WestWorld 3: come adattare la linea narrativa senza perdere in qualità

La terza stagione di WestWorld in prima assoluta su SkyAtlantic ci sta regalando una nuova, straordinaria linea narrativa e ci sta dimostrando cosa significa evolversi: ecco come reinventarsi senza mai perdere in qualità.

Autore: Chiara Poli ,

WestWorld, WarWorld e chissà quanti altri… Worlds.

Nella terza stagione della serie di Jonathan Nolan e Lisa Joy in onda su SkyAtlantic ogni lunedì alle 21.15 (stasera l'episodio 6) in lingua originale sottotitolata in italiano, tutto è cambiato.

I mondi fittizi in cui gli uomini sfogavano i loro peggiori istinti hanno lasciato a un mondo reale… Che non è molto diverso dai parchi.

Solo più ipocriti, più puliti, apparentemente più “limitati” da una cosa chiamata legge, che in realtà regola solo le vite dei meno abbienti.

Nel mondo futuristico in cui sono gli esseri umani a dominare, l’arrivo di Dolores (Rachel Evan Wood) è un evento che non ci fa temere per il destino dell’umanità: siamo con lei, con l’intelligenza artificiale creata dalla nostra specie per essere torturata e uccisa. Ancora. E ancora. E ancora…

Il finale della seconda stagione aveva cancellato quell’universo di finzione e violenza che avevamo imparato a conoscere, lasciando spazio a un non semplice cambiamento narrativo.

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I primi tre episodi di questa nuova stagione, apparentemente slegati fra loro, sono serviti a gettare le basi di quel capolavoro che con il quarto episodio tira le fila del grande piano narrativo: la lotta solitaria di Dolores per distruggere il mondo. Il nostro mondo… Mentre noi, vedendola, non possiamo far altro che tifare per lei.

La guerra di Dolores non si combatte fra un’intelligenza artificiale e l’umanità. Lei ha trovato la sua Dolores umana: Caleb Nichols (Aaron Paul).

La persona che, come lei, vuole uscire dal sistema. Un sistema che non predice il futuro: lo sceglie per tutti.

Ogni singolo individuo è controllato da Rehoboam. Liam Dempsey (John Gallagher Jr.) gioca a fare Dio.

Proprio come Robert Ford (Anthony Hopkins) aveva fatto con WestWorld, e la Delos con tutto il resto.

Edit people

L’unica cosa che il potere e la ricchezza temono è la verità. E la verità genera il caos. 

Così, arriva quell’espressione spaventosa usata di Engerraund Serac:

edit people

Riprogrammare le persone. Aggiustarle, dal suo punto di vista. 

Mentre l’avido Dempsey senior, quello che pensa solo al profitto, finisce per porsi quegli scrupoli morali che l’inventore di Rehoboam non ha mai avuto.

Adattati o muori

Serac parla di adattamento, di miglioramento, di editing.

Adattati o muori, lo stesso motto di #The Walking Dead e di molte altre serie che si ricollegano al genere catastrofico, si trova anche alla base di questa terza stagione di WestWorld, che ha dovuto evolversi dopo averci raccontato per i primi due anni una storia completamente diversa.

Prima erano le persone artificiali, i residenti, a interrogarsi sulla propria natura e sul proprio destino.

Ora, grazie alla presa di coscienza di Dolores, a fare la stessa cosa sono gli esseri umani.

In un momento storico particolare, WestWorld si chiede e ci chiede se il libero arbitrio sia la scelta migliore.

Le persone sono imperfette, instabili, inaffidabili: vale la pena di lasciarle libere?

Questa terza, straordinaria stagione giunta poco oltre la metà mentre scrivo, ruota attorno a questa domanda.

Un dubbio morale affiancato da continue incursioni nella fantascienza classica, che da sempre ci ricorda come, in realtà, dietro i rischi tecnologici ci siamo sempre noi. Con le nostre imperfezioni, la nostra instabilità, la nostra inaffidabilità.

WestWorld è Matrix.

WestWorld è Inception.

WestWorld è Blade Runner.

WestWorld è il punto d’arrivo di tutto ciò che romanzi, film e serie fantascientifiche ci ripetono: l’unico vero pericolo per l’uomo è l’uomo.

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