È arrivata davvero la fine dell'uomo bianco ed è finalmente giunto il momento degli uomini gialli e marroni? Il dibattito è lanciato e La tigre bianca del regista iraniano-americano Ramin Bahrani contribuisce ad alimentarlo, portando su Netflix il romanzo d'esordio dell'indo-australiano Aravind Adiga, bestseller del New York Times e vincitore del Man Booker Prize 2008.
Produzione statunitense ma ambientazione indiana (tra Laxmangarh e New Delhi) nell'anno 2010, #La tigre bianca conserva la forma epistolare del libro di partenza. Il protagonista Balram Halway (Adarsh Gourav), intelligente e brillante "underdog" nato e cresciuto in un poverissimo villaggio nel distretto di Gaya e diventato imprenditore autodidatta di successo a Bangalore (la cosiddetta Silicon Valley indiana ormai capofila mondiale dell'high-tech), scrive una serie di lettere al Primo ministro cinese Wen Jiabao, atteso per una visita in città.
Attraverso la sua stessa storia, Balram racconta come si sia fatto strada da solo, macchiandosi di un orrendo crimine per sfuggire a un destino ineluttabile di sottomissione e sfruttamento, la "stia per polli" nella quale la sua casta è rinchiusa da millenni.
Come? Facendo da autista per chi stritola da sempre il suo paesino – una famiglia di corruttori e spietati estrattori di carbone – ed entrando nelle grazie di Ashok (Rajkummar Rao), il figlio più giovane ed occidentalizzato del clan, laureato a New York e sposato con l'americana Pinky (Priyanka Chopra).
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Le contraddizioni della più grande democrazia al mondo, l'eterna lotta tra servi e padroni, la dannazione come redenzione per pagare il prezzo della libertà, sono soltanto alcuni dei temi al centro del romanzo e del film.
Ma dietro la vicenda di La tigre bianca si nasconde una storia vera?
Aravind Adiga vive e lavora a Mumbai, ma prima di trasferirsi nella capitale del Maharashtra è cresciuto tra Madras, Mangalore e Sydney. Lo scrittore ha iniziato la carriera professionale come giornalista finanziario nella redazione del Financial Times e in un'intervista concessa al Guardian racconta che l'ispirazione per La tigre bianca è arrivata mettendo insieme varie storie vere.
Prima di scrivere il libro, quando lavorava come corrispondente del magazine Time in Sud Asia, Adiga ha viaggiato in lungo e in largo per l'India.
Ho passato parecchio tempo in giro per le stazioni indiane e ho parlato a lungo con i guidatori di risciò e 'rickshaw' [una sorta di Ape Piaggio realizzata dalla Bajaj, ndr].
Adiga ha raccolto queste storie e le ha riunite nel personaggio di Balram Halway. La tigre bianca non si basa quindi su una vicenda realmente accaduta: è piuttosto un'opera di finzione che ha tratto ispirazione da spunti veri.
Uno di questi è la differenza fisica tra ricchi e poveri che in India appare evidente.
In India, sono i ricchi ad avere problemi di obesità. E i poveri hanno la pelle più scura perché lavorano all'aperto e spesso lo fanno a torso nudo, quindi puoi vedere le loro costole. Ma anche la loro intelligenza mi ha colpito. I guidatori di risciò e rickshaw mi ricordano soprattutto i neri americani, nel senso che sono arguti, pungenti, bravi nel parlare e del tutto privi di illusioni sui loro capi.
Balram è per Adiga come l'uomo nero e senza identità del romanzo che nel 1952 ha cambiato la letteratura statunitense: Uomo invisibile di Ralph Ellison.
Balram è il mio uomo invisibile, reso visibile. La tigre bianca uscirà dalla sua gabbia.
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Un'altra storia vera ha influenzato la scena-chiave del romanzo e il punto di svolta nella narrazione del film di Bahrani: l'incidente che coinvolge Pinky e Ashok. Pur non ammettendone l'ispirazione diretta nel processo di scrittura, Adiga ha fatto riferimento al caso di cronaca che ha coinvolto l'attore indiano Salman Khan.
Nel 2002, alla guida del suo Suv a Bandra, alla periferia di Mumbai, uno dei più amati e importanti divi di Bollywood ha investito e ucciso un senzatetto e ferito altre quattro persone che stavano camminando su un marciapiede. L'attore si è difeso cercando di dimostrare che al volante dell'auto non c'era lui ma il suo autista, Ashok Singh.
Inizialmente l'autista ha ammesso di guidare il Suv. In seguito, tuttavia, Singh è stato accusato di falsa testimonianza. Numerosi testimoni, infatti, lo hanno sconfessato e nel 2015 i giudici hanno condannato Salman Khan a cinque anni di carcere per omicidio colposo. I legali del divo hanno però presentato ricorso e l'Alta Corte di Mumbai ha deciso di sospendere la pena, concedendogli la libertà provvisoria.
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Come per il classico #Fahrenheit 451 (2018) per HBO, l'adattamento di La tigre bianca è molto fedele all'opera letteraria di partenza. D'altronde Ramin Bahrani e Aravind Adiga sono amici di vecchia data. I due si conoscono dalla fine degli anni '90, quando entrambi studiavano alla Columbia University.
Dopo la laurea Bahrani è tornato in Iran per completare gli studi in regia ed è rientrato negli Stati Uniti "come se avessi una missione": girare film sul capitalismo. The White Tiger è un'altra cruda analisi della crisi globale e delle storture della gig economy, già intrapresa ai tempi di #A qualsiasi prezzo (2012) e #99 Homes (2014). Il regista confessa al Financial Times che prima di cominciare le riprese di La tigre bianca, ha visitato l'India con Adiga e ha preferito fare ricerca viaggiando a piedi o in autobus piuttosto che in macchina.
A Delhi Bahrani ha parlato con autisti a contratto come Balram: sotto i luccicanti condomini nei quali lavorano ha scoperto storie di moderna schiavitù. Non solo: per il villaggio di Balram si è ispirato alla provincia di Shiraz, dov'è nato e cresciuto suo padre.
Ci sono sfumature culturali, ovviamente, ma infinite somiglianze: niente elettricità, inclinazione ai soldi e alla famiglia.
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La reporter Kamala Thiagarajan ha "messo alla prova" il realismo di La tigre bianca in un'inchiesta per Npr. La giornalista ha chiesto ad alcuni indiani che hanno "conosciuto la povertà" cosa pensano del film Netflix.
Se personalità come Mohammed Wajihuddin, vice redattore del Times of India di Mumbai, reputa corretta la rappresentazione della vita di Balram, c'è chi – come la stilista Vaishali Shadangule – non apprezza il modo in cui The White Tiger descrive i poveri.
Nata a Vidisha da una famiglia umile e diventata (dopo tantissimi lavori: da segretaria a istruttrice di ginnastica) la Ceo di Vaishali S a Bhopal, Shadangule ritiene che il film ha ancora "uno sguardo occidentale bianco" pieno di stereotipi.
L'India è un paese con dure divisioni sociali, ma non sono d'accordo quando Balram dice che l'unico modo in cui i poveri possono arricchirsi è seguire il crimine o la politica. Non sente alcun rimorso anche quando uccide il suo datore di lavoro, perché ciò gli permette di trascendere il ciclo della povertà. Penso che questo sia un messaggio pericoloso e che sminuisce gli anni di sforzo instancabile, la disciplina e la pura passione che molti poveri usano per elevarsi al di sopra delle proprie possibilità.
Eppure la fashion designer si riconosce in parte in Balram, nella sua lotta per affrancarsi e farsi riconoscere. Benson Neethipudi, invece, è un avvocato laureato alla Columbia University come Bahrani e Adiga e ritiene che una buona istruzione, un lavoro decente e uno stipendio degno di questo nome possono aiutare le persone di caste inferiori a proteggersi dai pregiudizi e dalla violenza, ma non fermano la discriminazione.
Neethipudi cita il caso di suo padre: un ingegnere di Visakhapatnam con un impiego rispettabile, al quale un'agenzia immobiliare ha impedito l'acquisto di un appartamento di alto livello perché "non vendiamo case a persone della tua comunità", ovvero i pària o dalit.
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Sul dibattito intorno a La tigre bianca è intervenuta infine Priyanka Chopra, coinvolta nel film anche come produttrice oltre che da attrice. Parlando a Usa Today, la star indiana precisa l'obiettivo e i concetti al centro del progetto.
La maggior parte del mondo non trae benefici né dal capitalismo né dai sistemi democratici e vive in condizioni davvero difficili. Quante volte sei passato davanti a un barbone o a un rifugio per i senzatetto e non ci hai neanche fatto caso?
Che sia una storia vera o di finzione, La tigre bianca "parla di disparità di classe: un fenomeno super-universale".
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