Jojo Rabbit è un buon film: diverte, commuove, sorprende con una regia sopra le righe e la capacità di trovare umanità in uno degli ultimi posti dove varrebbe la pena di cercarla: la Germania nazista della Seconda guerra mondiale. Risulta inoltre trasversale rispetto al pubblico delle sale, parlando un linguaggio immediato per il pubblico dei giovanissimi e riservando certe sfumature cinefile e umane agli adulti, senza mai escludere nessuno.
Insomma, sulla carta Jojo Rabbit è un film riuscito, nonostante il rischio iniziale di inserire un ritratto di Hitler in un contesto comico, trasformandolo nell’amico immaginario del protagonista. La realtà però è più complessa e sfaccettata di quello che appare e di come viene racconta nel film di Taika Waititi, che sotto altri aspetti risulta irrimediabilmente irrisolto, poco incisivo, in alcuni passaggi un po' pavido. Sorprendente, dato che quando si tira in ballo il Führer è difficile dare risposte accennate.
Taika Waititi non graffia
Se ci fosse un altro nome dietro la cinepresa forse la valutazione sarebbe differente. Se non ci fosse Taika Waititi a scrivere e dirigere Jojo Rabbit un film di questo tipo nemmeno esisterebbe, almeno non nel novero del cinema commerciale e d’intrattenimento. Non è da tutti trovare la leggerezza necessaria per guidare lo spettatore dentro la Germania vicina alla disfatta, consumata dall’odio per gli ebrei, dove tra i passanti per strada si stagliano le figure delle persone impiccate per tradimento, senza mai virare su un tono drammatico. A differenza del bambino protagonista di La vita è bella però il tono leggero non è figlio dell'inconsapevolezza.
La scelta di mettere al centro il piccolo Jojo Betzler, un ragazzino di 10 anni folgorato dalla propaganda nazista e intimamente aderente ai valori portati avanti da suo Führer, consente al regista di sperimentare un approccio nuovo, tracciando un parallelo tra la cieca fiducia dei bambini e quella del popolo tedesco. Il suo sguardo di ragazzino permette comunque di affrontare le questioni più spinose senza perdere un tono spensierato, quasi giocoso, che neppure le bombe e i rastrellamenti della Gestapo riescono a cancellare del tutto.
Biondissimi, bellissimi e buonissimi
Il giovanissimo Roman Griffin Davis si è guadagnato una nomination ai Golden Globe per la sua interpretazione, ma funziona soprattutto per la sua estetica, totalmente aderente allo stereotipo della gioventù tedesca dell'epoca. Jojo viene ritratto come mingherlino e pavido, eppure ha il volto perfetto dei giovanissimi delle campagne pubblicitarie. È un bimbo dallo sguardo purissimo, dall’aura monella, con due occhioni azzurri e una zazzera bionda che perforano lo schermo e arrivano dritti al cuore, più di mille parole retoriche.
Non si può non fare il tifo per lui, novello Oskar del Tamburo di Latta, al netto di tutta la drammaticità del film Palma d'Oro nel 1979. Immaginando lo stesso film ma con un protagonista meno piacente ho la netta impressione che il messaggio che si porta dietro il personaggio sarebbe emerso più chiaramente.
La sua mamma poi è interpretata da Scarlett Johansson (che per questo ruolo incamera una nomination agli Oscar), per sua stessa ammissione “condannata ad essere attraente”: così si descrive Rosie. Sulla carta anche qui abbiamo una donna anticonvenzionale, che si accolla l’enorme rischio di ospitare una ragazzina ebrea in un'intercapedine della propria casa, per nulla spaventata dall'aderire al fronte dissidente interno. Rosie è una madre momentaneamente single, con il marito lontano in guerra, che fa di tutto per proteggere il figlio, in primis da sé stesso e della sua cieca adesione al nazismo.
Tutto funziona a meraviglia, ma allo stesso tempo entro i limiti estetici ed etici di una pellicola che per approccio sembra quasi disneyana. Alla prova dei fatti, Jojo aderisce incondizionatamente al nazismo, ma questo non lo porta mai a commettere errori irreparabili. Insomma, è un nazista che rimane sempre dalla parte del giusto, mettendo appena il broncio quando si ritrova l’odiato nemico ebreo per casa. Questo discorso si ingigantisce a dismisura, inglobando tutto il cast: Rosie è una ribelle, il militare ferito interpretato da Sam Rockwell è disilluso quanto gentile.
In apertura del film, durante una prova di coraggio Jojo decide di non uccidere un coniglio. In tutte le svolte cruciali del film, Taika Waititi decide allo stesso modo di non ferire il suo protagonista con scelte irreparabili. Certo è lodevole come nel film vengano inseriti man mano temi come la disabilità, l'emancipazione femminile e la diversità in sue numerose incarnazioni. Tuttavia a mancare davvero è la Germania nazista, in tutta la sua brutale violenza, oppressione e drammaticità.
Tra Disney e Wes Anderson
Ci troviamo insomma nel cuore di una nazione in cui di davvero hitleriano non c’è praticamente nessuno, ad eccezion fatta di un gruppo di funzionari della Gestapo marginali, mai minacciosi e da subito ridicolizzati. Hitler amico immaginario è poco più di una burla, Rosie è buona come il pane, il capitano Capitano Klenzendorf e Finkel idem, mentre il personaggio di Rebel Wilson è credulone, ma mai davvero grottesco.
A ben vedere poi si respira anche poca Germania, inondata com’è d’interpreti, canzoni, modi di dire, fare e girare davvero statunitensi. Il film si apre con un parallelo davvero indovinato tra la frenesia della gioventù hitleriana e quella delle fan dei Beatles, ma dà lì si assiste a un crescendo musicale e tematico in cui si respira tantissima Hollywood ma poca realtà storica. Neppure l'impianto comico riesce a giustificare appieno questo ritratto dai forti accenti statunitensi.
Il film un paio di svolte davvero drammatiche le ha, ma sembrano necessarie alla progressione della storia più che figlie una brutale casualità determinata dal contesto bellico. C'è nell'aria un po' troppo sentimentalismo disneyano, una semplificazione un po' troppo marcata che toglie verve al film, persino un po' troppo Wes Anderson. È francamente straniante vedere un regista dallo stile personalissimo come Waititi pappagallare senza ritegno il collega, con ampi passaggi del film che sembrano presi di peso da Moonrise Kingdom e affini.
Insomma, Jojo Rabbit è un film gradevole, ma decisamente lontano dall'essere la graffiante commedia iconoclasta che i presupposti avevano lasciato presagire e sperare. Soprattutto non è un film che meriti davvero l'attenzione (e le nomination) che gli Academy Awards gli hanno riservato. D'altronde si sa, paga molto di più in termini di statuette degli Oscar essere pompieri che incendiari. Tuttavia è con un po' di sgomento che ritroviamo un cineasta ardito come Taika Waititi nella prima categoria.
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Jojo Rabbit sarà nelle sale il 16 gennaio 2020.
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