dimissioni il capo delle forze armate, il generale Van Baal.

Da un punto di vista giudiziario, nel 2011 la Corte Suprema dell'Olanda ha accertato la responsabilità dello Stato nella morte di 3 cittadini bosniaci, allontanti dalla base di Potočari e uccisi subito dopo. E nel 2017, il Tribunale dell'Aja ha riconosciuto il governo "parzialmente responsabile" della morte di 300 rifugiati, anche se la sentenza è stata ammorbidita due anni dopo dalla Corte Suprema.

Tuttavia, a dimostrazione che la questione non solo non è chiarita, ma rimane un terreno di scontro, ci sono state anche iniziative di segno completamente opposto. Nel 2006, il Ministro della difesa olandese ha decorato con una medaglia i soldati del contingente di stanza a Srebrenica come forma di risarcimento per le ingiuste accuse subite. E a febbraio 2021, il governo olandese ha versato a ciascuno dei veterani del Dutchbat 5mila euro in qualità di "riconoscimento per le circostanze eccezionali" che hanno dovuto affrontare a Srebrenica.

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Fonti: Capire la Bosnia Erzegovina - Alba e tramonto del secolo breve (Cathie Carmichael), Osservatorio Balcani e Caucaso, PBS, Washington Post

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