All’annuncio di Lacci come film d’apertura di Venezia 77, i più maligni avevano parlato di una scelta di ripiego, italiana e quasi obbligata, in un'annata dalle pellicole degne di attesa e hype davvero contatissime.
A posteriori il tempo e la prima mondiale hanno dato ragione ad Alberto Barbera e alla sua scelta sensata, prevedibile ma concreta. Lacci è tutto fuorché un film che sorprende. In un’annata in cui le sorprese negative cause Covid-19 e defezioni (tradimenti?) di major e piattaforme streaming eccellenti hanno fatto molto male, è una buona notizia.
Daniele Luchetti - che ci ha raccontato il film ieri in una video intervista - arriva senza sorprese, ma armato di un romanzo che funziona alla perfezione anche su grande schermo, messo in scena esattamente dai nomi che ci si poteva immaginare leggendone le pagine. Non è la prima volta che lo scrittore Domenico Starnone collabora con Luchetti, sottoponendogli i suoi romanzi e collaborando alla stesura delle sue sceneggiature, ma il caso di Lacci è particolare. Si tratta infatti di un romanzo che ha fatto parlare molto di sé, trovando la forza di sbarcare con un certo successo anche all’estero.
Non c'eravamo tanto amati
Permette a me ora di essere maligna: non poteva esserci momento migliore per tirar fuori dal cappello a Venezia una storia d’infelicità familiare e affettiva ambientata a Napoli tra gli anni ’80 e il presente, cogliendo appieno l’ondata mediatica e culturale di L’amica geniale. Non che Daniele Luchetti faccia nulla per sembrare Saverio Costanzo o Domenico Starnone rassomigli in qualche modo nel modo di scrivere a Elena Ferrante (con buona pace degli amanti delle dietrologie). Il collegamento nasce e cresce nel cervello delle spettatore, il che fa molto bene al più classico dei drammi basso borghesi messo in scena dal film.
Aldo e Vanda non si erano nemmeno tanto amati, ma il tradimento di lui (speaker radiofonico della RAI) con la bella collega di Roma dà il via a guerra di logoramento di nervi, di cui si ritrovano vittime i due figli della coppia. Luigi Lo Cascio e Alba Rohrwacher mettono il pilota automatico per due ruoli ricalcati sulle loro rispettive filmografie ed è quasi naturale vederli invecchiare in Silvio Orlando e Laura Morante.
Niente di più, niente di meno
Tutte le sorprese che il film regala vengono dal libro, da come costruisce in maniera concisa e precisa un dramma familiare in cui hanno tutti si vorrebbero slegare dalla presenza e influenza degli altri, eppure i lacci del titolo trovano sempre il mondo di farli inciampare, di annodarli a persone con cui non hanno nulla da condividere tranne l’infelicità. Luchetti però un merito ce l’ha: riesce a tenere a freno ogni possibile deriva peggiorativa, limitando al minimo quelle scene in cui ci si urla tutti tutto contro e in sala si levano gli occhi al cielo pensando “ancora un’altra litigata cinematografica italiana”.
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Non è A Marriage Story. Sarebbe impossibile, dato che è una storia che guarda fermamente al passato. Non è nemmeno un residuato mucciniano con ambizioni autoriali, il che è già un risultato, perché a Venezia di derive del genere in passato se ne sono viste molte in lingua italiana negli ultimi concorsi. Lacci è un film solido, senza sorprese, che potrebbe conquistare la stampa straniera e il pubblico che non conosce il libro da cui è tratto. Non fa niente per essere qualcosa di più, ma si impegna attivamente per non essere da meno: tutto sommato, va benissimo così.
Lacci sarà al cinema a partire dal 1 ottobre 2020.
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