Quando la stessa società in cui viviamo tende a nascondere ai suoi cittadini, costruendo dinamiche di potere e abusi che, invece di essere smascherate, vengono celate nell'ombra, come si potrebbe reagire pur di raggiungere un senso di giustizia che vada oltre le convenzioni e le regole? Il racconto al centro di Prophecy, il film diretto da Jacopo Rondinelli, prodotto da Brandon Box e disponibile nei cinema italiani come evento speciale solo il 24, 25 e 26 marzo 2025 grazie a Nexo Studios che lo distribuirà nei cinema italiani in esclusiva con i media partner Radio DEEJAY, MYmovies, Lucca Comics & Games, Cultura POP e J-POP Manga, costruisce la propria voce partendo proprio da una realtà di facile accesso, rielaborandone la contemporaneità in un “gioco poliziesco” in cui la morale e le varie parti ritratte possono aprirsi a interpretazioni ulteriori.
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I protagonisti al centro di Prophecy ne sono perfettamente consapevoli e determinati nelle loro azioni e decisioni, facendo immediatamente eco agli stessi personaggi principali del manga omonimo da cui questo lungometraggio è tratto. Attenzione, però: il film di Rondinelli non è una semplice trasposizione uno a uno, ma piuttosto un lavoro di ispirazione che si distacca dal “riportare gli eventi della controparte cartacea”, adattandoli al contesto italiano in cui trova radici, con tutta una serie di regole sociali e culturali non scritte di cui si deve sempre e comunque tenere conto.
Il grande successo tra gli appassionati del manga ha sicuramente acceso la curiosità nei confronti di un progetto del genere. Studiando però, anche solo per un attimo, con attenzione le pagine di Tetsuya Tsutsui, risulta chiaro fin da subito che il cuore pulsante della storia su carta è profondamente legato al Giappone e alle sue incoerenze e ipocrisie a tutto tondo. Da un’identità intellettuale così chiara non è sicuramente semplice trarre un lungometraggio che funzioni allo stesso modo e livello, ma in un contesto culturale completamente diverso. L’interesse per Prophecy è quindi ancora maggiore proprio per via di questo ipotetico valore che va oltre la finzione del grande schermo. Ispirazione e rimandi, azione e riflessioni sul nostro presente prendono il sopravvento sul grande schermo.
Rivoluzione e ingiustizia
Al centro di Prophecy troviamo la storia di Gates e Ade (portati sul grande schermo rispettivamente da Damiano Gavino e Haroun Fall). Nel momento in cui li conosciamo, li vediamo rischiare il tutto per tutto, proponendo a un grande imprenditore italiano, Manfredi (Giulio Greco), un’app che, a loro avviso, potrebbe valere molto, se non addirittura cambiare qualcosa nel settore della finanza. Sono entrambi giovanissimi ma comunque precoci in quello che fanno, presentandosi come “innovatori” nel settore dell’informatica al servizio delle persone. Si tratta comunque di un salto importante e nel buio, di un investimento da sognatori.
L’incontro e il futuro sono incerti e, a seguito di un rifiuto della loro visione, ritroviamo i due dopo un salto nel tempo, cambiati e rinunciatari rispetto all’app che avevano provato a creare. Quando però scoprono che le loro precedenti idee sembrano essere state rubate, la reazione diventa inevitabile, portando alla nascita del fantomatico Paperboy, una sorta di entità anonima sopra le regole, che si cela dietro una maschera di giornale. Questo personaggio, trasmettendo in diretta sul web, fornisce delle profezie (Prophecy, appunto) alle persone che lo seguono, in cui denuncia e mette in luce alcuni aspetti della società che non funzionano.
Da un’invenzione del genere si svilupperà un vero e proprio thriller, un inseguimento fra la polizia, rappresentata soprattutto dall’ispettrice Erika (Federica Sabatini), e i nostri, in un gioco in cui morale, regole e ingiustizie diventano qualcosa di relativo e su cui si dimostra importante, sempre e comunque, ragionare.
Una partita fuori e dentro il web
Come anticipato, Prophecy assume fin da subito la struttura del thriller poliziesco, distinguendo due facce della stessa medaglia in un inseguimento in cui tutto potrebbe cambiare da un momento all’altro. Chi sono veramente i cattivi? È questa la domanda fondamentale che spinge a scandagliare i dettami del conosciuto, mettendo in discussione le regole sociali che ognuno di noi conosce molto bene. Di pari passo, il lungometraggio prende in esame una specifica generazione di lavoratori, i cosiddetti “giornalieri”, coloro che non riescono a trovare impieghi fissi o duraturi, finendo nel giro delle consegne con mezzi propri.
Da questo punto di vista, Prophecy è sicuramente interessante, ammorbidendo tantissimo la verve disumanizzante e drammatica che veniva messa in evidenza, invece, dalla controparte cartacea. Non esiste limite di età in questo genere di professioni, che arrivano a coinvolgere praticamente ogni sfera dell’attuale umano, ponendo in questo caso l’accento su un evento sanguinoso che interessa uno dei protagonisti principali. Dall’oggettificazione del lavoratore, che per vivere deve accettare anche gli impieghi peggiori, si passa a una società che non ha troppo interesse per chi sta in basso e che tende a “coprire” le crudeltà del prossimo servendosi anche dei mezzi della legge.
Da ciò nasce il forte sentimento di rivolta al centro di una pellicola che incide senza andare troppo in profondità, sembrando quasi frenata da qualcosa pur mettendoci il cuore. Prophecy manca di violenza e di rabbia, manca di cattiveria, puntando su un'identità narrativa diversissima dal manga, che si costruisce sia sulla denuncia sociale che sull’intrattenimento dai toni più leggeri. L’attitudine ribelle è chiara e veicolata da una struttura narrativa piuttosto classica, lavorando con personaggi immediati che, in alcuni momenti, sarebbe stato affascinante conoscere più approfonditamente.
La scelta di adottare un taglio di questo tipo è abbastanza comprensibile sia in termini prettamente creativi, specialmente se si hanno chiare le dinamiche culturali al centro del manga omonimo, sia in quelli produttivi. Durante la presentazione romana del film, lo stesso produttore, Andrea Sgaravatti, ha più volte confermato le brevissime tempistiche di realizzazione della pellicola, sottolineando quale grande sfida sia stata costruirla in termini di adattamento a un contesto completamente diverso da quello giapponese, anticipando anche la volontà di trasformare il materiale originale seguendo un piglio differente, in qualche modo.
Prophecy è un film che oscilla continuamente fra il leggero e l’impegnato, fra il giocoso colorato e la critica. L’interesse nel cercare di andare oltre lo schermo è chiaro, così come la voglia di costruire una storia per immagini con un ritmo e uno sviluppo orizzontali. La violenza subdola di una società che ci è sia vicina che estranea ispira un racconto per immagini derivato da immaginari televisivi e cinematografici ben definiti (Mr. Robot in primis, ma anche La casa di carta), portando a una sincerità di fondo tra il semplice e il diretto, che sa intrattenere.
Commento
Voto di Cpop
60Pro
- Il film riesce a intrattenere con una narrazione scorrevole e un’estetica colorata.
- Affronta questioni come il precariato, l’ingiustizia sociale e l’uso della tecnologia nella ribellione, rendendolo interessante e vicino alla realtà.
Contro
- Rispetto alla controparte cartacea, il film smorza la critica sociale e la componente più cruda del racconto.
- Alcuni protagonisti avrebbero meritato uno sviluppo maggiore, per dare più spessore alle loro motivazioni e al loro percorso.
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