Sono passati poco più di quindici anni dal debutto di Breaking Bad, che esordì il 20 gennaio 2008 su AMC, che è oggi nel 2023 un canale importante nell’ambiente via cavo americano. All’epoca però AMC era ancora un contenitore di vecchi film americani che aveva appena iniziato a scommettere sulla programmazione originale (Mad Men era arrivato pochi mesi prima). E proprio come quel canale, lo show ideato da Vince Gilligan era qualcosa che era facile sottovalutare a prima vista.
Furono diversi, infatti, i rifiuti da parte di vari canali televisivi, inclusa la HBO, all’epoca meta privilegiata per progetti ambiziosi con protagonisti moralmente ambigui (o, come disse Gilligan per riassumere l’arco narrativo della sua creazione, “Mr. Chips che diventa Scarface”, ossia la trasformazione di un mite insegnante in un temibile gangster).
Tra le perplessità, anche una volta ottenuto il via libera da AMC, c’era la volontà di affidare il ruolo di Walter White/Heisenberg a Bryan Cranston, noto soprattutto come attore comico. Una scelta che è diventata parte integrante del successo e dell’eredità della serie.
E oggi, a quindici anni di distanza, cosa c’è rimasto di quell’universo?
“Say my name!”
Nell’estate del 2013, proprio mentre Breaking Bad era in procinto di chiudere i battenti, è stato dato alle stampe il libro Difficult Men, un’analisi dell’ascesa delle serie drammatiche per i canali via cavo (HBO, Showtime, FX, AMC) e dei loro showrunner, con il titolo del tomo che alludeva sia ai vari protagonisti (Tony Soprano, Vic Mackey, Al Swearengen, James McNulty, Don Draper) che ai loro creatori (rispettivamente David Chase, Shawn Ryan, David Milch, David Simon e Matthew Weiner). La prima edizione americana aveva in copertina il celebre mafioso del New Jersey, mentre la successiva ha optato per Walter White (quella inglese ha fatto il compromesso mettendoli insieme).
Difficult Men: Behind the Scenes of a Creative Revolution: From The Sopranos and The Wire to Mad Men and Breaking Bad
Una scelta fortemente indicativa di come, nel giro di cinque anni, il personaggio fosse diventato un’icona, spodestando a sorpresa il collega di palinsesto Draper.
Ed è lì la forza dell’intuizione di Gilligan, che aveva conosciuto Bryan Cranston durante la lavorazione di un episodio di X-Files e visto direttamente quanto l’attore fosse versatile.
La reputazione dell’interprete di Walter/Heisenberg (un doppio nome di cui abbiamo parlato nel nostro approfondimento sulla scelta dello pseudonimo del protagonista), unita a un marketing inizialmente bizzarro (il poster della prima stagione mostra White nel deserto in mutande) e la somiglianza superficiale con la serie comica Weeds (dove una vedova spaccia marijuana per mantenere i figli), era l’espediente ideale per consentire al pubblico di empatizzare con il protagonista. Tutto ciò per poi, nelle seguenti stagioni, ammirare inorridito l’evoluzione della sua performance, fino a quello che in un primo momento doveva essere il finale della serie: la scena di commiato della quarta stagione, con Walt che chiama la moglie e dice, con toni poco rassicuranti, “Ho vinto.”
L’influenza dello streaming
Un altro importante lascito della serie TV Breaking Bad riguarda il ruolo che ha avuto lo streaming nella sua crescita presso il pubblico.
Se oggi le piattaforme sono un terreno minato per chi vuole creare qualcosa, all’epoca erano soprattutto un modo abbastanza comodo per recuperare stagioni intere dopo la fine della messa in onda lineare. E proprio Breaking Bad ne ha beneficiato come poche altre serie, a giudicare dagli ascolti americani che sono aumentati esponenzialmente nel corso della quarta annata, dopo proprio che molti spettatori avevano scoperto le prime tre su Netflix.
È un raro caso di programma il cui episodio più visto in assoluto in patria è quello conclusivo, e non sorprende che AMC abbia optato per Netflix come partner per la distribuzione internazionale del prequel/spin-off Better Call Saul. E a tal proposito…
Prossima fermata: Albuquerque
New York, Los Angeles, Miami, Chicago, talvolta Baltimora. Queste le principali città che, a pari merito con le figure umane, possono aspirare al rango di personaggi in molte serie americane, solitamente restie a uscire da quei territori (che in ogni caso il più delle volte sono ricostruiti in studio in California per risparmiare, al punto che Dick Wolf, uno dei più noti produttori per il piccolo schermo, si è più volte dovuto imporre perché le sue creazioni siano girate in loco).
Ed ecco che Gilligan, forte del supporto dei dirigenti AMC, ha trasformato Albuquerque, nel New Mexico, in grande e affascinante location (questione che potete approfondire nel nostro articolo sui luoghi in cui è stata girata Breaking Bad), dopo che per anni la città era stata soprattutto oggetto di una delle frasi a effetto di Bugs Bunny (ogni volta che si ritrova in un luogo strano, il coniglio esclama “Lo sapevo che dovevo girare a sinistra ad Albuquerque”).
Un viaggio che è continuato con la serie su Jimmy McGill/Saul Goodman, trasformando il deserto e gli ambienti adiacenti in perfette rappresentazioni della progressiva aridità spirituale di Walter e Saul, due uomini che, seppure in modo diverso, si sono votati al male non (solo) per necessità, ma perché in fin dei conti lo trovavano piacevole.
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