Valerian 2 sì, no o forse? Difficile a dirsi, ma è già una notizia il fatto che a due anni di distanza dal sonoro flop del film al botteghino, Luc Besson ancora pensi di tornare sul set e dare un sequel al film. Il come (e quanto) abbia poi fallito Valerian e la città dei mille pianeti nel ripagare il suo notevole costo di produzione (circa 180 milioni di euro) è oggetto di analisi dentro e fuori il mondo del cinema europeo e internazionale. Un fatto oggettivo è che l'incasso nelle sale a livello globale di 255 milioni di dollari lascia una parte degli investitori iniziali in perdita. Questo significa che alcuni tra quanti hanno dato fiducia al progetto di Besson e vi hanno messo i propri soldi sono rimasti scottati e saranno meno inclini a seguirlo nella produzione di un sequel, o di altri film con le medesime premesse.
A ben vedere però Europacorp, il produttore principale, è rientrata della spesa di 150 milioni di dollari investiti nell'impresa ancor prima di arrivare nelle sale, con la vendita dei diritti internazionali di distribuzione del film. Rimane poi sconosciuto l'impatto che la vendita di supporti home video, copie digitali in pay per view e video on demand ha avuto sui conti finali. Aggiungendo i diritti di trasmissione sui canali TV in chiaro ed eventuali passaggi sulle piattaforme in streaming, il quadro generale si fa ancora più complicato, rendendo difficile capire se da un bilancio finale in rosso si sia passati a uno in pareggio o timido verde.
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Perché Valerian e la città dei mille pianeti è stato dunque definito un mega flop? Ci sono molte cause oggettive riguardanti la qualità del film e non da considerare, ma c'entra anche l'attitudine del pubblico e il cambiamento del mondo del cinema avvenuto negli ultimi due decenni.
Valerian e la città dei mille pianeti: le ragioni del flop
Partiamo dai dati oggettivi. Valerian e la città dei mille pianeti non è riuscito a replicare le buone performance di Il Quinto Elemento e Lucy. Questi due film action dal piglio fantascientifico diretti da Besson si erano rivelati grandi successi al botteghino globale. A scorrere gli incassi, entrambi questi titoli sono stati inizialmente salvati dal mercato internazionale, mentre il pubblico statunitense cominciava pian piano a fare passaparola e affollare le sale. Nel 2017 la grande speranza dei produttori di Valerian era quella di affascinare il mercato cinese. Se Valerian avesse funzionato anche parzialmente oltre la Muraglia, gli incassi sarebbero stati tali da renderlo un successo. Purtroppo l'imprevedibile mercato asiatico non ha premiato la saga fantastica di Besson, interrompendo la corsa del film.
Un altro dato oggettivo è che la pellicola non è stata accolta dalla migliore delle critiche. Sin dalla distribuzione del primo materiale promozionale in molti erano parsi scettici rispetto alla riuscita dal film, per non parlare della scelta dei due protagonisti. Dane DeHaan e Cara Delevingne non sono volti così familiari al grande pubblico; sono giovani divi in ascesa, ma non hanno certo lo star power di un Bruce Willis negli anni '90 o di una Scarlett Johansson di inizio millennio. Lei è una modella che spera di diventare attrice, bellissima ma interpretativamente altalenante.
Lui invece è un ottimo attore, ma con una fisicità lontana da quella che siamo abituati ad associare agli eroi action. Biondo, efebico, di media statura, molto magro e poco muscoloso, DeHaan è molto più vicino all'aspetto che associamo a un villain (lo è stato nel franchise di Spider-Man) o a un personaggio protagonista sgradevole (come in La cura dal benessere, altro progetto interessante che ha fatto flop). Inoltre i suoi titoli più noti appartengono al mondo autoriale. Il limite principale del film è che fatica a vendere i protagonisti come una coppia affiatata, dato che per fisicità e chimica sono davvero mal amalgamati.
Un aspetto da non sottovalutare è il budget iniziale. 177 milioni di dollari non è una cifra record per un film hollywoodiano, ma lo è per una produzione in parte europea basata su un fumetto francese che in pochissimi conoscono. Quando si citano i successi commerciali anni '90 di genere si tende a dimenticare che all'epoca non solo un film aveva molte più settimane in sala a disposizione per sedurre il pubblico e cominciare a macinare dollari, ma spesso i budget non superavano i 100 milioni di dollari. Matrix è stato il successo che conosciamo anche perché costò "solo" 90 milioni ai suoi produttori.
Rispetto agli anni '90 poi è quasi del tutto tramontato il sistema dello star power, ovvero della capacità di grandi divi e dive di portare gli spettatori in sala con la loro semplice presenza nel film. Difficile trovare oggi eredi convincenti di Will Smith e Tom Cruise, anche se Hollywood continua a provarci a lanciare questo genere di star. La fiducia un tempo accordata agli attori è passata a brand come Marvel e Star Wars. Al giorno d'oggi le persone sono disposte ad andare in sala a vedere film su storie a loro sconosciute (Thor, I guardiani della galassia) perché "sono film della Marvel", non perché il protagonista è tal dei tali attore.
Tuttavia nel valutare il declino dello star power bisogna anche tenere in considerazione il peso specifico che un tempo si metteva sulle spalle di attori come Michael Douglas, Will Smith, Tom Cruise, Sandra Bullock e soci. Spesso veniva chiesto loro di portare un numero di persone in sala tale da "rientrare" di film con budget sotto i 100 milioni di dollari e pensati per un pubblico adulto. Un esperto del settore come Scott Mendelson fa giustamente l'esempio di hit che esordirono al botteghino con meno di 10 milioni d'incasso nel primo fine settimana.
I blockbuster di oggi devono incassare subito molto bene, nella prima settimana di uscita. "Molto bene" oggi è una cifra che si aggira tra i 30 e i 50 milioni in un fine settimana nel mercato statunitense, richiamando in sala un pubblico spesso sfuggente come quello dei giovanissimi. Negli anni '90 potevano bastare anche solo 8 o 10 milioni la prima settimana e un ottimo passaparola per innescare la lunga corsa di un film verso il successo. Attori come Dane DeHaan e Cara Delevingne si ritrovano sulle spalle in un solo fine settimana il peso di una produzione da quasi 200 milioni, con la carta incognita della Cina come unica ancora di salvataggio.
Valerian e la città dei mille pianeti: si farà un sequel?
C'è poi l'annoso problema del soggetto originale o della fonte letteraria sconosciuta al pubblico. Le scelte degli studios in questo senso evidenziano come si ha paura di puntare sul nuovo, di osare il lancio di un qualcosa di sconosciuto. Siamo subissati da annunci e uscite di sequel, prequel, remake, spin-off, ovvero storie che possono già capitalizzare su una conoscenza e su un legame emotivo pregresso con lo spettatore. La colpa è in parte del pubblico stesso, che in linea di tendenza generale (esistono per fortuna importanti eccezioni) premia questo tipo di operazioni nostalgia a discapito di film originali. La nostra fiducia incondizionata in brand come Marvel e Star Wars, opposta alla diffidenza verso ciò che ci è ignoto come Valerian, spinge gli studios a riproporre sempre le stesse storie.
A ben osservare i dati economici - ed esulando dalla qualità artistica in sé - un flop come Valerian ha una carta in più. Il tempo. Rispetto a remake poco riusciti o interessanti di film originali, magari considerati classici (Pan di Joe Wright, King Arthur di Guy Ritchie e via dicendo) un film come Valerian rimarrà un unicum, una novità che aspetta solo di essere riscoperta. Non sono pochi gli esempi in questo senso: basta una retrospettiva, il commento entusiasta di un autore di culto come Quentin Tarantino, Wes Anderson o Edgar Wright, l'omaggio inserito in un nuovo film ed ecco che il pubblico ritrova curiosità in un film, lo noleggia e lo consuma, riattivando l'interesse (e i guadagni).
Nel 1997 Gattaca fu un flop, pur essendo costato pochissimo. Eppure non solo a lanciato la carriera di Jude Law, negli anni è diventato un piccolo cult. Rispetto a remake magari abbastanza remunerativi ma poco ispirati e presto dimenticati, film come Valerian, Lone Ranger, John Carter, La cura dal benessere e tanti altri sono sempre pronti ad esplodere.
È con questo scenario in mente che Luc Besson ha già scritto la sceneggiatura non solo del secondo, ma anche del terzo film legati alla saga di Valerian. Negli scorsi mesi si è parlato di un sequel e non a caso si è precisato che si punterebbe a un profilo più basso: se il budget è più contenuto (proprio come negli anni '90) le possibilità che un incasso non entusiasmante permetta comunque di rientrare dei costi aumentano considerevolmente.
Gli ultimi casi in questo senso (John Wick e Atomica Bionda, per citarne due) puntano proprio in questa direzione: storie originali con il giusto grado di star power (Keanu Reeves e Charlize Theron di certo aiutano ad attirare l'attenzione), target adulto e budget contenuti. Se il primo film va anche solo abbastanza bene, negli anni successivi c'è tutto il tempo e il modo per pensare a come capitalizzare, magari cambiando medium e passando alla TV.
Il cambiamento che ancora manca è quello di mentalità degli studios, che diano luce verde a più progetti originali con budget più basso, risparmiando in remake e affini senza forti motivazioni per la loro realizzare a parte una facile capitalizzazione.
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