Non è facile farsi prendere sul serio nel mondo del cinema d'autore quando il tuo volto e il tuo nome sono indissolubilmente legati a un franchise come Twilight: lo sanno bene sia Robert Pattison sia Kristen Stewart, che ormai da un decennio collezionano collaborazioni con registi importanti, quasi a volersi scrollarsi di dosso il franchise giovanile e scomodo che ha lanciato la loro carriera.
Pattison sembra essere già riuscito a scrollarsi di dosso il suo passato da idolo delle ragazzine, mentre le scelte controcorrente e di nicchia di Stewart (incappata anche in un paio di film davvero dimenticabili) non sono ancora riuscite a far cambiare idea al grande pubblico. Diretto da Pedro Larraín e presentato in concorso alla 78esima Mostra d'arte cinematografica di Venezia, Spencer è il tipo di biopic attentamente studiato per dare una concreta chance di nomination agli Oscar all'interprete protagonista.
Non è un caso che alla regia ci sia Pablo Larraín, il regista cileno di No - I giorni dell'arcobaleno e Neruda, che Hollywood sembra aver intenzione di assoldare in film con questo tipo di obiettivi ancora a lungo. D'altronde la sua prima prova in lingua inglese era stato proprio quel Jackie valso a Natalie Portman il ritorno agli Oscar dopo la vittoria per Black Swan.
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Jackie e Spencer: quasi una duologia
Che dietro a Spencer e Jackie ci sia la stessa mano è evidentissimo. Larraín però si occupa della regia, portando su schermo due sceneggiature che riguardano entrambe iconiche mogli tristi di grandi personaggi influenti, ma diametralmente opposte per approccio, fini e in ultima istanza qualità. Tanto la scrittura di Noah Oppenheim era tagliente e a tratti brutale nel trasformare Jackie da moglie trofeo ad abile animale politico impegnata ad assicurare alla mitologia statunitense la memoria del marito assassinato, tanto la sceneggiatura di Steven Knight ha un che di totalmente masturbatorio.
Il film mette le mani avanti sin dalla sua apertura, dichiarando di essere "una favola ispirata a una vera tragedia". Tradotto, più la pellicola si sviluppa più sfugge alla realtà storica del drammatico periodo precedente al divorzio tra Carlo e Diana, dando al pubblico un sogno impossibile: quello di una principessa triste capace di trovare una via di fuga da soffocanti tradizioni e ripetute umiliazioni.
La trama di Spencer
La pellicola copre i tre giorni delle vacanze natalizie trascorse dalla Famiglia Reale nella gigantesca, gelida tenuta di Sandringham House. Quasi sopraffatta da disturbi alimentari, depressione e una montante paranoia, Diana si sente in guerra con il mondo dei Windsor, spiata e umiliata. Non rinuncia al ruolo di madre amorevole, ma il rapporto con Carlo è ai minimi termini e quello con la servitù ambiguo e paranoico. Il film ripercorre tre giorni di cene, apertura dei regali, pomeriggi familiari e notti solitarie per Diana, tormentata dal ricordo degli Spencer e dal pensiero di come la gente la ricorderà.
Non sono contraria a priori a una rilettura "alternativa" della versione ufficiale di una storia (proprio come avveniva in Jackie), a patto che questa versione "truffaldina" abbia qualcosa da dire. Spencer invece alterna scene sull'orlo dell'ironia involontaria (tutte quelle con Anna Bolena), giustificazioni di comodo (il vero cattivo sembra essere il responsabile interpretato da Timothy Spall, mentre a più riprese la famiglia reale viene descritta come inconsapevole della propria cattiveria) a una Diana che prova con discreto successo (e in modo totalmente irrealistico) a riprendere in mano la propria vita, per nessun altro apparente motivo che mostrarcela fuori da una crisi che sappiamo di risolse con risvolti drammatici.
Kristen Stewart è da Oscar nei panni di Diana?
Kristen Stewart fa il suo. La sorpresa generale rispetto alla sua capacità di ritrarre in maniera apprezzabile Diana forse deriva dalla scarsa attenzione che è stata data a sue precedenti prove (penso ai due film diretti da Olivier Assayas) in cui aveva già ampiamente dimostrato di essere all'altezza della situazione, se ben diretta da un buon regista. Notabili ma forse sin troppo scintillanti i costumi di Jacqueline Durran, solo uno dei tantissimi nomi di assoluta eccellenza di cui ama circondarsi Larraín.
Il vero vincitore qui è lui. Se Spencer non naufraga nelle sue metafore un po' affettate (la scena della perla) e nelle sue uscite più artistoidi è proprio perché dietro la cinepresa c'è lui, capace di tenersi alla larga dal territorio dello scult. Se Spencer dovesse davvero arrivare agli Oscar, è probabile che Hollywood tornerà a chiedergli di dirigere progetti simili. Il che è un po' uno spreco, considerando il suo enorme talento.
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