Che strano anno cinematografico è stato quello che ci apprestiamo ad archiviare. Ricco di pellicole mediali e mediocri, poverissimo di capolavori, nostalgico verso un'epoca di buone intenzioni e grandi approssimazioni.
Guardando ai film biografici dell'annata - e in particolare ai biopic musicali A Star is Born e Bohemian Rhapsody - viene proprio da chiedersi come mai i grandi studios provino quest'improvvisa nostalgia per il buon tempo antico, che ormai corrisponde ai fulgidi anni '80/'90. Non mi riferisco tanto ai soggetti dei film o ai remake, quanto al modus operandi scelto per realizzarli. Quello di un adattamento curato nella forma ma oltremodo semplicistico nel contenuto.
Non penso che Bohemian Rhapsody meritasse certe critiche feroci ricevute da una parte della stampa. È comprensibile provare rabbia e irritazione di fronte a una visione così sempliciotta e tutta virata al positivo di Freddie Mercury, portentosa voce dei Queen, leader carismatico e simbolo di un'era di contraddizioni, paure e solitudini nella comunità queer. È lui il protagonista dichiarato del film, il leader naturale di una band egalitaria, più posata e acculturata della media rock dell'epoca.
Mercury era una figura irriverente e sfaccettata nell'aspetto e nei modi, che Bohemian Rhapsody cattura solo talvolta e solo grazie al suo interprete principale, un Rami Malek a cui il film deve davvero tantissimo. Tuttavia non si può archiviare con una riga sdegnata sulla mancanza di scene esplicite il conflitto di un film più volte sull'orlo della cancellazione, costretto a un cambio di regista e travolto da mille difficoltà. Nonostante una produzione difficile e i limiti del cinema statunitense più mediato, Bohemian Rhapsody tenta in qualche modo di conciliare il tema dell'omosessualità al più sfrenato conformismo hollywoodiano.
Bohemian Rhapsody, la trama del film
Per buona parte del film Freddie Mercury è ancora Farrokh Bulsara, un giovane di origini parsi che lavora come facchino all'aeroporto di Londra. Tutto cambia quando si propone a una band appena rimasta senza cantante in veste di sostituto. Impacciato dai suoi denti sporgenti, intimidito nelle relazioni sociali, cocciuto in campo artistico, il ragazzo si rivela un autentico animale da palcoscenico. Sotto la sua influenza la band in poco tempo cambia volto, nome e musica: gli irriverenti Queen ottengono un contratto discografico importante e i soldi per registrare il loro primo album.
A guidarli è l'energia giocosa e irrefrenabile dei giovani e dei creativi in erba. Neofiti della produzione sì, ma non certo della musica: dietro le chitarre e la batteria si nascondono quattro lauree, una fascinazione per l'opera e l'epica letteraria classica, citazioni oscure ai più nei testi e sperimentazioni musicali tra falsetti e stratificazioni ossessive del suono.
È un successo immediato e quasi senza sforzo quello dei Queen, che s'imbarcano per un trionfale tour negli Stati Uniti d'America. Decisi a sperimentare senza ripetersi mai, a considerarsi una famiglia a tutti gli effetti e a coinvolgere il proprio pubblico (i disadattati come loro) in uno show il più inclusivo e trascinante possibile, i quattro ragazzi inglesi sembrano inarrestabili.
A un certo punto però l'adrenalina del palco non basta e le fascinazioni del grande mondo che si schiude davanti a lui portano Freddie a dover abbracciare il suo tormento segreto: la sua omosessualità. Il matrimonio con la sua amante e confidente va in pezzi, il resto della band mette su famiglia e - pur tollerato e in qualche modo protetto da musicisti, discografici e staff tecnico - Freddie si ritrova divorato dalla solitudine, travolto dai pettegolezzi.
Bohemian Rhapsody racconta l'ascesa e la caduta di una band, la presa di consapevolezza dolorosa e distruttiva dell'identità di un uomo e una resurrezione musicale. Il tutto inizia e finisce con la storica esibizione al Live Aid, il concerto benefico organizzato nel 1985 per raccogliere fondi contro la fame in Africa. In quell'occasione i Queen, colpiti dagli scandali e dal quasi scioglimento della band, offrirono una delle performance più celebri della storia della musica, entrando nella leggenda.
Bohemian Rhapsody, la recensione
Bohemian Rhapsody si apre con un Freddie Mercury pronto a salire sul palco del Live Aid e a entrare nella storia, pur essendo già una leggenda, una stella dall'aura un po' appannata. Il film poi torna indietro, agli inizi, per riportarci al punto di partenza e rivelarci la vera valenza di quel suo testamento musicale, rileggendo passo dopo passo, canzone dopo canzone, il senso artistico e umano dietro la storia dei Queen (che hanno ufficialmente sostenuto il progetto).
Il grosso limite di Bohemian Rhapsody è che la sceneggiatura è totalmente incapace di creare un qualsivoglia alone di complessità intorno alla storia. Tutto accade senza sforzo, tutti sono chiaramente divisibili in buoni e cattivi. Freddie viene sì mostrato mentre adocchia un camionista che entra in un bagno pubblico, viene sì ripreso mentre dà enormi feste a base di cocaina e alcol, appare sì in una spirale distruttiva più che canonica nella parabola di ascesa, caduta e redenzione di un'artista. Eppure Freddie rimane un giovane uomo d'intrinseca bontà, la cui discesa nella promiscuità e nella droga è causata dall'influenza di un altro personaggio omosessuale, la cui malevolenza sconfina nel macchiettistico.
Viene ancora di più da mangiarsi le mani vedendo che potenziale venga sprecato in favore di questa visione positiva sì, ma tragicamente edulcorata. La distanza tra A Star is Born (decisamente inferiore per risultato finale) e Bohemian Rhapsody si misura sulla scala dell'autenticità: attori veri versus cantanti con le migliori intenzioni, canzoni leggendarie in opposizione a una musica creata per uno scopo, una regia sfortunata ma comunque brillante e omogenea contro una vaga imitazione della stessa. Di fronte all'incredibile lavoro svolto da Rami Malek (e non solo, vedi l'ottima perfomance di Gwilym Lee nei panni di Brian May) e al sincero interesse che la pellicola dimostra verso la musica, ci si chiede costernati come possa essersi lasciati sfuggire l'occasione di realizzare un film all'altezza della leggenda dei Queen.
Era tutto sorprendentemente a portata di mano. Freddie è un uomo introverso, amante dei gatti e delle battute irriverenti; sembra una voce ipercontemporanea, il personaggio perfetto con cui il pubblico dei social network e della social justice possa creare un legame. Gay, immigrato, introverso: non c'è tematica attuale che la sua figura non finisca per sfiorare.
Il problema è che il film non sa cogliere l'opportunità per essere dirompente ed epocale, accontentandosi di dire e mostrare entro limiti precisi l'omosessualità del suo protagonista. Appena si passa dalla dimensione musicale a quella storica, quando le chitarre tacciono e sono i protagonisti a parlare, non si può che rimanere stupiti da quanto il film faccia ragionamenti semplicistici.
Bohemian Rhapsody riduce una storia eccezionale a una serie di messaggi propositivi e normalizzanti, che lasciano il tempo che trovano. Per sua e nostra fortuna il film concede alle canzoni della band di raccontare la stessa e questa scelta salva in qualche modo il risultato finale.
Bohemian Rhapsody sarà nelle sale italiane a partire dal 29 novembre 2018.
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