Ci vuole un impero mediatico e culturale come quello di Disney e associate - ormai sempre più cardine della cultura pop statunitense contemporanea - per arrivare alla decisione di disturbare la trilogia cinematografica più riuscita degli ultimi vent'anni e più al cinema: quella di Toy Story. Realizzare un quarto, nuovo capitolo delle avventure di Woody e Buzz significa tornare sulla scena di un delitto perfetto, capace film dopo film di evolversi continuamente, di non guardarsi troppo indietro e di crescere fino a dire importanti, inevitabili, potentissimi addii.
Non è nemmeno una questione di possibilità narrative, di valutazione della storia che si ha per le mani, soppesando se possa essere all'altezza della sfida. L'approccio del team d'eccellenza di Pixar è quello di chi non ha riverenza verso il recente passato perché è convinto di poter fare altrettanto bene nel presente, di poter girare un nuovo classico, commovente e divertente. L'idea geniale alla base di Toy Story - quella dei giocattoli senzienti con una vita segreta alle spalle dei loro bambini, che affrontano come un vero e proprio lavoro il loro ruolo di intrattenitori - è di quelle declinabili in infinite varianti, senza mai perdere di freschezza.
In Toy Story 4 diventa chiaro che chiudere la storia di Andy - storico bambino possessore di Woody - non era abbastanza. Sarebbe significato chiudere il mondo dei giocattoli in una decade, nel modo di vedere il mondo e il cinema di una generazione. Una realtà che non a caso ha raggiunto la sua naturale conclusione quando quel mondo racchiuso nell'infanzia di Andy ha smesso di esistere, dentro e fuori lo schermo.
Più di un semplice addio
Il rilancio di Toy Story 4 mozza il fiato perché punta ambiziosamente a rivedere le basi stesse di questa storia, molto più profondamente di un semplice cambio di bambino. I giocattoli di Andy sono passati alla piccola Bonnie, sì, ma a influenzare il film è soprattutto il cambiamento culturale e sociale che è avvenuto fuori e dentro i cinema. Il Woody che ritroviamo in Toy Story 4 è quasi un Don Chisciotte, un eroe romantico dall'etica assoluta, impossibilmente datata. La sua lealtà verso Bonnie e il suo tentativo di salvare Forky nascondono una crisi interiore di chi si ritrova in una realtà diversa da quella conosciuta, cambiata, in cui fatica a trovare posto. Toy Story 4 parla più che mai agli ex Andy, anzi, è un film che ha nel mirino soprattutto il pubblico degli accompagnatori dei piccoli in sala.
Woody e il suo sentimento di non appartenenza traghettano lo spettatore in una visione nuova del mondo dei giocattoli, figlia di tantissimi cambiamenti avvenuti nella nostra società. A venir meno nella costruzione filosofica del suo mondo sembra essere proprio il concetto capitalista del possesso e dell'esclusività, in favore di una visione egalitaria, di condivisione e comunanza, con Forky che è perfetta sintesi sia della neonata voglia di sostenibilità sia delle nostre perenni nevrosi.
Il vero simbolo di questa nuova era è però Boe Peep, tornata nelle vesti di un samurai ronin senza padrone e orgogliosa di un'indipendenza maturata in anni di solitudine su uno scaffale. Non sono mancate nell'ultimo anno eroine Disney e Marvel vogliose di riparare a un po' di torti del passato, ma Boe Peep è tra le poche a non sembrare goffa ed eccessiva nell'essere insistita e costruita come donna forte.
Con grande rispetto
Oltre a una pattuglia di nuovi personaggi e a una serie di gag cinematografiche particolarmente riuscite, Toy Story torna a brillare anche grazie al suo cattivo, Gaby Gaby. Nel suo omaggio a Viale del tramonto, la bambola d'epoca fa da contraltare a Woody e, per contrasto, ne evidenzia la nobilità innata, disinteressata e forse irreplicabile, senza per questo essere una cattiva inutilmente, immotivatamente malvagia. Toy Story è un film realizzato con raro rispetto, che mai farebbe lo sgarbo a un giocattolo - buono o cattivo che sia - di avere trama e motivazioni più che solide.
Forse non è un caso che Toy Story 4 approdi nei cinema appena qualche settimana dopo ad Avengers: Endgame. Anche qui c'è aria di commiato e cambiamento, anche se la plastica e l'animazione rendono potenzialmente immortale ogni personaggio. La vera forza di questo franchise è invece l'estremo rispetto, il profondo affetto e la lealtà che Pixar dimostra verso il suo primo capolavoro, non osando mai piegarlo a logiche di mercato, di sequel o a idee meno che potenti e importanti.
Toy Story 4 quindi supera brillantemente la prova, perché riesce a staccarsi dalla trilogia originale, rompendo l'incantesimo di un mondo dei giocattoli sospeso in un momento storico preciso. Stavolta Disney pone il suo Woody e il suo pubblico di fronte alla necessità di cambiamento, di passaggio del testimone, d'evoluzione. In questo Woody c'è un po' di Tony Stark, un po' della vecchia generazione che lascia il passo alla nuova e un po' di quella società che, per quanto spaventata dal cambiamento, finisce per fare la scelta giusta.
L'invito, neanche troppo velato, è quello di cambiare e, se proprio bisogna attaccarsi tenacemente a qualcosa del passato, fare in modo che quel qualcosa sia una profonda, disinteressata lealtà verso ciò che è più importante.
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Voto di Cpop
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