No Way Home è un film incentrato sulla vera identità di Spider-Man. L'incipit già lo conosciamo: Mysterio ha rivelato al mondo chi si nasconde dietro la maschera dell'Uomo Ragno e ora Peter Parker è la persona più famosa sul pianeta, inseguito dai media e ossessivamente osservato da tutti, accusato da una fetta di popolazione di essere un assassino e un distruttore. Da questo spunto narrativo nasce però una storia che come mai prima d'ora da quando Tom Holland indossa il costume blu e rosso riflette sulla natura dell'identità di chi sta dietro la maschera e della maschera stessa.
Per farlo scomoda tutto ciò che rende Spider-Man tale, a partire dai suoi nemici storici. Dato che questo Spider-Man è molto anomalo (sotto più di un aspetto) il film percorre la strada ormai sdoganata del multiverso, facendo piovere Alfred Molina, Willem Dafoe e tantissime facce note (così tante che il primo ritorno che vi strapperà un'esclamazione di sorpresa è posto a circa cinque minuti dall'inizio del film) nel suo universo. Operazione che lo manda in crisi d'identità, che ne scuote profondamente i valori e l'etica per la prima volta dalla costruzione del MCU. Nel farlo, mette di fronte Tom Holland a tutta una serie di situazioni, sbagli, scelte e sacrifici che sono l'anima stessa del personaggio.
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No Way Home è un'enorme, ambiziosissima operazione di riallenamento di un personaggio che stavolta si era voluti reinventare in maniera diversa, con notevole successo ma anche con la mancanza sempre più evidente di ciò che rende Peter Parker tale: grandi poteri senza grandi responsabilità è una cosa diversa, che non appartiene all'amichevole supereroe di quartiere nella sua anima originale.
Tom Holland si vede dunque girare intorno un grande film (per ambizione e mezzi) che lo mette sullo stesso piano di un Robert Downey Jr all'addio del suo Iron Man, di un Hugh Jackman all'ultima prova nei panni di Wolverine: a essere celebrato però, più che lui, è la figura che incarna, il ragazzo che è supereroe e per quanto ci provi, a un certo punto capisce che un equilibrio è impossibile, un sacrificio è necessario. No Way Home è un po' il Logan di questo Peter Parker: segna la fine di quanto visto fino ad oggi, in favore di quello che è quasi un reboot, che lo ricolloca su binari decisamente più tradizionali.
I dolori del giovane Peter
In questo No Way Home recupera una dimensione meno citata rispetto all'ironia e all'intelligenza del personaggio: il dolore e la malinconia. Nei suoi passaggi migliori (a tratti, va ammesso, ampiamente "ispirati" all'ottimo lavoro compiuto dal lungometraggio animato Spider-Man: Into the Spiderverse), nelle sue scene più struggenti, No Way Home ci dà una risposta tutt'altro che scontata alla domanda che si pone sin dall'inizio: chi è Spider-Man, cosa significa indossare quel costume? La risposta ha una chiara impronta di dolore e sacrificio che finora avevano appena toccato la versione di Holland e per vie differenti rispetto a quelle tradizionali. Questo perché la dimensione malinconica di Spider-man è tipica del lavoro che Sony ha fatto nei suoi vari reboot: questo film subisce una chiara influenza del modello MCU ma anche è chiaramente differente. No Way Home è più concreto, più contenuto, più newyorkese, capace di contenere l'ossessione per la continuity e di fare soffrire di un dolore vero, umanissimo, il suo eroe protagonista.
Non è il primo dolore che questo Peter affronta. Il suo battesimo del fuoco era stata la morte di Robert Downey Jr, una presenza così carismatica e spettacolare da alterare almeno momentaneamente il corso del suo destino di supereroe. Qui si ritorna prepotentemente sui binari, a ricordarci l'eterno monito: il potere di Spider-Man è un dono e insieme una maledizione e - va da sé - un'enorme responsabilità.
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Per questo qualcuno parlerà di reboot e non a torto, perché riallinea Peter Parker a ciò che più di caratteristico e connaturato esiste nel personaggio, da ancor prima che il genere cinecomics come lo conosciamo oggi venisse codificato. Quello di Tom Holland era stato finora uno Spider-Man sui generis, ma No Way Home ne ha tirato fuori l'incarnazione vera di quell'eroe che nessun attore che riuscito mai davvero a lasciarsi alle spalle, anche molto dopo aver smesso il costume, come questo film prova ampiamente.
No Way Home: un rischio che paga
Certo No Way Home fa un'operazione pericolosa, capitalizzando come fa su cinque pellicole precedenti (due delle quali dirette da Sam Raimi hanno praticamente definito il genere Uomo Ragno e cinecomics) per costruire il suo crescendo emotivo, al solito terribilmente derivativo e citazionista. Per ottenere il suo innegabile impatto emotivo sul pubblico, il film spende tanto, talvolta troppo. Alcuni ritorni sono davvero mercenari e non rendono giustizia ai personaggi scomodati per mere funzioni narrative né agli strepitosi interpreti degli stessi. È un peccato che Alfredo Molina venga richiamato per essere sottovalutato e utilizzato in questo modo.
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Anche la prigionia di una continuity perenne - che qui fa capolino soprattutto negli spezzoni chiaramente frutto di una mediazione tra Disney e Sony - rimane un problema pressante, così come l'incapacità di raccontare una storia sotto le due ore e mezza di girato. Un altro possibile limite di un film che deve tanto a ciò che è venuto prima è che, sul lungo periodo, perda moltissima della sua forza. Va ammesso che in prima visione è davvero molto emozionante, soprattutto per chi ha passato gli ultimi 20 anni a veder crescere Peter Parker, cambiare e, finalmente, tornare veramente sé stesso.
Sony aveva promesso un grande film celebrativo del personaggio e ha mantenuto la parola con un film che regala persino una cornice natalizia come un blockbuster di altri tempi. Da qui in poi però bisognerà farcela con le proprie sole forze: un solo universo, un solo Spider-Man e i soliti, mille dubbi di sempre a guidarne le scelte da uomo e da eroe.
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Voto di Cpop
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