Era destinato a non passare inosservato Mandibules ed è stata una fortuna per la Mostra di Venezia avere fuori concorso una commedia capace di alleggerire un po' i toni critici, drammatici e politici di questa Mostra, dove oltre a quella Hollywood e a quella di Netflix si registra un'altra latitanza: quella delle commedie. Ne sarebbe servita qualcuna in più, ma non è facile trovare film riusciti come l'ultima opera di Quentin Dupieux. Anzi, a posteriori Alberto Barbera avrebbe fatto bene a osare il passaggio in concorso: il film avrebbe rischiato di vincere qualcosa d'importante.
Bisogna ammettere che lo stesso regista di Deerskin è da tempo che lotta in cerca di un equilibrio interno al suo cinema, ricco di suggestioni surreali e nonsense e proprio per questo spesso tedioso e inconcludente. Che il talento ci fosse era evidente, che stesse prendendo le misure film dopo film anche, perciò è stata solo questione di tempo.
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Così in questa Mostra più austera che mai il film migliore dell'edizione rischia di essere quello nel cui cast figura una mosca gigante e che sembrava paurosamente a rischio scult. Tutt'altro: è una visione divertente, spensierata e speranzosa. Tre ingredienti di cui si sente davvero il bisogno al cinema e nel 2020.
Due comici e un regista per un cult
Come raccontato da Dupieux il progetto nasce insieme al duo comico francese formato da David Marsais e Grégoire Ludig, con cui aveva collaborato già in passato. L'idea di partenza è semplicissima: due spiantati, due ragazzoni abbastanza idioti e con una certa esperienza criminale trovano una mosca gigante nascosta nel bagagliaio di un auto rubata. Superata la sorpresa iniziale, elaborano uno strambo piano per addestrarla, convinti che li aiuterà a diventare ricchi.
Dupieux racconta il suo processo creativo di scrittura come impulsivo e senza riletture o ripensamenti ma è difficile credergli di fronte alla raffinatezza formale di Mandibules, che nella macro storia dell'addestramento della mosca, pardon, Dominique, inserisce i micro archi narrativi della roulotte, del soggiorno nella casa dei ricchi ragazzi sfaccendati e della missione della consegna di una valigetta.
L'amicizia perfetta tra due spiantati
A sostenere ogni bizzarria o momento surreale c'è una base solida, un concetto semplice ma che conquista: l'amicizia tra Jean-Gad e Manu. I due comici interpretano due "bro" che fanno a gara per essere più idioti e spiantati che mai. Sembrano a tratti privi di moralità e vivono alla giornata, senza ambizioni e aspettative. Manu dorme in un sacco a pelo in riva al mare, Jean-Gad gestisce senza troppo successo una stazione di servizio. Non stupisce che quando ci sia qualche lavoretto sporco in zona, in parecchi si rivolgano a loro.
Eppure in Mandibules risplende purissimo un sentimento di amicizia senza doppi fini o ripensamenti, egoismi, rimproveri. Non mancano momenti in cui uno dei due fa qualche sciocchezza, ma non c'è mai un diverbio o una mala risposta. È l'ideale dell'amicizia in senso classico, che commuove e diverte ancor di più perché applicato a due idioti patentati che con un'alzata di spalle compiono piccoli e grandi crimini.
In tutto questo la mosca, l'elemento che prometteva di essere il centro della storia, occupa invece uno spazio giusto, non presta nemmeno troppo il fianco a letture metaforiche strampalate. È una grossa mosca, un elemento comico come un altro. Funziona perfettamente, proprio come il personaggio di Adèle Exarchopoulos, una ragazza che funge da contraltare perfetto al duo protagonista. Tanto sono ingenui loro, tanto è intelligente e malevola lei. L'attrice francese se la cava a meraviglia con un ruolo reso complicato da un dettaglio cult: la ragazza ha avuto un incidente mentre sciava e ora è costretta a urlare a squarciagola ogni volta che apre bocca.
Profumo di cult
Elementi come questi rischiano di sembrare posticci, artistoidi nel senso peggiore del termine. Forse è la prima volta che Dupieux stesso riesce a farli funzionare a questo livello, dando loro un senso e una funzione, quando non una logica. Quando il film poi azzecca un finale assolutamente perfetto (questo sì pronto a prestarsi a interpretazioni di ogni sorta) Mandibules suscita la ferma consapevolezza di aver visto un titolo cult, destinato a farsi ricordare istintivamente. Pura toro-emozione.
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