Stasera in TV c'è A Star is Born: scopri il finale del film di Bradley Cooper e il suo significato

È nata una stella che brilla di luce propria ed è Ally-Lady Gaga. Ecco diversi punti di vista sul senso dell'emozionante finale del film.

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Autore: Giuseppe Benincasa ,

La morte di una stella è la nascita di un'altra.

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Il finale di A Star is Born, remake di Bradley Cooper di un grande classico hollywoodiano, è una morte dove il sapore de La Vie En Rose diventa amaro, ma che allo stesso tempo si apre alla speranza dell’eternità sotto forma di arte.

Stasera 30 settembre in TV c'è A star is born dalle 21.10 su Canale 5

Il cerchio della vita è spietato, ma conserva i propri brandelli di poesia: nessuno può sottrarsi al turnover, nella musica come nella vita, ma tutti possono dire qualcosa durante il loro passaggio sulla terra, se trovano qualcuno disposto ad ascoltarli.

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Analizziamo gli aspetti del finale del film:

La trama in breve

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La storia del film è nota: Ally (Lady Gaga) è una cameriera che il venerdì sera si esibisce in un drag-bar con sopracciglia posticce e una straordinaria voce. Jackson Maine (Bradley Cooper) è una rock star in mood Eddie Vedder. Lui, alla ricerca di alcol, la vede per caso durante una performance e la invita fuori a bere. Un supermercato late night e qualche verso azzardato fanno scoccare una scintilla in un parcheggio di periferia - e forse già sappiamo, in quel primissimo momento, che la musica unirà e dividerà le vite di Ally e Jackson.

Poco dopo i due si rivedono, su un palco. Cantano Shallow e il loro mondo non sarà mai più quello di prima.

Il finale

Ally è diventata una (pop)star: ha i capelli rossi e posa per shooting fotografici. Jackson è ossessionato dai suoi demoni, dalla dipendenza dall’alcol, dalle paranoie, dagli acufeni. Ai Grammy, dopo essersi ubriacato, ha rovinato la serata alla moglie nel modo più drammatico e grottesco possibile. Dopo aver trascorso del tempo in rehab, torna a casa da Ally, che non esita a tarpare le proprie ali per stargli vicino, rinunciando al tour europeo.

Le crude parole del suo manager, Rez, porteranno Jackson alla dolorosa consapevolezza finale: il suo amore non permetterà mai ad Ally di decollare, di essere una star. E così, mentre la giovane stella lo attende su un palco per il loro duetto durante un concerto, lui decide di impiccarsi nella loro casa.

Nell’ultima scena vediamo Ally vedova, tornata di nuovo castana, esibirsi sulle note di I'll Never Love Again mentre nella sua mente (e davanti agli occhi degli spettatori) scorrono le immagini della loro sofferta e inebriante storia d’amore.

Ally guarda il pubblico: è finalmente una stella, pronta a volare da sola.

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La spiegazione del finale

La colpa del tragico finale di A Star is Born è delle stelle.

La storia d’amore tra Jackson e Ally nasce segnata, proprio come è preannunciato che il pop di lei fagociterà (ha fagocitato, sta fagocitando) il rock di lui. Involontariamente, inconsapevolmente, impercettibilmente, l’astro prepotente di Ally eclisserà il mood chiaroscurale e da antidivo di Jack. In terrazza, di fronte alla città tappezzata da manifesti di Ally, Jackson capisce che il mondo vuole lei, ma la sua invidia si condisce in un miscuglio agrodolce di amore, tenerezza e dolore.

I presagi di tragedia sono sparsi nel film, con una semina simbolica da parte di Bradley Cooper: proprio all’inizio, di notte, mentre Jackson e l’amico-autista scivolano in giro per la città in auto, passano di fianco a un cartellone arcobaleno costellato di cappi. E, durante il rehab, Jackson confiderà di aver provato a impiccarsi quando aveva 12 anni, ma di non essere riuscito nel proprio intento.

Lo spettatore che ha già visto le precedenti versioni (e forse anche quello che non conosce la storia) sa che quel racconto non è altro che un sinistro preludio di morte.

E Jackson decide di imporre a sé stesso quella morte che potrebbe forse portargli il sollievo dalle sue (in)sofferenze. Lo fa in modo violento, duro, proprio come tanti grandi della musica rock e come, più di recente, lo chef Anthony Bourdain e la stilista Kate Spade. Ma il regista decide di affidare il gesto al fuori campo, senza rinunciare però a impregnare la scena di pathos ineluttabile.

I predecessori di Jackson, nei film di A Star is Born, morivano in modo diverso: soccombevano alla propria invidia, al leitmotiv della Hollywood classica del “viale del tramonto”, che non dà scampo a chi si vede spazzato via dal “nuovo”. È successo a Norma Desmond e ai Norman come a Jackson, che in modi (e con esiti) diversi si sono trovati a lottare contro sé stessi.

Jackson però, al contrario di altri Norman (così si chiamava il protagonista maschile) delle precedenti versioni di È nata una stella, sceglie di concludere il proprio momento sulla terra senza livore e forse per amore. Questo apre il film alla luce di una speranza finale, quella che qualcuno chiamava There Is a Light That Never Goes Out. Jack e Ally sono determinati a non dichiarare che lo status di stella soffoca tautologicamente i sentimenti romantici. Forse non è così, e Jackson se ne rende conto, ma il suo personaggio vibra di una complessità diversa dai suoi predecessori.

Il finale di Bradley Cooper è sotto il segno della tragedia classica, con l’(anti)eroe che soccombe, impossibilitato a cambiare le cose, impossibilitato a cambiare sé stesso. Ma nell’ultima scena Ally Maine canta I’ll never love again e capiamo che quell’amore disperato non è stato vano.

Il fisiologico processo della morte di una stella, che porta alla nascita di un’altra, ha lasciato un grande amore, che può vivere in eterno tramite qualcosa di superiore alla volontà umana e persino alla morte: la musica.

La spiegazione di Bradley Cooper e Lady Gaga del finale

Il finale di A Star is Born, svelano il regista-attore e l’attrice protagonista, è completamente giocato sulla prossemica di Ally rispetto alla macchina da presa. Dopo due ore in cui l’artista evita il confronto (troppo doloroso?) con la camera frontale, alla fine guarda negli occhi il pubblico.

Bradley Cooper ha spiegato a Cinema Blend che quello è il momento simbolico della nascita di Ally.

È il momento in nasce una stella. Voglio dire, per me. […] Per me il film termina con la nascita della stella, perché è finalmente in grado di essere sé stessa, ed è disposta a guardare verso di te, lo spettatore, e dire: ‘Eccomi’.

È la prima volta, spiega Cooper, che vediamo Ally da sola con il pubblico. All’inizio si esibiva sulla scia del fidanzato e poi è stata “spintonata” da un manager dal marketing brutale.

Ma ora che è da sola, è pronta a perseverare e trionfare, come ha spiegato Lady Gaga.

E l'idea, anche, che una vera stella è fatta di coraggio umano. Perseverare e andare avanti…ho pensato che fosse fantastico.

Ora Ally è pronta a correre da sola… anche grazie al sacrificio di Jackson.

Il finale come campanello d’allarme sociale

C'è chi ha interpretato il finale di A Star is Born come un'urgenza sociale.

USA Today ha contattato Susan Lindau, professoressa a contratto presso la Scuola di lavoro sociale Suzanne Dworak-Peck, che ha parlato dell'importanza del film per sensibilizzare gli spettatori su tematiche complesse e delicate come il suicidio, le dipendenze da alcol o droghe e la depressione.

La storia di Jackson può essere letta anche in chiave psicoanalitica: i traumi irrisolti del passato, i rapporti complicati e spezzati con la famiglia e gli spettri del presente hanno contribuito a far precipitare il cantante nel baratro. Ma la professoressa Lindau è convinta che la triste fine della rockstar possa aiutare a capire quanto sia delicato il momento in cui una persona che ha curato queste patologie rientra nella società.

Per quanto riguarda il film, è stato tragico e triste, ma in qualità di professionista clinico è stato frustrante vedere quel finale. Nella vita reale, [Maine, n.d.r.] aveva bisogno di un sostegno più forte dopo la sua riabilitazione, quando era emotivamente più vulnerabile.

Il suicidio non è mai l'unica soluzione. E anche Jackson umanamente avrebbe potuto evitarlo, per quanto a livello di economia narrativa fosse impossibile.

Ally e Jackson: evoluzione e involuzione

Sono innumerevoli le chiavi con cui si può leggere, capire e soprattutto sentire A Star is Born.

Il debutto alla regia di Bradley Cooper si fonda sull’eredità di una struttura fondamentalmente perfetta, un copione che di default propone due climax speculari, simmetrici, uno ascendente e l’altro discendente, in contemporanea alla parabola triste di una storia d’amore spacciata.

Come spesso accade in una storia d’amore al cinema, i caratteri si evolvono e si involvono, ma mai in modo chirurgico e simmetrico come in A Star is Born.

Jackson da sognante pigmalione diventa vittima consapevole. Ally da cameriera diventa... una star come Lady Gaga. Non sono pochi i riferimenti alla carriera della popstar di Bad Romance, dal colore biondo platino alla presenza di un naso che qualche discografico avrebbe voluto far ritoccare chirurgicamente.

I percorsi sono perfettamente allineati: all’inizio, prima ancora che Jackson e Ally si incontrino, scopriamo che lui è già divorato dagli acufeni e dalle dipendenze, che è stretto in un rapporto problematico con il fratello-padre ed è pronto a soccombere a sé stesso. Allo stesso modo conosciamo Ally-cameriera, con addosso un evidente seme di quello che sarà: una stella. L’incontro non è altro che un innescatore: la spirale di Jackson corre verso il basso, mentre Ally scopre che il palco è la sua migliore via d’espressione e si prepara, in cappello country e pantaloni leopardati, a folgorare il pubblico rockettaro di Jackson, finché non viene calamitata dal pop, dalle etichette discografiche, da una nuova immagine.

Mentre Ally-bruco diventa farfalla (metafora presente nel film) e combatte con un corpo-gabbia da cui vuole liberarsi per mostrare al mondo tutto il suo talento senza passare necessariamente dal "packaging fisico" da solita pop queen, Jackson rimane un simbolo di decadenza che precipita inesorabilmente, impotente spettatore del cambiamento di lei e impossibilitato a piegare il genere del pop alla sua idea storica di musica.

Insieme a Ally e Jackson, insieme alla loro “fusione fisica”, avviene il rimescolamento tra due generi musicali forse incompatibili, ma che insieme riescono a provocare l’effetto di una potente detonazione.

Freudianamente, possiamo dire che Ally ha bisogno di tagliare fuori una parte di sè (ovvero Jackson) per diventare una stella. È doloroso, ma necessario.

Le precedenti versioni di È nata una stella: "gli altri Jackson Maine"

Jackson Maine è una versione non solo contemporanea, ma plurisfaccettata dei suoi predecessori.

Nella prima versione, del 1937, Norman Maine (Fredric March) è un attore affermato che conosce la giovane Esther Blodgett (Janet Gaynor), ragazza di provincia alla ricerca di un posto al sole. Il Norman del 1937, proprio come Cooper, arriva a suicidarsi dopo averle rovinato la cerimonia degli Oscar con un discorso imbarazzante e uno schiaffo assestato alla moglie che cercava di arginarlo. Incapace di gestire la spirale del proprio alcolismo e l'astro in ascesa della moglie, Norman finisce per suicidarsi lasciandosi annegare nel Pacifico. Il suo personaggio è il più vicino a Jackson, perché nonostante la cocente invidia per Esther compie un sacrificio estremo per "liberarla" da lui.

Nel remake musicale del 1954, diretto da George Cukor, Norman Maine (James Mason) è un cantante quasi sul viale del tramonto, mentre Esther Blodgett (Judy Garland) è un'aspirante performer. Norman anche in questo caso si affogherà nell'oceano, sentendosi un peso per la moglie e consapevole di essere a fine carriera.

Nel remake del 1976, con Kris Kristofferson e Barbra Streisand, i protagonisti sono il cantante John Norman Howard e l'aspirante star Esther Hoffman in piena epoca dei figli dei fiori. John Norman è il personaggio più diverso da Jackson: tradirà la moglie, corroso dalla gelosia, e alla fine morirà in un incidente d'auto.

Cosa ne pensate? Vi è piaciuto il finale di È nata una stella?

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