Assassinio sul Nilo, la recensione: il Poirot di Branagh diventa più cupo, moderno e personale

Con un caso ricco di colpi di scena (anche per chi ricorda bene l'originale di Agatha Christie) e un Poirot che si mette a nudo, Kenneth Branagh è pronto a stupire il pubblico, svecchiando uno dei classici del giallo all'inglese.

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Autore: Elisa Giudici ,

I più sorpresi dal nuovo Assassinio sul Nilo saranno probabilmente quanti ricordano bene il film del 1978 con Angela Lansbury o gli appassionati lettori del romanzo di Agatha Christie del 1937. Quanti insomma entreranno in sala convinti di sapere con precisione cosa succederà su grande schermo: invece le sorprese non mancheranno, con varie modifiche sostanziali e un colpo di scena che sembra scritto apposta per loro. 

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Già dal suo primo adattamento di Poirot Assassinio sull'Orient Express Kenneth Branagh aveva messo in chiaro che non era interessato a portare su schermo un adattamento filologico alla fonte principale. Anzi, con un guizzo di vanità non estraneo al piccolo detective belga, ne aveva deformato fisicità e fattezze assumendo in prima persona il ruolo. Alto, proporzionato e dal fascino innegabile, il regista e attore inglese ha creato un nuovo Poirot, che sin dal primo film scoprivamo avere un dramma d'amore passato e una presenza magnetica ben differente dalla sua fonte letteraria. 

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Assassinio sul Nilo è pronto a stupire (e probabilmente scontentare) i fan del detective. Il film infatti si concentra a sorpresa sul passato e sulla psiche del protagonista più che sugli omicidi che cominciano a tingere il Nilo di rosso sangue. Branagh ci consegna il ritratto di un uomo lontano dalla capricciosa e vanesia serenità del passato, più vicino alle inquietudini degli ultimi romanzi della Christie. Poirot qui è un uomo segnato in molti modi dall'aver preso parte alla guerra (con un'apertura di film che ricorda molto 1917 di Sam Mendes), che fa i conti con un'ossessiva ricerca di pulizia e precisione, che si chiude a riccio e respinge i sentimenti per mantenere attive e vigili le sue "celluline grigie". Scopriremo inoltre qualcosa in più su Christine, la donna ritratta nella fotografia che Poirot porta sempre con sé e del rimpianto che il detective belga prova nei suoi confronti. 

Assassinio sul Nilo, la trama e le novità del nuovo adattamento 

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Seguiamo il drammatico viaggio sul Nilo dei due novelli sposi Linnet Ridgeway (Gal Gadot) e Simon Doyle (un abbronzatissimo Armie Hammer, probabilmente al suo ultimo ruolo dopo essere stato travolto da uno scandalo sessuale). Lei ereditiera dalla fortuna finanziaria sconfinata incontra lui, squattrinato e affascinante fidanzato dell'amica Jacqueline de Bellefort (Emma Mackley di Sex Education). La passione scoppia tra i due e sole sei settimane dopo Linnet e Simon convolano a nozze. Jacqueline però è ossessionata dal tradimento di Linnet e Simon e segue la coppia ovunque. La sua presenza aumenta l'angoscia di Linnet, che sa come il suo patrimonio le renda difficile capire chi siano i suoi veri amici. 

Poirot si ritroverà a bordo della nave Karnak, invitato al matrimonio e al viaggio di nozze dall'amico Bouc (Tom Bateman): quando i cadaveri cominceranno ad apparire e i diamanti a sparire, dovrà svelare i tanti segreti che gli invitati al matrimonio presenti nascondono, cercando un assassino senza scrupoli. 

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Il caso quindi è il medesimo, ma come già avvenuto a bordo dell'Orient Express, Branagh introduce tematiche strettamente legate all'attualità. Due esempi: il personaggio di Salome Otterbourne (originariamente interpretato da Angela Lasbury, qui da Sophie Okonedo) perde la sua connotazione ridicola e diventa una cantante nera di blues che sa come difendersi, accompagnata dalla figlia Rosalie (Letitia Wright), l'unica amica fidata di Linnet. Entrambe sono donne in gamba e intelligenti, che hanno dovuto fare i conti nella propria vita con il razzismo. 

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Altri personaggi portano la tematica dell'omosessualità nel film, che qua e là assume una posizione più guardinga rispetto alla società tutta sprechi e lussi in cui vivono la gran parte dei ricchi protagonisti. Il focus centrale del film è però l'amore: sincero, malato, mortale, focus da cui Poirot è tutt'altro che esente. Il film mette in bocca ai suoi protagonisti litanie ossessive su quanto e come amino chi, perdendo un po' in naturalezza. 

Una produzione scintillante, un avvio noioso

Non che poi ci sia molto di spontaneo e realistico in questo film: dai paesaggi egiziani creati in CGI alle inquadrature così insistite nel dare dinamismo da risultare talvolta pretenziose, quello di Branagh è uno sforzo studiatissimo, che di genuino ha ben poco. A farla da padrone è lo sfarzo dei set (la nave Karnak, l'hotel Cataroach) e dei costumi sensuali, scintillanti e lussuosi realizzati da Paco Delgado. D'altronde questo genere di murder mystery è noto per la confezione lussuosa con cui viene presentato al pubblico: tutto è sfavillante, dai set al cast ricolmo di bellissime star hollywoodiane. 

In questo caso si è puntato più sull'avvenenza che sulla recitazione: l'ensemble è davvero glamour, ma la prova attoriale generale è spesso artefatta e insistita (penso a Gal Gadot ma anche a Emma Mackley che si sforza moltissimo di mantenere un cipiglio arrabbiato). Nemmeno lo stesso Branagh brilla, pur riservando per sé e per il suo detective molte scene importanti. È interessante notare come il regista, che in Belfast (in uscita tra qualche settimana) tira fuori magistrali performance anche ai membri più insospettabili del suo cast, qui fatichi a mantenere il ritmo per tutto il primo tempo del film, trovando la marcia giusta solo nella seconda parte.

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Va riconosciuto che in 127 minuti Branagh dipana una trama ricca di personaggi e molto complessa, laddove ormai il minutaggio veleggia intorno alle due ore e venti per film del genere. L'impressione però è che sia un progetto che Branagh assolve come un impegno lavorativo più che con autentica passione, massimizzando la sua presenza e il tornaconto economico.

Ancora una volta poi ritroviamo un uso invasivo ed esecrabile dei product placement. Il diamante giallo esibito da Gal Gadot è tra le poche cose autentiche viste nel film, ma così come il cioccolato Godiva nel primo capitolo, arriva con l'etichetta di Tiffany addosso. L'impressione è che spesso il film indugi come uno spot sui gioielli indossati dalle protagoniste, più che sulla trama.

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Rispetto alla debacle del primo film - che comunque al botteghino italiano andò benissimo - qui l'operazione condotta a Branagh si dimostra più coraggiosa, più incisiva. È destinata a non piacere a tutti (e in primis a irritare i puristi) ma la volontà di girare in pellicola 70 millimetri, la decisione di abbandonare il tono allegro dell'originale per immergersi in un'atmosfera post bellica e plumbea, testimoniano che, pur essendo un compito, Branagh lo assolve prendendosi qualche rischio e regalando un buono spettacolo al suo pubblico. Può bastare. 

Commento

Voto di Cpop

65
Branagh va sul personale con Poirot, riscrivendo il detective di Agatha Christie (e il caso del film) con un'occhio alla sensibilità moderna e con sostanziali modifiche. Più convincente del primo.

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