"Questa Venezia potrebbe sorprenderci" è la frase che ricorre tra i tavolini dei bar e la fila dei giornalisti in attesa di ritirare l’accredito in queste ore al Lido. Superato lo show di ritrovare uno dei Festival cinematografici più glamour e hollywoodiani d’Europa e del mondo spogliato del suo lato ultra pop fatto di divi e divine statunitensi, dopo la stilettata di Netflix che non ha mandato nulla in Laguna (tradendo il Festival da sempre più amichevole con la nuova realtà dello streaming) gli addetti ai lavori si sono guardati intorno, spulciando il concorso principale e le sezioni collaterali.
Con l’arrivo dei primi trailer e materiali promozionali è apparso chiaro che con così tanti nomi poco noti, esordienti e registe per la prima volta in concorso è davvero difficile dire che edizione sarà, qualitativamente parlando. Rispetto agli anni passati Venezia 77 è un tuffo nel vuoto. Nel 2019 tutti sapevano che Joker era il film che avrebbe fatto parlare di sé, nel 2018 l’arrivo di Lady Gaga era già presentato come quello di un futuro premio Oscar (profezia poi avveratasi). Nel 2020 invece quello che rischia di sorprendere - in positivo e in negativo - è la qualità di film sfornati in una situazione difficile, da due tipologie di creatori.
Da una parte i fedelissimi della Laguna, vedi alla voce Luca Guadagnino e Abel Ferrara, che si sono praticamente inventati materiale da mandare fuori concorso, magari girato durante il lock down. Dall’altra ci sono una pletora di registi e attori con qualche film anche azzeccato alle spalle, nel giusto momento della carriera per tirare fuori il progetto della svolta. Scorrendo il programma qualche azzardo lo si può già fare: Vanessa Kirby compare in due titoli importanti di Venezia e si prepara ad essere la star dell’edizione, Chloé Zhao ha pur sempre un film in arrivo con Marvel Studios e il suo Nomadland è conteso e condiviso da tutti i festival autunnali che non sono stati cancellati.
Fare previsioni nel 2020 è davvero un esercizio di stile, ma che Venezia sarebbe senza una preliminare selezione di titoli da tenere d’occhio? Ecco i 5 film (e qualche titolo extra) che sulla carta salveranno il Festival.
1 - Nomadland
Non serve una sfera di cristallo per vaticinare l’importanza di questo film in Mostra e nella corsa agli Oscar 2021, per cui viene dato come partecipante già da settimane. L’arrivo del lungometraggio di Searchlight a Venezia è figlio di un accordo successivo a un lungo braccio di ferro tra i Festival sopravvissuti alla pandemia. Il fatto che tutti si siano contesi con le unghie e i denti il nuovo film di Zhao è un’ulteriore campanello d’allarme in chiave qualitativa.
A differenza dei film evento statunitensi delle scorse edizioni - tutti pigiati nella prima settimana di programmazione per intercettare la stampa estera che poi fugge verso altri appuntamenti di rilievo - Nomadland arriverà al Lido sul gran finale, 11 settembre 2020. Scelta bizzarra ma necessaria, per muoversi in sostanziale contemporanea con il rivale Festival di Toronto e quelli di Telluride e New York, con cui Barbera ha dovuto dividere l’esclusiva.
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Il fatto curioso è che Nomadland sembra riproporre lo stesso canovaccio narrativo dei precedenti e poco noti film della regista cinese. Infatti il film percorre gli Stati Uniti attraverso le peregrinazioni e le sofferenze degli ultimi, spesso raminghi, invisibili e lontanissimi dalla società americana che siamo abituati ad immaginare. Tratto da un libro reportage di Jessica Bruder (edito in Italia da Clichy), il film di Zhao racconta le peregrinazioni dei nuovi nomadi forzati d’America. Difficile non pensare al bellissimo The Rider, film senza sconti sul mondo dei rodei che lanciò la regista a Cannes nel 2017.
Nel frattempo è arrivata Marvel che a sorpresa le ha affidato la regia di un mega blockbuster come Gli Eterni. Nomadland promette di essere il film della svolta per una regista già amatissima a livello festivaliero. Se non lo fosse, rimarrà comunque la pellicola a portare in Laguna il nome più vicino al concetto di star statunitense: quello di Frances McDormand, protagonista del film. Dati i suoi antecedenti veneziani (Tre manifesti a Ebbing, Missouri) conviene segnarsi la data del 11 settembre sul calendario…anche in chiave Leone.
2 - Miss Marx
La vulgata giornalista italiana vuole che il film nostrano evento del concorso sarà Notturno di Gianfranco Rosi; regista che senza troppi clamori ha già all’attivo un Leone e un Orso d’Oro. Tuttavia, forte della leggerezza che si può avere solo alla vigilia della Mostra, io un pensierino su Susanna Nicchiarelli con il Leone d’Oro in mano lo farei. D’altronde Miss Marx è uno dei film più attesi della Mostra e questo è palpabile, anche tra la stampa internazionale.
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Dopo una carriera solida, la regista italiana ha tirato fuori dal cappello quella bomba a orologeria che è stata Nico, 1988. Vincitore della sezione Orizzonti nel 2018, Nico, 1988 un film che parla di femminili dimostrandosi femminista al punto giusto. Se non avete visto il film dedicato agli ultimi anni di vita dell'ex-modella e cantautrice tedesca Christa Päffgenn, rimediate: scoprirete un biopic roco, ruvido e memorabile come pochi, che racconta una storia dannatamente rock nell’anima eppure davvero fuor di stereotipo.
Miss Marx parte dallo stesso presupposto: raccontare la vita di una donna eccezionale (la figlia dell’economista Karl Marx) senza semplificarne le complessità e le contraddizioni. Stavolta però oltre al fattore film in costume c’è una protagonista nota e amata come Romola Garai. Aggiungiamoci un trailer che lascia a intendere che Miss Marx ha la stoffa per essere il nuovo Piccole Donne di Greta Gerwig (e forse anche di più) e avrete tutti gli ingredienti per capire perché, con Cate Blanchett a capo della giuria, si può veramente sognare un ruggito finale italiano.
3 - Pieces of a Woman
Il 2020 è un anno così incredibile che tra i film evento dell’edizione c’è una pellicola di Kornél Mundruczó, regista ungherese di film tanto iconici quanto semi sconosciuti tra le platee popolari come White God e Jupiter's Moon. Difficilmente uno spettatore si scorda di aver visto la rivolta apocalittica canina o l’odissea umana di un migrante che comincia a levitare, sia per bravura tecnica del regista sia per l’ardire del suo immaginario davvero senza compromessi.
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Se riuscirà a mantenere l’andamento verticale nella curva dello stupore del pubblico anche nel suo esordio statunitense, allora Pieces of a Woman ha tutte le carte in regola per essere memorabile. Attenzione anche al cast: i due poli di questo dramma familiare “di rara potenza” (cit. Alberto Barbera) sono Shia LaBeouf e Vanessa Kirby. Lui, lei e una levatrice, perché la coppia ha deciso di avere il primo figlio con un parto casalingo. Qualcosa però va storto e la levatrice verrà accusata di negligenza criminale.
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Vanessa Kirby si ritrova per le mani una di quelle maternità tragiche che il pubblico e le giurie dei Festival tendono ad amare e premiare. Se dovesse andarle male con Kornél Mundruczó, c’è sempre The World to come con cui rifarsi: l’attrice è infatti protagonista del dramma lesbico in costume di Mona Fastvold, ambientato nella frontiera statunitense del XIX secolo.
4 - Mandibules
Siamo a Venezia, famolo strano: una mosca gigante in un furgone trovata per caso da due giovani che decidono di allevarla per avviare un business è abbastanza? Il francese Quentin Dupieux si è costruito una certa nomea “artistoide” per i suoi film surreali e ossessivi, come il recente Deerskin.
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Ogni Festival ha bisogno del suo film dal presupposto così pazzesco da scrivere una pagina importante dell’edizione, non importa se sotto la colonna del cult o sotto quella dello scult. Mandibules ha tutte le carte in regola per essere quella pellicola. In alternativa potrebbe dare molte soddisfazioni Mila del greco Christos Nikou nella sezione Orizzonti, anche solo per la pigrizia della sala stampa. Un film che racconta di una pandemia che sottrae la memoria ai malati, che devono imparare a vivere ricostruendo da zero la propria identità, fornisce un presupposto troppo ghiotto per rimandi con il presente per lasciarselo sfuggire.
5 - Amants
Questo genere di articoli nasce e muore da un presupposto soggettivo e anche un po’ egocentrico, per cui piazzo in questa ultima posizione un film atteso sì, ma innanzitutto dalla sottoscritta. È stato presentato da Alberto Barbera come l’unico film francese non rimandato del 2020,. In altre parole Amants è l’unico titolo francofono a non essere stato opzionato da Cannes nella guerra senza quartiere che i colleghi francesi hanno scatenato per evitare defezioni nel proprio vivaio di registi nel 2020, a fronte della sostanziale cancellazione del Festival.
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L'attrice e regista Nicole Garcia ha agito diversamente, regalando a Venezia un baluardo francofono e forse l’unico film sentimentale del concorso. C’è una certa poesia nel fatto che queste due caratteristiche - francese e sentimentale - finiscano per coincidere, soprattutto guardando al cast.
Pierre Niney, modello e attore francese con un fandom scatenato e sempre a un passo da diventare una star internazionale, si era già fatto notare a Venezia con lo struggente Frantz di François Ozon. Stavolta al suo fianco c’è Stacy Martin, che nel 2018 aveva messo in ombra persino Natalie Portman nel parzialmente riuscito Vox Lux.
Meritano anche una menzione due grandi maestri come Pedro Almodovar e Luca Guadagnino, che si sono ingegnati tra corti e documentari per sostenere il Festival. Anche se probabilmente The Human Voice, Fiori! Fiori! Fiori! e Salvatore - Shoemaker of Dreams si riveleranno opere minori (che in altre edizioni sarebbero passate quasi inosservate), è la loro presenza l’evento di un Festival che il cinema oltre che ha vederlo ha bisogno di sentirselo raccontare. Entrambi non solo sono molto bravi a fare cinema, ma sono dei veri affabulatori nel raccontarlo.
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Difficile che manchino sorprese, nel bene e nel male, nei prossimi 12 giorni veneziani. Per vedere come andrà a finire (e scoprire quanto questo pezzo si rivelerà corretto) continuerò a raccontarvi la Mostra e i suoi film, giorno dopo giorno.
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