Pur non avendo una precisa continuity, Star Trek ha sempre mantenuto una tendenza: muoversi verso il futuro. Quasi che l’intento creativo di Roddenberry fosse ancora presente e spingesse a raccontare la continua evoluzione dell’avventura umana tra le stelle, le serie di Star Trek sembravano seguire questo flusso temporale.
Dopo aver segnato uno stacco temporale marcato tra la serie classica e The Next Generation, le due serie contemporanee alle avventure dell’equipaggio guidato da Picard (Deep Space Nine e Voyager) avevano esplorato diverse dinamiche e introdotto nuovi elementi narrativi, contribuendo a dare solidità all’universo della Federazione. Questa tradizionale impostazione narrativa venne scalfita, in un certo senso, dall’arrivo di Enterprise, attualmente disponibile su Paramount Plus, il cui primo episodio, Broken Bow, andò in onda in America il 26 settembre 2001.
- Dove nessuna serie trekkie è mai giunta prima
- L’altro lato di Star Trek
- Rivoluzionare la sigla
- La fine del viaggio
Dove nessuna serie trekkie è mai giunta prima
Sono diversi gli elementi di rottura tra Enterprise e le altre serie di Star Trek, un’identità particolare frutto soprattutto della scelta degli sceneggiatori, Rick Berman e Brannon Braga, di dare alla nuova serie una connotazione differente. Lo sviluppo di Enterprise era iniziato sulla scia della fine di Deep Space Nine e dopo la pianificazione della fine di Voyager, una situazione che aveva spinto il network UPN a mettere rapidamente in cantiere una nuova serie di Star Trek.
L’idea di Braga e Berman era di interrompere la consuetudine di raccontare l’evoluzione della Federazione, preferendo fare un salto indietro nel tempo ad un’epoca in cui non esisteva nemmeno la Federazione Unita dei Pianeti. Occasione perfetta offerta dall’uscita dell’ottavo capitolo cinematografico della saga, Primo Contatto, in cui veniva mostrato il primo incontro tra umani e vulcaniani in seguito al primo volo a curvatura dell’umanità compiuto da Zephram Cochrane a bordo della sua astronave sperimentale Phoenix, uno degli eventi storici principali di Star Trek.
Già nella serie classica si era accennato alla figura ‘storica’ di Zephram Cochrane, ma senza approfondire il suo ruolo o l’impatto che la sua invenzione ebbe sull’umanità, dando vita ad un’esplorazione dello spazio che avrebbe spinto gli esseri umani alla nascita di quella comunità galattica nota come Federazione Unita dei Pianeti. Un vuoto storico che spinse Braga e Berman a riportare i trekkie agli anni successivi al Primo Contatto, raccontando i primi passi dell’umanità nello spazio.
L’idea era quella di portare l’attenzione degli spettatori su aspetti meno noti, e meno positivi, dell’avventura spaziale umana. Nonostante inizialmente voci su internet sembravano caldeggiare una serie basata sull’Accademia della Flotta Stellare o sulle imprese del capitano Hikaru Sulu al comando della U.S.S. Excelsior (rivisto anche in un episodio di Voyager), queste due ipotesi non vennero mai seriamente prese in considerazione. La novità ricercata dagli sceneggiatori era nel raccontare le avventure dei primi umani ad avventurarsi nello spazio profondo.
Nello scegliere di creare un prequel, gli autori si avvicinavano anche ad un futuro tutt’altro che remoto, elemento che consentiva loro di interpretare queste nuove dimensioni dell’esplorazione in un’ottica contemporanea, in cui la mentalità umana era più vicina a quella legata alle conseguenze della Terza Guerra Mondiale che non all’apertura mentale tipica di ere più evolute di Star Trek. Una novità appassionante, ma che doveva trovare il supporto del network, che al contrario non vedeva di buon occhio questo ritorno al passato.
Timore comprensibile, considerato che all’interno della serie si sarebbe dovuto adeguare il gusto scenografico moderno con il concept visivo della serie classica, figlio della tecnologia degli anni ’60, soppiantato da un’evoluzione, reale e immaginata, all’interno delle altre serie di Star Trek. Il fandom come avrebbe reagito a questo differente impatto visivo? Domanda che metteva una certa agitazione, ma era anche vero che con la conclusione di Voyager si stava arrivando ad un momento dove, dopo quasi vent’anni di presenza assidua di serie ambientate nell’universo di Star Trek, non ci sarebbe stato un prodotto legato al franchise in produzione.
L’idea degli sceneggiatori era di creare una serie che conciliasse la serie classica con quando visto brevemente in Primo contatto. Una concezione ben precisa per Berman:
Vedremo l’umanità andare veramente dove nessun uomo è mai giunto prima. Conosceremo persone che non considerano incontrare un alieno parte del proprio lavoro, non è routine. Nulla sarà routine. Inoltre, facendo un salto indietro nel tempo di 200 anni rispetto a Voyager, renderemo i personaggi più vicini al presente, e nel farlo questi sembreranno più realistici, meno impeccabili e più familiari per noi
Forti di questa idea, Berman e Braga volevano impostare la narrazione della nuova serie focalizzandola maggiormente sui personaggi, utilizzandoli per valorizzare alcuni aspetti dell’ambientazione tramite storie che li vedessero diretti protagonisti. La volontà era quella di creare una serie ambientata nell’universo di Star Trek, ma che al contempo ne fosse quasi distaccata, sensazione ritenuta necessaria per raccontare quella che avrebbe potuto esser considerata una storia delle origini.
Scelta che portò ad una scelta radicale: eliminare il nome Star Trek dal titolo. Nonostante l’intenzione fosse quella di recuperare parte del fandom che si era allontanato alla fine di The Next Generation, gli autori volevano comunque evidenziare che si sarebbe affrontata la storia di Star Trek in un’ottica differente e rinunciare al nome della creazione di Roddenberry sembrò la scelta giusta.
L’altro lato di Star Trek
Lo stacco verso la tradizione trekkie era inizialmente ancora più marcato di quanto infine abbiamo visto nella serie. In una prima versione della sceneggiatura, la prima stagione si sarebbe dovuta ambientare interamente sulla Terra, facendoci assistere alla costruzione dell’Enterprise, il primo vascello umano capace di portare l’umanità ad esplorare lo spazio. A spingere gli esseri umani ad avventurarsi nella galassia sarebbe stato il primo contatto con un klingon, incontro che avrebbe portato a completare l’Enterprise in tutta fretta.
La proposta degli sceneggiatori venne considerata troppo lontana dalla tradizione di Star Trek, ma l’idea era promettente, al punto che venne condensata per diventare il primo episodio di Enterprise, Broken Bow. Sin da questi primi elementi, era evidente come le idee di Braga e Berman si stessero avvicinando ad un modo di nuovo di intendere Star Trek, una visione che si sarebbe tradotta anche nei contenuti della serie.
Se nella serie classica e in The Next Generation il sottofondo culturale della Federazione tendeva sempre a privilegiare una conceziona aperta e positiva dei rapporti con le altre specie della galassia, in Enterprise il dover costruire quella che sarebbe divenuto in seguito la Federazione Unita dei Pianeti è ancora lontana. In quest’ottica viene inserita anche una componente solitamente lontana dall’immaginario di Star Trek: la sfiducia nell’altro, nell’alieno.
Tematica apparentemente contrastante con l’etica trekkie, ma che in Enterprise viene inserita in modo intelligente, soprattutto considerato come l’umanità presente in questa serie sia lontana dalla morale evoluta dei tempi futuri di Kirk e Picard. In Enterprise ci troviamo a seguire i primi passi dell’umanità non solo nell’esplorazione spaziale, ma soprattutto nel relazionarsi con altre culture e razze. Ad essere teso è il rapporto con i Vulcaniani, conosciuti durante il Primo Contatto e solitamente visti come una delle razze più vicine all’umanità nelle altre serie di Star Trek.
In Enterprise, invece, i vulcaniani sembrano essere un impedimento per l’avventura umana, sono visti inizialmente come dei severi guardiani che paiono voler tenere sotto controllo l’irruenza e l’intraprendenza umane. Su questo contrasto emotivo vengono basate diverse storie, ma in particolare viene sviluppato il rapporto tra i membri dell’equipaggio della Nx-01 Enterprise.
Gli umani che si apprestano a lasciare la Terra in questa prima avventura spaziale sono, per scelta degli sceneggiatori, più vicini al nostro modo di pensare che non alle aperture mentali di una specie che ha avuto diversi decenni per confrontarsi con altre razze e trovare con loro un accordo. Una delle prerogative di Enterprise era quella di raccontare il salto evolutivo dell’umanità che dalle ceneri della Terza Guerra Mondiale diventa una protagonista dello scenario politico galattico, diventando una delle forze trainanti della Federazione Unita dei Pianeti.
Una rottura, quella con la visione di Roddenberry, che si trovò quindi anche nelle dinamiche delle storie. La tradizione di Star Trek era mirata ad una positività intrinseca dell’animo dei protagonisti, che mantenevano un atteggiamento comunque portatore di valori etici ‘alti’ anche in occasioni complesse, come la Guerra del Dominio, l’invasione Borg o i primi contatti con altre specie. In Enterprise, invece, i protagonisti risultano avere un atteggimaneto sospettoso e ostile, tendono ad esser più propensi al ricorso alla violenza rispetto agli equipaggi delle altre serie, tradendo, in un certo senso, lo spirito di amicizia e sincera esplorazione che accompagna le altre serie trekkie.
Per Braga e Berman era quindi necessario trovare una definizione caratteriale della serie e dei personaggi che fosse interprete di questa diversità rispetto al resto delle produzioni trekkie. Per ricreare la psicologia di uomini e donne costretti a convivere in ambienti contenuti e in situazioni ostili e imprevedibili, gli sceneggiatori si avvalsero della consulenza di ex-sommergibilisti della Marina Americana, che aiutarono anche dando un’idea sulla praticità di strumentazioni ed abbigliamento.
Rivoluzionare la sigla
A segnare una vera rottura con la tradizione trekkie, però, fu un altro elemento tipico delle serie di Star Trek: la sigla. Sin dalla prima serie, ad introdurre gli episodi era un tema musicale privo di parole, puramente strumentale, che era stato accompagnato per la serie classica e The Next Generation dal celebre messaggio introduttivo.
Al momento di realizzare Enterprise, venne deciso di ricorrere ad una nuova sigla, rivoluzionaria. Ad accompagnare le immagini che raccontavano l’evoluzione dell’esplorazione umana, dalla navigazione sino al volo della Phoenix, si decise di affiancare una canzone vera e propria. La scelta fu di non comporre un tema apposito, ma di utilizzare una cover di un brano di Rod Stewart, Faith of the hearth, inizialmente composto dal cantante inglese per la colonna sonora del film Patch Adams.
Il tenore inglese Russel Watson realizzò la cover, cambiandole titolo in Where my heart will take me, ma la reazione dei fan fu tutt’altro che positiva. Petizioni online, manifestazioni presso la sede della Paramount e una malcelata avversione alla sigla furono segnali di una rottura tra i fan e gli showrunner, che però non cedettero e mantennero la sigla sino alla conclusione della serie.
La fine del viaggio
Pur avendo sulla carta delle ottime potenzialità, Enterprise non ebbe il successo che ci si aspettava. Il distacco dallo spirito canonico di Star Trek si rivelò un boomerang, che non convinse i fan irriducibili della saga. L’assenza del nome Star Trek del titolo fu considerato un ‘tradimento’, al punto che quando gli ascolti insoddisfacenti rischiarono di far chiudere la serie già alla fine della seconda stagione, si decise di tentar il tutto per tutto introducendo, a partire dal terzo episodio della terza stagione, il nome della saga nel titolo, rendendolo Star Trek: Enterprise.
La volontà di creare un più forte legame con la continuity della saga, introducendo figure come i Borg o luoghi già noti ai fan (come Rura Penthe), non furono sufficienti a dare alla serie sufficiente carisma per recuperare la fiducia dei fan più irriducibili.
A nulla valse l’introduzione del nome del franchise, dato che con la quarta stagione la serie venne definitivamente chiusa. Con l’amarezza dei fan, visto che lentamente Star Trek: Enterprise si stava avvicinando ad una delle tappe fondamentali della cronologia di Star Trek: la nascita della Federazione. I bassi ascolti e una gestione delle sceneggiature che sembravano non motivare ulteriori sforzi da parte del network spinsero alla decisione di chiudere definitivamente la serie.
Un finale che venne così commentato da Braga:
Dopo 18 anni di continua presenza e quasi 750 episodi, l’attuale corsa di Star Trek è terminata. Che è una cosa positiva, aveva bisogno di una pausa
Con questa chiusura, non si assistette alla nascita della Federazione, che avrebbe dovuto rivestire il ruolo di evento culmine della quinta stagione, a cui si sarebbe collegato il primo grande conflitto spaziale dell’umanità, le Guerre Romulane, di cui si erano visti i presupposti in Enterprise e le cui conseguenze venivano citate nella serie classica (come nell’episodio La navicella invisibile). Era già stato preparato un nuovo modello di NX-01 Enterprise che mostrasse ulteriori elementi di similarità all’Enterprise di Kirk, come l’introduzione di una più ampia sezione ingegneria nella parte inferiore dello scafo.
Queste idee non rimasero del tutto incompiute, dato che vennero sviluppate in ambito letterario con la saga di Rise of the Federation, in cui vengono raccontate la nascita e le prime imprese della Federazione. Per poter tornare a vedere uno show televisivo ambientato nell’universo di Star Trek, si dovettero aspettare diversi anni, sino all’arrivo di Star Trek: Discovery.
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