365 giorni: adesso riuscirà a sorprendere anche chi ha aspettative piuttosto basse in merito. Il sequel del film erotico polacco riesce nella non facile impresa di fare peggio del suo precedessore.
Giunti a questo punto però il pubblico dovrebbe sapere che non si troverà di fronte a un film provocatore e sorprendente, quanto piuttosto a un collage di scene teoricamente sexy tenute insieme da una flebilissima trama, che per giunta ripete molti snodi del primo film. Perché guardarlo dunque? L’aspetto più interessante di questa pellicola è tentare di capire perché il sesso venda ancora così tanto in una società in cui non è difficile consumare contenuti hard.
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365 giorni: adesso e l'erotismo nel 2022
La scusa di vedere scene molto più discinte del solito non regge più e per capirlo basta fare un rapido confronto con un film che ha costruito il suo successo proprio sulla sua scandalosa fama. Era il 1995 quando Showgirls di Paul Verhoeven arrivava nelle sale di tutto il mondo, anticipato da una tempesta perfetta di stroncature ferocissime. Da sempre maestro della provocazione (vedi il suo ultimo Benedetta, ancora inedito in Italia), Verhoeven in quell’anno realizzò quello che ancor oggi è considerato uno dei più grandi scult del cinema americano, che avrebbe dovuto stroncargli la carriera per sempre.
Avrebbe, perché si rivelò un successo straordinario, sbancando al botteghino. Erano altri anni: chi voleva vedere contenuti hot non era a pochi click di distanza da una selezione sconfinata, gratuita e ad alta qualità di pornografia. Bisognava metterci la faccia, andare in qualche sordido sexy shop o edicola e comprare una VHS tra le poche disponibili nella ristretta selezione locale.
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L’idea di vedere una promettente starlette hollywoodiana come Elizabeth Berkley in amplessi infuocati o scene di ballo senza veli, con la “scusa” del film provocatore, si rivelò irresistibile. Nel pubblico però c’erano anche parecchi cinefili, che riconobbero subito nel flm di Paul Verhoeven un cult sì, ma irriverente, volutamente eccessivo e trash in ogni singola inquadratura, che irrideva cinicamente il sogno americano, l’ossessione per il sesso e per la competizione di quella società, facendo il verso ai film con l’artista che fa gavetta fino a diventare famoso.
Perché vediamo film che sappiamo essere brutti?
Lo scenario in cui 365 giorni: adesso arriva su Netflix e sbanca è radicalmente diverso, per molti fattori. La disponiblità di contenuti per adulti è uno, il secondo è la mancanza di una star hollywoodiana o di grande richiamo che si metta a nudo, solleticando la curiosità del pubblico. Anna-Maria Sieklucka non è né Sharon Stone in Basic Instict né tantomeno Dakota Johnson in Cinquanta Sfumature di grigio, per fama e per livello recitativo. La produzione polacca della serie, diretta dal duo registico Barbara Białowąs e Tomasz Mandes, non appaga certo l’occhio né ha alcuna attrattiva cinemaografica. Nei suoi momenti migliori ricorda l’estetica di certi video musicali degli Aqua, di Gunther, della disco scollacciata d’inizio 2000. Figuratevi nei peggiori.
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Cosa sta persuadendo così tante persone a vedere 365 giorni: adesso dunque? Persone che magari hanno ignorato film che promettevano un tasso di erotismo simile con star ben più famose come il (tremendo) Acque profonde con protagonisti i ben più famosi Ben Affleck e Ana De Armas? il sesso non basta, dunque, ma è difficile capire cos'altro serva, dato che dentro 365 giorni: adesso c’è poco altro.
Cosa dice di noi spettatori un film come 365 giorni: adesso?
Oltre alle scene hot e a un utilizzo smodato di canzoni pop usa e getta come commentario sonoro delle suddette, cosa rimane? Un continuo sfoggio di pornografia finanziaria, esibita e fasulla quanto l’erotismo vero e proprio. In un film in teoria incentrato sul matrimonio di due aitanti protagonisti si parla più di macchinoni sportivi che di relazioni. I pegni d’amore sono erotici o sfoggi di ricchezza, in anonime ville di lusso o lucidissimi resort. Il film è ambientato in Sicilia e in Spagna, ma potremmo trovarci ovunque: lo sfoggio è quello di una vita agiata anonima e incolore, talmente priva di personalità che potrebbe svolgersi in qualsiasi quartiere esclusivo, a qualsiasi latitudine. Le vite di Laura e Massimo dovrebbero riflette il sogno degli spettatori e forse lo fanno. Il lavoro è lontano, sono ricolme di sesso, denaro e di battibecchi in cui lui e lei marcano il territorio, professando il loro amore o il loro dominio sulla coppia.
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La trama è talmente risibile che - forse nell’atto più spregiudicato dell’intero film - ricorre al cliché peggiore della storia del cinema, così abusato e sopra le righe che altrove è materia di battute che infrangono la quarta parete o di rassicurazioni da parte del cast che anticipa al pubblico “no, non ricorreremo a quell’espediente". Espediente in cui invece 365 giorni: adesso si tuffa di testa, per poi arrivare a un finale fotocopiato dal primo capitolo. A mettere un po’ di verve alla storia c’è la tentazione del giardiniere Nacho (Simone Susinna) ma 365 giorni è così conformista, così abbottonato che nemmeno osa le corna, il tradimento, neppure in una cornice con tutte le giustificazioni e i fraintendimenti del caso.
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Commentario sociale volontario non ce n’è, ironia nemmeno, contenuti veramente trasgressivi non sono pervenuti. 365 giorni: adesso non appartiene a quel genere di film che sbagliano clamorosamente nella foga di fare bene, nella fretta di dire qualcosa. Anzi: è un film piuttosto pigro.
A stupirci dovrebbero essere dei dildo usati durante amplessi di coppia? Suvvia. 365 giorni: adesso fotografa due cose. Innanzitutto il ritorno di un certo puritanesimo in cui la società si riconosce, magari non esplicitamente, che accende il desiderio di contenuti ampiamente disponibili ma ancora considerati “proibiti” (sigh), da consumare e poi condannare o irridere pubblicamente. Una scelta che non dà valore al nostro tempo libero - sempre più scarso e prezioso - investito nella visione distratta e accelerata di film come questo.
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Il secondo è la continua corsa al ribasso di colossi come Netflix (la cui nuova strategia sembra puntare su tanti prodotti di basso costo nella speranza di indovinare qualche hit) e major tradizionali come Sony.
Nell’ambito dell’intrattenimento spesso fanno il minimo indispensabile, puntando su un elemento irresistibile per il pubblico: il sesso appunto, o i supereroi Marvel. Poi stanno alla finestra e valutano quanta bruttezza siamo disposti ad accettare per “spegnere il cervello”, “divertirci” con i guilty pleasure, propinandoci pellicole improponibili come quelle viste negli ultimi mesi. Il vero esperimento siamo noi e, duole dirlo, forse film come 365 giorni: adesso ce li meritiamo.
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