The Irishman, la recensione: l'ultimo addio, l'ultimo capolavoro di Martin Scorsese

Martin Scorsese fotografa un'epoca storica e cinematografica con un progetto incredibile e ambizioso, ma soprattutto riuscitissimo: The Irishman non è (solo) l'ultimo film del grande regista, ma uno dei suoi migliori.

Autore: Elisa Giudici ,

Il 2019 sarà probabilmente ricordato come l'anno in cui molti due grandi vecchi del cinema mondiale hanno regalato al pubblico i loro ultimi lavori. Roman Polanski e Martin Scorsese sono riusciti entrambi a realizzare un progetto chiuso nel cassetto da decenni, a portare su schermo l'ultimo grande desiderio da cineasti, con due film imponenti, ambiziosi e riusciti come L'ufficiale e la spia e The Irishman. Se il film di Polanski è molto riuscito, quello di Martin Scorsese rasenta l'eccezionalità. Sarà uno dei migliori film del 2019 e si candida ad essere uno dei migliori titoli mai girati da un regista che ha in filmografia film notevoli, capolavori e lungometraggi che hanno fatto la storia del cinema. 

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Di Scorsese in questi giorni si parla soprattutto per certe sue esternazioni su cosa sia cinema e cosa no, giudicate infelici da molti, aspramente criticate da altri. Spesso era possibile rilevare scarsa conoscenza di quanto la vita di Scorsese sia ruotata tutta attorno al cinema e non solo inteso come film da girare. Ha prodotto lungometraggi, lanciato colleghi, salvato capolavori facendoli restaurare a sue spese, creato istituzioni per la promozione e la diffusione della cultura cinematografica. Se dunque c'è qualcuno negli Stati Uniti che oggi si può permettere di scrivere i confini di cosa sia cinema e cosa no per meriti sul campo, quello è proprio Martin Scorsese. 

Non solo per il suo passato glorioso, ma anche e soprattutto per il suo recentissimo presente: The Irishman è un film eccezionale, che sa di antico e di moderno, di analogico e di digitale, ma soprattutto ha un sentore nitidissimo di cinema. Dura 3 ore e 28 minuti e si fatica a trovargli non dico un difetto, ma un passaggio men che necessario. Dire che a confronto il cinema popolare di oggi ne esce annichilito è riduttivo ma anche errato perché The Irishman è un film profondamente contemporaneo nella forma, tanto quanto è classico nel contenuto. Scorsese si è servito della contemporaneità e delle sue nuove regole e possibilità per raccontare ciò che gli sta a cuore, per portare su grande schermo una grande storia che in precedenza non avrebbe potuto girare.

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De Niro e Al Pacino in The Irishman
De Niro e Al Pacino sono solo due dei fuoriclasse nel cast di The Irishman

Un patto col diavolo

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Una cifra di quanto Martin Scorsese desiderasse girare The Irishman ce la dà il fatto che a produrlo sia Netflix. Lui, accanito sostenitore di una fruizione classica dei film e di un sistema cinematografico tradizionale basato sulle sale, non ha esitato ad accettare i duecento milioni di dollari che Netflix ha messo sul piatto. È stato costretto dalle circostanze. Nessun studio voleva produrre The Irishman, un film in cui compare tutto il gotha della Hollywood di un tempo, incentrato su figure notorie della malavita statunitense, lunghissimo e dispendiosissimo, dalla produzione interminabile. 

Netflix ci ha visto esattamente quello che andava cercando: un blasone, un film che portasse in catalogo quella nobilità autoriale che l'azienda invidia ai grandi studios. La miopia della Hollywood tradizionale è comprensibile: certo è Martin Scorsese, ma stiamo parlando di un film che oltre alle riprese ha richiesto mesi e mesi di post produzione per ringiovanire o invecchiare Robert De Niro, Al Pacino, Joe Pesci e tutti i protagonisti della vicenda, con un tecnica di recentissima messa a punto dai risultati già impressionanti, anche se con qualche momento di défaillance. Mobilitare una tale schiera di star costose (e anziane), investire una somma di tempo e di denaro spropositato? Il gioco era pericoloso. 

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Al Pacino e Joe Pesci ringiovaniti
Il lavoro di ringiovanimento è impressionante

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Martin ha detto sì per non rinunciare a nulla, perché voleva che The Irishman fosse una summa di tutto il meglio, con tutto il denaro e il tempo necessario. Nemmeno tra gli attori è sceso a compromessi, richiamando una schiera impressionante di leggende. Non si vedeva una parata di star così dai tempi della partita a carte di Viale del Tramonto. In The Irishman c'è una serata di beneficenza a cui partecipano i protagonisti e ogni volto a ogni tavolo è un pezzo di storia, per un risultato che lascia a bocca aperta. Scorsese non si è fermato nemmeno di fronte alla morte: è andato da Joe Pesci in piena lotta con un cancro che gli ha mangiato il corpo e lo ha chiamato a rapporto, insieme al suo feticcio De Niro e all'unico grande che ancora gli mancava, Al Pacino. Pesci con sulla spalla la mano della morte ha detto sì solo per lui, solo per Scorsese. 

Il risultato di questa mossa di egoismo e di altruismo purissimi è The Irishman, un film che è l'essenza di un'epoca di cinema e di storia. Ogni malvivente che appare nelle sue scene ha a sua volta un film dedicato (e spesso stiamo parlando di pellicole strepitose), interpretato talvolta da uno degli attori che vediamo qui. È la summa del cinema di Scorsese, che ritroviamo in ogni movimento di cinepresa, a partire da quel lungo carrello che ci introduce nella casa di riposo dove si trova il protagonista, Frank "l'irlandese" Sheeran. Scorsese però non è un vecchio nostalgico; sa farsi moderno, come quando usa i rallenti snyderiani per fermare un secondo fulmineo e farci giudicare con calma la situazione, lo è per come si serve del denaro di Netflix e dello stato dell'arte tecnologico. 

In the Irishman c'è tutto

C'è poi la storia vera dentro. Non solo quella delle grandi famiglie mafiose italoamericane, ma anche e soprattutto quella dell'America che hanno plasmato. Certo ormai è passato parecchio tempo, ma arriva come uno schiaffo il momento in cui Scorsese postula esplicitamente che Kennedy alla Casa Bianca ce l'ha messo la mafia, interessata a riavere i proventi dei casinò di Cuba. Su Dallas inizialmente allude, ma poi non si tira indietro, laddove persino Oliver Stone aveva lasciato intendere più che dire. 

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Robert De Niro è triste
Robert De Niro è protagonista di una descrizione della vecchiaia tra le più feroci mai viste al cinema

Tre ore e ventotto minuti sono un tempo lunghissimo, ma anche brevissimo per raccontare una vita criminale a suo modo esemplare. Quella di Frank Sheeran, veterano di guerra, "imbianchino" (ovvero sicario) della mafia, straziato dalla necessità di dover scegliere a chi essere fedele. Manca forse l'amore carnale in The Irishman, ma esplode con violenza il sentimento fraterno di amicizia, specie quando onorare un rapporto significa tradirne un altro. The Irishman è pieno di tradimenti terribili, uomini potentissimi "che si vede da subito sono padroni" e di gregari più o meno mediocri come Frank. Infine c'è una bambina e poi una figlia cresciuta, che con il suo istinto e la sua paura pronuncia una condanna durissima e senza appello, una sentenza peggiore di quelle dei tribunali e del carcere. 

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In The Irishman c'è persino lui, Scorsese. Non il regista, l'uomo. Impossibile non pensare a lui sul gran finale, su quella scena finale che profuma di rimpianti, di vecchiaia, e sì, di morte. Eppure Frank Sheeran e Martin Scorsese lasciano aperto uno spiraglio sul futuro, ben consapevoli che i loro ultimi anni di vita saranno gli ultimi respiri di un'America, una storia e di un cinema che stanno morendo insieme a loro. Così come Joe Pesci, che qui dà l'interpretazione della vita e se un altro dovesse soffiargli la statuetta sarebbe il furto a un morto. Così come Steven Zaillian, uno dei giovani della compagnia con i suoi 66 anni, che ancora una volta sa rendere la parola scritta linguaggio cinematografico per Scorsese. The Irishman ha dentro la morte ovunque, eppure ha una vitalità travolgente, sconosciuta al film medio che popola le sale. È come un ultimo disperato rantolo di chi è in fin di vita e si aggrappa più che mai all'esistenza, un respiro di morte che si trasforma nel più bel canto del cigno. 

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Al Pacino in una scena del film
Al Pacino corona il suo sogno di lavorare con Scorsese (e viceversa)

Il consiglio spassionato è: andatelo a vedere in una delle (poche) sale che lo proiettano fino al 27 novembre 2019, perché se c'è un film che vale la pena di vedere al cinema, è davvero questo. Da quella data sbarcherà su Netflix, che ha il merito di aver teso la mano a Scorsese e ora raccoglie come frutto un film portentoso per il suo catalogo. 

Commento

stars

Voto di Cpop

100
Sembra un addio e forse lo è. Non solo di Scorsese, ma di un'intera generazione d'attori, di un modo di fare cinema, di un modo di essere America. Dura 3 ore e mezza e non ha una scena fuori posto.

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