Sarebbe dovuto uscire nelle sale statunitensi d'estate, invece è arrivato su Disney+ il giorno di Natale: Soul non è né un titolo particolarmente estivo né il rassicurante film natalizio pieno di momenti edificanti che scaldano il cuore. Eppure è il tipo di pellicola che ben si adatta al Natale 2020, una storia di cui cinefili e spettatori hanno disperatamente bisogno in questo momento. Soul è cinema di qualità - a livello tecnico e narrativo - che non dà troppe risposte allo spettatore ma gli pone delle domande, o quanto meno lo invita a riflettere. Dopo mesi e mesi a sale chiuse e con un'offerta on demand e streaming costellata di delusioni e fiaschi, in un anno di grandi film fermi ai nastri di partenza in attesa di tempi migliori, per spiccare nell'intera annata a Soul basta essere un film riuscito e ben scritto.
Forse dopo una pandemia globale è auspicabile che persino il film d'animazione di Natale di Disney inviti a un momento d'introspezione e di bilancio personale, anche se con i toni gentili di quello che soltanto nella vulgata più stereotipata rimane un genere "per bambini". Soul non è un lungometraggio dirompente e innovativo in casa Pixar, ma nemmeno un riempitivo di lusso che strizza un occhio al merchandise di casa Disney.
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Il film d'animazione è una pellicola che porta a estreme conseguenze un discorso iniziato in Inside Out e proseguito in parte da Coco, riflettendo sulle componenti immateriali che rendono gli umani tali. Lo suggerisce il titolo stesso: Soul si pone l'ambizioso tentativo di rendere con un segno grafico e una forma cinematografica quel che sappiamos sull'anima, ricordandoci come la fine inevitabile del nostro essere nel mondo materiale dia un valore specifico al tempo che trascorriamo sulla Terra.
Disney e la morte: il coraggio di Soul
A ben vedere la morte (anche violenta e tragica) non è mai stata troppo lontana dall'universo animato disneyano. Una volta riguardava i cattivi di turno, quando si rivelavano irredimibili, oppure i genitori di una schiera folta di orfanelli e orfanelle protagonisti di storie principesche. La prospettiva assunta da Pixar negli ultimi anni però merita un discorso a parte: un conto è ritrarre la morte come una tappa fondamentale della crescita delle nuove generazioni (come fa Over the Moon, il concorrente animato Netflix nella corsa agli Oscar 2021), un altro è sottoporre il pubblico a un memento mori gentile ma non annacquato di quello che lo aspetta, chiedendogli: se succedesse domani, potresti dire di aver vissuto davvero la tua vita?
Ci deve essere voluto tutto il peso specifico del regista due volte premio Oscar Pete Docter per spuntare la luce verde su un progetto come Soul, che non solo uccide il suo protagonista, ma lo fa in modo crudelmente realistico: improvvisamente, stupidamente e senza del senso superiore di compiutezza. Joe finisce in coma proprio nel momento in cui la sua vita fallimentare sembra avvicinarsi alla svolta attesa da tutta una vita.
Non si può che plaudere al coraggio di Docter e dei cosceneggiatori Kemp Powers e Mike Jones per aver deciso di prendere un pianista afroamericano jazz senza un impiego fisso e senza una relazione come Joe Gardner e averlo messo al centro della scena. In un contesto rassicurante, tradizionale e familista come Disney - ma il discorso si allarga a quasi tutto il cinema d'intrattenimento - vedere un personaggio di cui si analizzano le illusioni e le delusioni senza un qualche tipo di giudizio morale sulla sua "devianza" dall'evolversi tradizionale della vita (nasci, cresci, di realizzi, fai una famiglia, dei figli, invecchi, muori) intervenga a correggere la rotta è notevole. Anzi, è il vuoto che Soul suppone a lasciare senza fiato: manca il giudizio morale di qua e di là, il Divino è sostituito da "tutti i campi d'energia quantizzata del mondo". Non temete, possiamo sempre chiamarlo Jerry e farci rassicurare dalle sue forme cubiste e i suoi modi gentili: una rebrandizzazione quantomeno agnostica davvero ben pilotata.
Se il vuoto nell'ordine divino e morale è un tratto non comune, ancor più raro è il fatto che siamo di fronte a un soggetto completamente originale, nato dall'interesse di Docter per come si forma e cosa compone l'indole e il carattere di ogni essere umano. Pellicole autoconclusive senza agganci narrativi a personaggi rodati, multiversi o con remake alle spalle sono una specie in via d'estinzione, eppure Soul prova che questa vertiginosa libertà nelle giuste mani si trasforma nella forma più potente di cinema.
Viaggio nell'anima
Soul non è quel film Pixar dirompente e spiazzante per quanto è differente da ciò che abbiamo visto prima; la sua rivoluzione è più sottile, ma non meno incisiva. Il collegamento narrativo, tematico e stilistico con Inside Out è evidente. Quando Joe finisce nell'Altromondo e sta per morire, il film crea una dimensione astratta e concettuale non troppo dissimile anche a livello estetico da quella in cui operano le emozioni della giovane protagonista del precedente progetto di Docter del 2015.
Inside Out si svolgeva in un cervello, aveva per protagonista una giovanissima ragazzina con davanti un infinito ventaglio di possibilità: Soul è il suo opposto, il suo negativo fotografico. Qui il protagonista sfiora la mezza età (altro dettaglio non da poco) e si ritrova a non avere più tempo, finendo per esplorare il mondo dell'anima, come da titolo.
Nell'Antemondo e nell'Altromondo Soul dà il meglio di sé, tirando fuori una dimensione che trasforma un duopolio tradizionale dell'Aldilà (paradiso contro inferno) in una sobria sintesi concettuale e astratta, in cui entità (plurale) superiori plasmano i fuori nascituri con tratti caratteriali distintivi. Rimane un ultimo spazio da riempire, una Scintilla necessaria per nascere. La piccola 22 però è un'anima che ormai da migliaia di anni ha perso interesse nel trovarla: sa tutto della Terra, perché ha avuto innumerevoli mentori illustri (da Madre Teresa a George Orwell) che hanno provato a farle trovare la giusta motivazione. Cinica e disillusa, 22 non vuole nascere e preferisce rimanere nel limbo dell'Anteomondo.
Per un errore Joe finisce per essere il suo mentore: l'uomo è egoisticamente concentrato a fare ritorno ad ogni costo nel suo corpo per vivere il suo piccolo momento di gloria, pur considerando lui stesso la propria vita fallimentare e priva di risultati. Lui e 22 finiranno a condividere una breve esperienza che porterà Joe a valutare sotto una luce differente la sua vita e l'anima ancora non nata a scoprire cosa le manca veramente per avere una personalità completa.
Una tappa, non un punto d'arrivo
Soul fonde brillantemente uno spaccato newyorkese afroamericano e multietnico a riflessioni sulle domande che attanagliano l'essere umano da quando ha coscienza di non sapere esattamente cosa lo renda tale. La maturità artistica di Pixar e uno dei suoi grandi nomi è ridurre a forma gradevole e accessibile concetti che spiegati a parole suonano di autorialità cinematografica e letteraria impenetrabile. Docter però cos'altro è, se non un autore, un saggio paziente? Uno che vede la saggezza del misticismo esoterico (mancava giusto Franco Battiato ad aiutare 22) ma lo riduce a una forma comprensibile non tanto a un giovane spettatore, quanto a un resistente e sfuggente alla sua stessa mortalità. Se Soul "non è un film per bambini" è perché la sfida più difficile è parlare a un pubblico che nei rimpianti di Joe si può rispecchiare quotidianamente, eppure evita di farlo per non cambiare.
Non vale nemmeno la pena sottolineare il livello altissimo che questo film raggiunge tecnicamente: la riflessione della luce su tessuti e sulla pelle, le consistenze materiche di superfici e corpi, la musiche di Trent Reznor e Atticus Ross a descrivere a livello sonoro i concetti astratti dell'Antemondo, i doppiatori originali strepitosi. Tutto da applausi, un'eccellenza che è stato dell'arte in continuo avanzamento. Più interessante sottolineare come il film nella seconda parte tiri un po' il freno a mano, forse spaventato dalle conseguenze delle sue stesse premesse. Un po' come Inside Out, Soul allunga una mano verso una dimensione oscura: quella dell'errore irrevocabile. Poi però la ritrae, perché siamo pur sempre in un film Pixar. Eppure se c'è qualcuno che può portare un film di questo tipo all'estrema conseguenza, normalizzando non solo la morte ma anche il fallimento in vita, è proprio chi questo discorso ha avuto il coraggio di cominciarlo. Il finale di Soul suona come un "andrà tutto bene", in netto contrasto con quanto detto dal resto del film.
Poteva essere il punto di arrivo, la sintesi della ricerca di Pete Docter sull'essenza dell'essere umano. Soul suona invece come una tappa importante ma inferiore al suo apripista Inside Out. Sarà interessante vedere se e quando arriveremo a un film che abbia il coraggio di inseguire questa ricerca tuffandosi davvero nell'oscurità, normalizzando non solo la tristezza o la morte, ma anche la malvagità e l'errore, dicendoci che sì, abbiamo sbagliato, sì, siamo stati cattivi, ma che possiamo intervenire solo a posteriori, solo finché ne abbiamo la possibilità. Con la malvagità e gli errori pregressi possiamo solo convivere e farci guidare dagli stessi nella direzione che vogliamo. Per ora invece ci dobbiamo accontentare di un: guarda dove metti i piedi quando cammini e non mangiare troppo cibo processato per non doverti confrontare con i tuoi errori anzitempo.
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