Trainspotting: il significato del titolo e del film tratti dal libro di Irvine Welsh

Ribellarsi o conformarsi? È il dilemma di Mark Renton e dei suoi amici in Trainspotting, manifesto generazionale di Danny Boyle del 1996. Ecco il significato del film e del suo sequel.

Autore: Alice Grisa ,

Manifesto generazionale, spartiacque del cinema indipendente e grande cult anni ’90, #Trainspotting è uno dei film più memorabili della generazione pre-Millennial. Diretto da Danny Boyle, ha segnato l’ascesa dell’astro di Ewan McGregor.

Ambientato in Scozia, racconta di un ragazzo che, insieme ai suoi amici, ha scelto di drogarsi piuttosto che conformarsi alla mediocrità di una vita qualunque. Oscillando tra tunnel e disintossicazioni, velleità e tentativi di riscatto, il protagonista si troverà davanti a una netta chance di svolta.

Ewan McGregor interpreta Mark Renton e al suo fianco troviamo Robert Carlyle, Ewen Bremner, Kelly MacDonald, Jonny Lee Miller.

La crew di Mark è composta dagli amici Sick Boy, ossigenato e ossessionato da Sean Connery, Spud, innocuo e ingenuo, da Tommy e dal delinquiente alcolizzato Begbie.

Il cast ha partecipato anche al sequel ambientato 20 anni dopo, #T2: Trainspotting.

Perché Trainspotting è un cult?

Gli aspetti che rendono Trainspotting un cult generazionale sono diversi, come la colonna sonora potente, memorabile, che mixa e remixa vecchi successi unendoli ai sound europei più contemporanei, mescolando l’impatto lirico di Lou Reed e della sua Perfect Day con il tormentone techneggiante Born Slippy, con il ritmo di Iggy Pop, con i Blur, con la hit Think About The Way che segue Renton a Londra. È la soundtrack di un decennio che anni dopo viene considerato “mitologico” anche per essere stato l’ultimo prima della rivoluzione digitale, quello dei “digital immigrate”.

Non si può neanche tralasciare la fotografia desaturata, fredda, con qualche guizzo pop, nonché lo stile fashion-grunge, i look sporty-athleisure dei protagonisti che, 20 anni dopo, sono diventati un must tra gli influencer anni ‘10. La corsa di Mark si traduce in paio di Adidas che sfrecciano verso la catarsi.

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Mark Renton in Trainspotting
Converse, skinny e look sporty

Tra i temi emerge soprattutto la parabola della ribellione giovanile che si trasforma (inevitabilmente?) in tutto ciò che detesta(va), ma anche la concettualizzazione delle droghe (delle droghe in evoluzione, che cambiano come la girandola delle mode e dei trend), di una generazione egoista e cinica, abbandonata all’immobilità e a crogiolarsi nelle proprie debolezze. Non è un paese per vecchi, dicevano i Coen.

Il plus valore di Trainspotting, però, sembra essere un altro: la capacità di scrivere un dramma (un dramma nero, un abisso senza speranza, in cui muore addirittura una neonata) condendolo con una venatura agrodolce di humor, inserendo con disinvoltura il grottesco, la commedia nera, la storia di riscatto scorretto. Nessuno, prima di Danny Boyle (e di Irvine Welsh, dal cui libro omonimo è stato tratto il film), aveva mai parlato in questo modo della spirale della droga.

Trainspotting è un’Arancia Meccanica 2.0, che sostituisce le immagini soavi e mostruose di Kubrick con gli antieroi e i loro oggetti della vita quotidiana moderna.

Universal Pictures
Il DVD di Trainspotting
Trainspotting in DVD

Il significato di Trainspotting

Il primo monologo di Renton

Il significato del primo Trainspotting, del 1996, è rinchiuso nel chiasmo del monologo di Mark Renton, che incornicia il film con una dichiarazione (poi ribaltata) sullo stile di vita. La prospettiva del consumismo e della divisione in classi sociali, criticata anche in Fight Club e che affonda le radici nel lontano (ma sempre attuale) marxismo, è condannata come un emblema del fallimento. Renton è un ventenne scozzese, vive tra prati verdi e minuscole montagne bianche, è individualista, sregolato, perduto, folle, cinico, ma – proprio perché non crede in niente, neanche nel proprio nichilismo – altrettanto pronto a saltare dall’altra parte della barricata (e ribaltare la propria vision) se le condizioni sono favorevoli.

Scegliete la vita; scegliete un lavoro; scegliete una carriera; scegliete la famiglia; scegliete un maxitelevisore del cazzo; scegliete lavatrici, macchine, lettori CD e apriscatole elettrici. Scegliete la buona salute, il colesterolo basso e la polizza vita; scegliete un mutuo a interessi fissi; scegliete una prima casa; scegliete gli amici; scegliete una moda casual e le valigie in tinta; scegliete un salotto di tre pezzi a rate e ricopritelo con una stoffa del cazzo; scegliete il fai da te e chiedetevi chi cacchio siete la domenica mattina; scegliete di sedervi sul divano a spappolarvi il cervello e lo spirito con i quiz mentre vi ingozzate di schifezze da mangiare. Alla fine scegliete di marcire, di tirare le cuoia in uno squallido ospizio ridotti a motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi; scegliete un futuro; scegliete la vita. Ma perché dovrei fare una cosa così? Io ho scelto di non scegliere la vita: ho scelto qualcos'altro. Le ragioni? Non ci sono ragioni. Chi ha bisogno di ragioni quando ha l'eroina?

 

Lo diceva anche il rapper italiano Frankie hi-nrg mc, più o meno negli stessi anni (“Come le supposte abitano in blisters full-optional/ Con cani oltre i 120 decibel e nani manco fosse Disneyland/Vivono col timore di poter sembrare poveri/Quel che hanno ostentano, tutto il resto invidiano, poi lo comprano/In costante escalation col vicino costruiscono/ Parton dal pratino e vanno fino in cielo/ han più parabole sul tetto che S.Marco nel Vangelo”).

Non ha senso vivere una vita mediocre, pensare alla carriera, consumare e consumarsi giorno dopo giorno. Meglio stare ai margini, meglio il sogno di un trip al sapore di estasi, meglio l’eroina, meglio qualunque altra cosa che non sia la vita.

Ma non è così: quella dell'eroina è solo la "favola dark" raccontata da qualcuno che respinge un mondo di cui (forse da sempre, forse consciamente) vorrebbe fare parte.

Il monologo finale di Renton

Il nulla imperante in cui si lasciava fluttuare Mark è pronto a invertirsi di segno, quando si presenta un’occasione che potrebbe rovesciare le prospettive di tutti.

Uno stile di vita passivo e inetto, che aggrediva i simboli medioborghesi come l’apriscatole elettrico o l’antenna parabolica, da bersaglio diventa obiettivo quando, dopo una serie di fallimenti, disintossicazioni fallite e amici morti per colpa della droga, il gruppo di Mark ha l’occasione di svoltare rivendendo una partita di eroina e guadagnando un malloppo da dividere.

È in quel momento, dopo i tentativi falliti di disintossicarsi, le orrende allucinazioni nei momenti di astinenza, la morte di Tommy, la consapevolezza delle proprie non-convinzioni, Rent sceglie la vita.

Di notte, senza dire niente a nessuno, il protagonista ruba tutti i soldi (16mila sterline) e tradisce gli amici di sempre, per partire, fuggire, ricominciare altrove, comprarsi il maxitelevisore e l’apriscatole elettrico.

È un prezzo da pagare necessario? Danny Boyle non risponde alla domanda, ma la contestualizza: per Renton, sì.

Allora perché l’ho fatto? Potrei dare un milione di risposte tutte false. La verità è che sono cattivo, ma questo cambierà, io cambierò, è l’ultima volta che faccio cose come questa, metto la testa a posto, vado avanti, rigo dritto, scelgo la vita. Già adesso non vedo l’ora, diventerò esattamente come voi: il lavoro, la famiglia, il maxitelevisore del cazzo, la lavatrice, la macchina, il cd e l’apriscatole elettrico, buona salute, colesterolo basso, polizza vita, mutuo, prima casa, moda casual, valigie, salotto di tre pezzi, fai da te, telequiz, schifezze nella pancia, figli, a spasso nel parco, orario d’ufficio, bravo a golf, l’auto lavata, tanti maglioni, natale in famiglia, pensione privata, esenzione fiscale, tirando avanti lontano dai guai, in attesa del giorno in cui morirai.

La speranza di una (non)vita abbandonata ai miraggi dell’eroina s’infrange come una chimera contro gli elettrodomestici e le prospettive di una carriera. Renton capisce che deve cambiare vita, come l’eroe del viaggio di Vogler, deve scendere all’inferno, fare il sacrificio e imboccare la strada giusta.

Tutt’altro che puro – proprio come la droga che consuma – Renton sceglie la vita, ruba tutti i soldi e scappa, in un’immagine che è stata consacrata alla storia del cinema.

Non c’è nessuna via di scampo, per nessuno: la vita che tanto disprezzava è sempre stata lì, luccicante, pronta ad accoglierlo in quello che qualcuno chiama sistema, ma che comunque non lascia alternative.

Non esistono più ideali e neppure l’eroina, il fascinoso nulla, si rivela un’illusione. È il mondo del consumo a vincere, con la sua inesauribile capacità di sedurre la working class che reagisce inseguendolo o respingendolo.

T2 – Trainspotting: il significato del secondo film

TriStar Pictures
Mark Renton in T2
Il ritorno di Renton

Se Trainspotting parlava di dipendenze (dipendenze fisiche ma anche concettuali), il sequel scocca una freccia contro l’addiction peggiore, la più dolorosa: quella per il passato.

Impossibilitato a lanciare i protagonisti, ormai ultraquarantenni, in qualcosa di (finto)rivoluzionario e inedito, Danny Boyle sceglie la strada più sofferta, riproponendoli riscattati o non, ma in ogni caso sempre in balia del comune denominatore che lega tutti, il guardarsi indietro e cercare la giovinezza nelle canzoni, nei ricordi, nei vestiti, persino nei tradimenti di vent’anni prima. 

T2 è un "metaTrainspotting", autoreferenziale in modo ossessivo, concentrato su se stesso, impegnato a guardarsi indietro in modo febbrile, cercando sia i vestiti che le musiche.

Il ritorno a casa di Renton, tutt’altro che un Ulisse pronto a tutti i pericoli del rientro, tocca le corde della nostalgia per un’epoca che rimpiangeva già a sua volta il passato (con un Sick Boy che sognava Sean Connery) senza avere la minima idea che, un giorno, sarebbe stata rimpianta.

Renton ha scelto la vita, è dipendente dalle endorfine, pratica continui allenamenti cardio (e sessioni sessuali) per sentirsi felice e stimolare la propria ghiandola pituitaria.

Ma, dopo vent'anni, è il momento di ritrovare i suoi vecchi amici, innocenti artefici della sua realizzazione.

La resa dei conti lo attende.

Il significato del titolo Trainspotting

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I ragazzi guardano i treni in Trainspotting
Trainspotting: guardare i treni che passano

Qual è il senso del titolo Trainspotting?

Trainspotting letteralmente è l'attività di fermarsi a guardare i treni che passano.

Vediamo la crew di Renton farlo, nel primo e nel secondo capitolo, sperduti in mezzo al piano dell'orizzonte, i prati scozzesi che si estendono intorno ai binari. I ragazzi guardano i treni passare perché non hanno nient'altro da fare, non hanno un lavoro che li chiama, un capitale da incrementare.

Traslando l'attività a un piano simbolico, Trainspotting rappresenta l'eterno conflitto tra stasi e immobilismo, tra ribellione e conformismo, tra guardare la vita (fatti di eroina) o viverla, approfittando della pensione, dei nuovi elettrodomestici, degli scatti di carriera.

Qual è la soluzione migliore? Forse neanche Mark Renton, dopo vent'anni, lo ha capito.

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