Sembrava destinato ad essere il nuovo Stranger Things di casa Amazon Prime: con le sue ambientazioni retrò, i suoi protagonisti bambini o adolescenti e la sua vena fantascientifica tutta misteri tecnologici e bizzarri continuum temporali, Tales from the Loop (noto anche con il titolo di Loop) sulla carta poteva sembrare il tentativo di cavalcare le tendenze seriali del momento. Niente di più sbagliato, per una serie che conferma ancora una volta l'approccio ambiziosissimo che Amazon Prime Video mette nelle sue proposte, senza farsi dettare la linea dalla concorrenza. L'ambizione qui stupisce per come non punti mai a creare e consolidare un franchise, vendere gadget o creare una narrazione che intrattenga lo spettatore fino a trasformarlo in un fan.
Tales from the Loop è molto, molto più ambizioso di così e al suo creatore Nathaniel Halpern (noto per il suo lavoro su Legion) viene data sostanziale carta bianca. Non tanto e solo su come adattare la bellissima e malinconica utopia illustrata di Simon Stålenhag (edita in Italia da Oscar Ink nel 2017) senza badare troppo a spese, ma anche nel non curarsi di qualsivoglia norma non scritta regoli oggi il mercato delle serie nei servizi streaming a pagamento. In un mondo dell'intrattenimento che corre velocissimo, che costruisce i primi minuti degli episodi pilota affinché diano di tutto e di più per avvinghiare lo spettatore e tenerlo inchiodato alla poltrona, Tales from the Loop si concede l'enorme lusso di prendersi tutto l'episodio iniziale per annoiare lo spettatore.
I motivi sono sostanzialmente due: la serie procede con un ritmo tutto suo attraverso una lemniscata tematica e narrativa, che porta a compimento il pilota solo alla fine dell'ottavo e ultimo episodio della prima stagione. La prima puntata è insomma una mezza puntata di 50 minuti e più di durata, in cui vaghiamo per una cittadina statunitense senza nome coperta di neve insieme a Loretta, una bambina autosufficiente e intelligente che si ritrovai n una radura innevata laddove prima c'era la villetta di famiglia. La sua casa e sua madre sono svanite nel nulla.
Una splendida eccezione nel panorama seriale attuale
La scrittura di Tales from the Loop è così sublime che in realtà è possibile affrontarne i singoli episodi come racconti conclusivi, indipendenti e funzionali come la piccola Loretta. ma inseriti in una comunità narrativa che vede al centro una città intera più che singoli personaggi. I confini geografici e temporali di Tales from the Loop sono tanto ambigui da essere talvolta frustranti, sebbene l'anziano Russ ci spieghi da subito come vanno le cose nella sua cittadina. Nei sotterranei c'è un grande laboratorio sperimentale chiamato Loop per via della sua forma, dove si studiano gli straordinari poteri di un artefatto misterioso d'origine e funzione ignora. La cittadina sovrastante ne subisce le dirette e indirette conseguenze.
Immersa in una cornice che a cavallo tra anni '70 e '80, questa città senza nome vede le proprie foreste e i propri orizzonti punteggiati da bizzarri manufatti ed edifici che paiono tecnologicamente incongruenti con il suo presente. Non solo: molti degli stessi sono in grado di scatenare eventi biologici e fisici inspiegabili, fino a rendere il continuum temporale più fluido che mai.
Sotto il punto di vista fantascientifico, considerando la sua natura antologica, Tales from the Loop sembra l'erede più sincera di Ai confini della realtà. Senza mai scadere nella morale, molti degli 8 episodi che la compongono mettono di fronte al protagonista della puntata una possibilità tecnologica inattesa e portentosa. Il punto però non è mai la tecnologia fine a sé stessa né le sue possibilità sfruttate per solleticare il senso di meraviglia o per mettere in guardia chi guarda dai possibili rischi di utilizzare strumenti così totalizzanti. La critica statunitense in queste ore sta rimproverando alla serie sia il suo ritmo molto misurato sia lo scarso approfondimento dedicato a risolvere i misteri del Loop e del suo artefatto.
Non potrebbe esserci franintedimento peggiore. Trovo impressionante che sia la critica stessa a suggerire, più o meno velatamente, di ricorrere ad artifici narrativi come il "mistero misterioso" o il facile gioco del rilancio, del colpo di scena a fine puntata. Nathaniel Halpern ha tutte le possibilità di sfruttare questi mezzi, divenuti talvolta mezzucci calibrati sulla base dei dati che le nostre stesse visioni forniscono ai giganti dello streaming. In che minuto secondo dell'episodio molliamo la visione e spegniamo la TV? Quale scelta narrativa ci potrebbe tenere sulla piattaforma una mezz'oretta in più? La serialità di oggi è costruita sulla base di queste domande. Tales from the Loop no.
Amazon non ha bisogno di lezioni
Il titolo Amazon è molto più ambizioso di così e tutto sommato molto più acuto, in grado di spazzare via quella facile dicotomia in cui le tecnologie futuribili sono usate come effetto speciale o come contorno distopico. Chi rimprovera alla serie di essere prevedibile dimentica che il punto della stessa è in qualche modo raccontare la nostra convivenza con tutto ciò che non capiamo della scienza, con l'assurdo della fisica e con una tecnologia che corre così veloce che sembra futuristica e datata alla stesso tempo. Tales from the Loop è prevedibile perché racconta una storia che conosciamo tutti, intimamente: non quella dei topoi fantascientifici dei viaggi del tempo o dei robot, bensì quella dell'umanità.
Tales from the Loop è una serie profondamente umanista, ancor prima che fantascientifica. Al suo centro c'è infatti tutto ciò che caratterizza la vita e che la rendere il nostro ultimo e unico comune denominatore. La giovinezza, la paura del cambiamento, i primi lutti che si vivono da ragazzini, la paternità e la maternità più o meno mal gestite, il distacco dalla propria famiglia, l'ingresso nella vita adulta, l'amore, la solitudine, l'ineluttabilità della propria morte. La serie affronta queste tematiche con racconti in cui la tecnologia funge da innesco o catalizzatore di profonde paure umane. Il vero mistero che si propone d'indagare non è quello dell'artefatto misterioso, ma quello della vita. Suona ambizioso e serio ed in effetti è proprio questo che impressiona di Tales from the Loop. È una serie senza fronzoli, pacata nei toni, nei colori, nei costumi e nei set, la cui forza narrativa riverbera grazie a una produzione e un team creativo eccezionali.
Amazon Prime non ha bisogno di lezioni davvero da nessuno in questo senso: la cura con cui è girata questa serie, il cast strepitoso di attori che impiega (Rebecca Hall, Jonathan Pryce e un gruppo di giovanissimi uno più bravo dell'altro) e soprattutto il team di registi che ingaggia hanno pochissimi paragoni nello scenario seriale attuale. Tales from the Loop se la gioca con un prodotto complesso come Westworld per cura del dettaglio, del design, della materia cinematografica di cui è fatta. Ogni episodio è di fatto un film a sé, diretto ogni volta da un regista differente.
Tra i nomi più celebri non si può che citare Jodie Foster, a cui viene affidato l'episodio finale e risolutore, e Andrew Stanton, che orchestra l'episodio più intenso e memorabile dell'intera serie, il quarto. Echo Sphere è un assoluto gioiello incentrato sul tema più difficile di tutti: la morte e la sua inevitabilità. Trascinato da un Jonathan Pryce intensissimo, viene subito dopo il malinconico Stasis, la puntata che riassume nei suoi 50 minuti e qualcosa un breve istante in cui scocca la scintilla e insieme un'intera storia d'amore lunga una vita.
Il vero mistero siamo noi
L'intensità emotiva di questi episodi, condotti sempre in maniera riflessiva e analitica, rende difficile accorgersi dello splendido ordito che Tales from the Loop intesse a livello generale. Episodio dopo episodio scorrono le stagioni, gli anni, la vita e la morte, eppure ci troviamo sempre più o meno nello stesso punto: quello in cui qualcosa di piccolo cambia, innescando un cambiamento continuo e perpetuo. Come sottolineato a fine della prima stagione è proprio di ciò che è naturale cambiare perennemente. Tales from the Loop ha la rara capacità di cogliere quel "battito di ciglia" che ci sembra trascorso tra un momento rilevante della nostra vita e l'altro, imprimendo lo scorrere del tempo su pellicola. Dietro ci sono temi enormi che innervano la serie e sembrano derivare dal mito greco stesso: le relazioni tra madri e padri con la prole naturale, la creazione artistica e tecnologica del genio, il ricorrere continuo della morte (mai spesa per stupire o scioccare lo spettatore), i peccati di hubris e la loro espiazione.
Tales from the Loop è un unicum, un prodotto davvero eccezionale nella serialità televisiva di oggi. Gli si può certo rimproverare un ritmo lento (o forse un respiro ampio, profondo, quasi meditativo?) e soprattutto l'incapacità di far capire chiaramente allo spettatore quali siano i suoi obiettivi. È del tutto comprensibile che venga accusato di lentezza, prevedibilità e che in tanti lo abbandonino dopo qualche episodio (o minuto). In un mondo in cui per rifuggire le brutture dell'esistenza o il confronto con noi stessi ci rifugiamo nell'intrattenimento seriale, Tales from the Loop è uno specchio in cui forse non abbiamo il coraggio di rifletterci.
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Il mio consiglio per chi lo affronterà è di goderselo poco a poco, lasciando che le sue malinconiche vedute e le sue storie misteriose di tecnologia e umanità vi entrino sottopelle, senza cercare a tutti i costi una risposta. Potrebbe arrivare col tempo, in un battito di ciglia, quando la vita vi metterà di fronte a uno di quei momenti di cui Tales from the Loop traccia delicate trasfigurazioni fantascientifiche. Sospeso tra The Tree of Life, L'Antologia di Spoon River, Piccola città e Ai confini della realtà, è di certo uno dei progetti più ambiziosi e carismatici che vedremo nel 2020.
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