“Siamo immersi in un acquario bellissimo, ma sogniamo il mare”.
È con la ring composition e con la metafora della gabbia acquatica (piena di contraddizioni e pericoli) che Baby dice addio dopo tre stagioni ricche di ansie e colpi di scena.
Il fatto di cronaca delle baby squillo dei Parioli, esploso nel 2013 con un certo tipo di giornalismo che aveva ritratto le ragazzine protagoniste come il simbolo della vacuità di una generazione, in cerca solo di soldi facili e appagamenti illusori, viene raccontato dal punto di vista di due personalità femminili unite ma estremamente diverse: Ludovica (Alice Pagani) e Chiara (Benedetta Porcaroli).
Il finale della terza stagione della serie, disponibile su Netflix dal 16 settembre, rimette tutto a posto, sceglie la “via sociale” e il politicamente corretto, raccontando per tappe lineari (e senza sorprese o svolte dell’ultimo minuto) la conclusione del percorso di educazione di Ludovica e Chiara.
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Il finale di Baby 3
Come finisce Baby 3? L’ultima stagione, che chiude la serie, presenta le due ragazze prossime al diploma di Maturità, finalmente lontane dal mondo delle squillo ma inevitabilmente pronte a prendersi le proprie responsabilità in tribunale.
Al finale si arriva con due percorsi ugualmente lineari ma completamente speculari, che portano le due amiche ad abbandonare la strada dei soldi facili e della prostituzione.
Il destino di Ludovica e Chiara
La prima ad arrivare alla via d’uscita è Ludo. Damiano è sulle loro tracce, così come il giornalista di gossip e scandali fidanzato con Fabio e come il giovane e determinato ispettore Pietro Comini.
Solo quando tocca il fondo (giustificandosi con la madre per quello che ha fatto: “Io so fare solo questo!”), Ludo si rende conto che le cose non sono così terribili come pensa lei: può studiare, può disegnare, può ancora uscire da quella spirale in cui era finita un po’ per gioco, un po' per amicizia con Chiara, un po’ per infatuazione di Fiore, un po’ per aiutare economicamente Simonetta.
Poi però, proprio quando decide di abbandonare l’appartamento affittato da Fiore per i loro appuntamenti e di abbandonare le droghe sintetiche, concentrandosi solo sullo studio, la verità viene a galla. Sofia, la baby prostituta che ha aiutato Chiara a ricattare Brando De Santis, viene scoperta e, durante un interrogatorio, fa il nome della persona che l’ha spinta al rapporto sessuale con il padre di Brando, una ragazza del Collodi di nome Emma.
Ma chi è Emma?
Si scatenano le voci, si scatenano i social, e alla fine, per l’astuta e subdola accusa della mamma di Chiara, viene designata Ludovica, che nel frattempo ha compiuto 18 anni, come “Emma”.
La ragazza, che non tradirebbe mai l'amica anche se quest'ultima esita a scagionarla, non può fare altro che fuggire, mentre sua madre viene arrestata per favoreggiamento, in quanto consapevole delle attività della ragazza. Decide di seguire Fiore a Berlino ma, proprio prima di partire, scopre che era stato lui a pagare lo stalker per spaventarla e costringerla a tornare sotto la sua protezione.
Ludovica, ormai prigioniera di Fiore, chiama la polizia e scappa dal casolare dove si erano riparati in attesa di abbandonare l’Italia. Prende la macchina e si lascia andare a una corsa liberatoria sulle note del brano inedito di Achille Lauro, Maleducata.
Convinta dall’ispettore Comini, torna a casa e affronta le conseguenze di quello che ha fatto. Si diploma con una tesina sul ’68 e parte per Parigi, per studiare disegno: è stata ammessa a un’importante scuola per fumettisti.
Chiara invece non vorrebbe mai abbandonare il mondo delle squillo, degli appuntamenti con i suoi clienti facoltosi. Scossa dalla scoperta di Damiano, che dopo aver saputo della vita parallela della sua ex ragazza la spia con una telecamera nascosta, accetta la svolta di Ludovica ma decide di continuare a prostituirsi, finché non incontra la moglie di un suo cliente, un avvocato coinvolto in lotte e battaglie per i diritti femminili, che la convince a esporsi.
I suoi genitori, ricattati dal fotografo inconsapevolmente aiutato da Damiano, per salvare la figlia e la candidatura della madre Elsa alle elezioni, scaricano tutta la colpa su Ludovica.
Impossibilitata a continuare a vivere dopo il danno causato alla sua amica, che è stata costretta a rinnegare in diretta TV, Chiara fa una diretta su Instagram in cui svela a tutti di essere lei Emma e di aver trascinato anche Ludo, oltre al favore chiesto a Sofia, sulla strada della prostituzione minorile.
Ormai ha capito che solo la verità rende davvero liberi, ma a troppe cose è tardi per rimediare, come la sua storia d’amore. L’addio a Damiano, sulla spiaggia durante i 100 giorni, è carico di malinconia: i due ragazzi si amano ancora, ma non possono più stare insieme dopo tutto quello che è successo.
Chiara affronta il processo solo tramite gli interrogatori della psicologa, perché minorenne. Mentre cerca Natalia, la teste chiave che può aiutarle (Fiore sta scaricando tutta la responsabilità su di loro e il suo avvocato è molto bravo a confondere le acque), avrebbe l’occasione per concedersi un’altra volta, in cambio dell’aiuto della ragazza.
Arrivata in camera da letto, però, non riesce a portare a termine l’incontro. È cambiata, anche lei, come Ludovica, seppur in modo diverso e con tempi diversi.
Interrogata in sede di processo, prova a spiegare perché lo ha fatto.
Ho sempre osservato gli altri. Non capivo perché tutti sapevano chi erano e io no. Io non l'ho mai capito. Avevo paura di sbagliare, di deludere. Quell'apatia mi faceva sentire adulta, sembrava la soluzione.
Baby finisce con Ludovica a Parigi e Chiara, accusata di favoreggiamento della prostituzione, in una casa famiglia. Le due si dicono addio su un colle di Roma, con tutta la città davanti a loro. Hanno capito entrambe che l’acquario è troppo stretto e, per arrivare al mare, ci sono modi migliori di quello che hanno intrapreso.
Decidono di tatuarsi un orsetto sul polso, identico, in omaggio al maxi-orsacchiotto che c’era nella stanza degli appuntamenti, nell’appartamento di Fiore.
Anche le storyline parallele, che nell’ultima stagione sono ridotte all’osso per lasciare spazio alla drammatica vicenda principale, si chiudono: Monica lascia il marito, il padre di Damiano, che torna in Libano, e si prende cura del ragazzo. Gli sta vicino al processo, aiutandolo a difendersi dalle accuse di Fiore; lo accompagna al cimitero, dove per la prima volta va a trovare sua madre, e si trasferisce con lui in un’altra casa, dopo aver abbandonato l’ambasciata.
Brando denuncia suo padre e convince sua madre a mandarlo via di casa. Finalmente maturo dopo il periodo di riflessione chiuso in camera sua (“The Revenant”, lo chiamano ormai gli amici), è pronto a vivere il suo amore con Fabio alla luce del sole.
Intanto Alberto Fedeli rassegna le proprie dimissioni dal Collodi: quell'istituto, che cerca di insabbiare tutto, ha perso il suo rispetto.
Anche Niccolò va incontro a un processo di redenzione: chiarite le questioni con Virginia e rinsaldato il legame con l’amico Brando, va a trovare in casa famiglia sia Sofia che, successivamente, Chiara.
I genitori di Chiara si separano mentre Simonetta sconta la sua pena in carcere.
Chiara intanto, nella casa famiglia, si dedica alla cucina e al giardinaggio. Si sente sola, svela a Niccolò, ma “va bene così”, mentre Ludo è finalmente realizzata e serena a Parigi, dove ha conosciuto i suoi compagni di corso e si è fatta degli amici.
“Vieni a trovarmi”, dice a Chiara prima dell’addio, ma le due sanno che le loro strade ormai si sono separate.
“Non dimenticherò”, promette l’amica.
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E nessuna delle due dimentica. L’ultima scena le mostra mentre guardano il loro tatuaggio, consapevoli che quel legame e quella storia terribile le hanno trasformate in persone adulte.
La spiegazione del finale
Trattare il caso delle squillo dei Parioli, uno scandalo di cronaca che ha coinvolto esponenti dell’alta società tra cui politici, industriali, imprenditori, ricchi uomini d’affari della Roma bene, sarebbe stato in ogni caso un’impresa delicata.
L’arco di trasformazione di Chiara e Ludo, due ragazze estremamente diverse, passa attraverso una spirale discendente: entrambe devono toccare con mano l’inferno, prima di decidere di cambiare vita. Lo faranno in modo diverso perché, per prima cosa, le squillo sono persone, esseri umani, ognuno diverso dall’altro, anche se l’etichetta appiccicata dai media è estremamente generica e spersonalizzante.
Ludo è una ragazza insicura, con problemi economici, tormentata dai bulli, che trova nell’autodistruzione una via di fuga dalla realtà.
Chiara è benestante, forte e consapevole e sceglie deliberatamente di “avere un segreto” per sentirsi meno sola, per sentirsi adulta grazie a quella forma di apatia da cui si sveglia – come dopo mesi in apnea – finalmente diversa e pronta a una nuova vita. “Non mi sono mai sentita in colpa”, afferma più volte, ma allo stesso modo le leggi più elementari, quelli della fedeltà a un’amicizia esclusiva, la portano a trovare il concetto di giustizia dentro di sé.
“Siamo tutti un po’ responsabili”, dice Chiara al processo. In realtà ci sono responsabilità diverse e quelle maschili, degli uomini – uomini della Roma bene, esponenti di spicco – vengono quasi trattate in modo sbrigativo, ovattato, decentrato; l’interesse è concentrarsi sulle due ragazze e sul perché sono arrivate a diventare delle baby prostitute e non a proporre una serie court.
Dalla vicenda dei Parioli, e dalla metafora dell’acquario, la generazione giovane esce martoriata ma sempre pronta a prendersi delle responsabilità, a migliorare. Quella degli adulti invece è, nonostante i blandi tentativi di essere bravi genitori, bravi educatori, fallimentare.
Hanno sbagliato tutti, chi più chi meno: da Simonetta, con intenzioni sicuramente non corrette ma finalizzate a tutelare la figlia, ai genitori di Chiara, troppo accaniti sulle luci della ribalta e sull’apparenza per costruire un rapporto sano con la figlia, come dice il padre nel momento in cui prepara le valigie e lascia casa sua. C’è chi cade e prova a rialzarsi, come la stessa Simonetta, e chi continua a sprofondare nel baratro anche dopo lo scoperchiamento del vaso di Pandora, come Roberto De Santis.
Alla fine, e solo alla fine, ci accorgiamo che – a prescindere dal fatto che sia stato corretto o meno il tiro in corso d’opera – tutti i tasselli, o quasi, erano funzionali a raccontare una doppia storia di rinascita.
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