In questo giugno di proteste globali per la morte di George Floyd del movimento Black Lives Matter, ci vuole un certo fegato per parlare del film di Spike Lee in termini negativi. Tuttavia per quanto la strettissima attualità dei temi trattati dalla pellicola giochi molto a favore di Da 5 Bloods - Come fratelli, nonostante si rischi di venire bollati come insensibili o peggio, il dato cinematografico da rilevare è che il film è debole e poco riuscito. In queste prime ore dalla scadenza dell'embargo la stampa statunitense lo sta salutando a suon di 5 stelle, 100, A+++, con qualche voce fuori dal coro, come il sito AV Club che gli affibbia un impietoso C-. A mente fredda, sono d'accordo con Ashley Ray-Harris in questa valutazione molto severa ma bilanciata.
La Storia e la sorte sono spesso provviste d'ironia amarissima e quindi eccoci qui nel 2020, con Spike Lee celebrato come un eroe cinematografico con il suo progetto più debole da parecchi anni a questa parte. Sono pronta a scommettere che da qui a 10 anni il suo titolo simbolo di questa decade sarà BlacKkKlansman e non Da 5 Bloods. Cosa rimarrà dopo l'ondata emotiva di queste ore? Un film che ha un punto di partenza strepitoso e che vede Spike Lee energico dietro la cinepresa, ma che non riesce a mantenere una visione d'intenti e a portare le premesse della sua storia fino ad estreme conseguenze.
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Lo spunto è quasi da commedia nera: quattro veterani afroamericani del Vietnam tornano sui luoghi del conflitto. La scusa ufficiale è recuperare i resti del loro commilitone Tornado Norman (Chadwick Boseman), ma il piano segreto è quello di recuperare un ingente carico di lingotti d'oro trafugati al tempo della guerra. Parte come un film sulla memoria con degli sprazzi di commedia, con l'America e il Vietnam che tornano a guardarsi negli occhi tra passato e presente, vorrebbe poi diventare un thriller e un film di guerra tesissimo e ricco di colpi di scena. A colpire è soprattutto la noia, nonostante tutto. Cosa è andato storto?
Da 5 Bloods non è l'Apocalypse Now afroamericano
Da 5 Bloods - Come fratelli s'inserisce in quella che per Spike Lee è quasi una missione di vita, ancor prima che artistica: educare i fratelli neri alla loro stessa storia, taciuta dalla cinema e dalla TV imperialista bianca. Anche in questo suo lavoro i filmati di Martin Luther King, le foto dei massacri della polizia e del KKK si mescolano con la fiction, mettendola in pausa per mostrare, dare voce, insegnare. L'intento di Da 5 Bloods - Come fratelli sembra quello di dare agli afroamericani quella voce a loro negata nella storia della guerra in Vietnam e nella grande pagina di cinema dedicata al conflitto. Una pagina, va detto, decisamente bianca.
Non stupisce quindi che Lee vada volutamente a ficcarsi in una comparazione con il film dei film sul conflitto: Apocalypse Now di Francis Ford Coppola. Ci vuole un certo ardire e molta sicurezza in sé per affrontare questo paragone, ma Spike Lee ha la carriera e il carattere per farlo. Peccato la missione fallisca miseramente. Coppola aveva dalla sua uno "sceneggiatore" come Joseph Conrad, mentre Lee crea la sua storia di sana pianta, ma il suo citazionismo parodico nella scena della risalita del fiume è debolissimo, non graffia. La fattura delle scene di guerra e delle sparatorie nella giungla fa sembrare ricercata persino una pellicola parodica come Tropic Thunder, mentre il suo maldestro tentativo di costruire un colonnello Kurtz nero, monologhi deliranti inclusi, diventa una vera zavorra per il film. L'idea è la stessa di Miracolo a Sant'Anna: l'assoluzione dei combattenti neri in una guerra voluta dai bianchi per i loro interessi.
Stavolta però il film non funziona perché è lo stesso regista a suggerirci i peccati dei suoi protagonisti, salvo poi tirarsi indietro. Tanto i quattro reduci sono appesantiti dall'enorme peso dell'avidità suscitata dall'oro, tanto Spike Lee è costantemente ostacolato dalla sua ritrosia ad addossare responsabilità individuali ai suoi personaggi. Apocalypse Now è il capolavoro che è anche per come riconosce le storture del sistema fotografando impietosamente la malvagità degli individui. Poteva essere la pellicola in grado di dare ancor più profondità e complessità al cinema di Spike Lee, riconoscendo ai fratelli neri anche il fardello della responsabilità verso altri oppressi. Il film invece non ha la forza o la voglia di farlo e rimane perennemente involuto. Si parte da stilemi e stereotipi tipici del film di guerra e del "colpo grosso", senza poi avere niente di diverso da dire a riguardo.
Spike Lee assolve il Kurtz nero
A guidare la missione ci sono quattro ex veterani afroamericani e il figlio di uno di loro. Sono vecchi, stanchi, corrotti dall'avidità e ancora molto segnati dal Vietnam. Nel frattempo la nazione del nemico si è trasformata in un paese asiatico vivace e moderno, ma Lee sin da subito mostra come le vecchie rivalità siano dure a morire. L'unico a non essere corrotto nell'animo è chi è stato mangiato dai vermi. Norman è morto sul campo da giovane leader, insegnando ai fratelli la storia nera e spronandoli ad amarsi e sostenersi, a non cedere all'ira cieca verso un governo che manda il 34% delle truppe afroamericane in rappresentanza del 11% della popolazione nell'inferno del Vietnam. Per buona parte del film Lee sembra suggerire che i compagni abbiano dimenticano i suoi insegnamenti, accecati dall'avidità e dal razzismo. Quando però c'è da tirare le somme, Spike Lee si tira indietro.
A pagare lo scotto è soprattutto l'incolpevole Delroy Lindo, alle prese con un personaggio raramente incoerente. La logica interna del personaggio di Paul vacilla insieme alla sua sanità mentale. È lui il nuovo Walter E. Kurtz, l'uomo mai tornato dal Vietnam, perseguitato da incubi e visioni. Tuttavia è anche un afroamericano che se ne va in giro col cappellino Make America Great Again sostenendo la politica di Trump (irrisa con una certa fiacchezza in tutto il film) e perpetuando ogni sorta di abuso psicologico sul figlio. Le premesse sono tutte pronte a renderlo un grande personaggio, forse anche un grande cattivo; un passo che il cinema afroamericano ha molte riserve a fare. Sarebbe perfetto: un villain folle plasmato dalle storture dell'America del passato, che non a caso crede nell'America deviata del presente.
Invece no, Spike Lee ci ripensa e decide che Paul in fondo è buono e giusto, inserendo un colpo di scena telefonatissimo da un lato e una lettera strappalacrime dall'altro (e che suona insincera e incoerente, visto quanto successo prima). La visionaria assoluzione di Paul fa crollare definitivamente i film, che già si trascinava da troppo tempo (2 ore e 34 minuti infiniti) e con un fattura che conferma la qualità tecnica discutibile del film Netflix medio. Poi torna Martin Luther King, appare il movimento Black Lives Matter, l'epilogo sembra quasi girato una settimana e non un anno fa. Tuttavia, se umanamente è il film migliore che si possa trovare tra le novità di Netflix, cinematograficamente non è un titolo riuscito, anzi.
Da 5 Bloods - Come fratelli insomma è una medicina amara, un film riuscito a metà ma resosi necessario alla luce dell'America e del mondo di oggi. L'approccio migliore è recuperare anche il ben più riuscito (e comunque attualissimo) BlacKkKlansman e i classici del repertorio del regista. Il film sarà disponibile dal 12 giugno 2020 su Netflix.
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