Dune - Parte 2, recensione: la spezia torna a scorrere

Immagine di Dune - Parte 2, recensione: la spezia torna a scorrere
Autore: Manuel Enrico ,

La ruvida carezza della sabbia. La potenza degli sguardi con cui il destino di un universo viene plasmato, mentre un mondo insorge. Con la ritmica potenza di un martellatore, queste sensazioni ci hanno accompagnato all’uscita dalla proiezione in anteprima di Dune – Parte 2, l’atteso secondo capitolo del viaggio su Arrakis orchestrato magistralmente da Denis Villeneuve, in uscita nelle sale italiane il 28 febbraio. Dopo la prima parte, le aspettative erano altissime, considerato che la chiusura di Dune - Parte 1 consegnava agli occhi degli spettatori un visionario primo passo, una potente dichiarazione di epicità che rimaneva, a tutti gli effetti, un punto di partenza.

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La magnificenza visiva di Villeneuve trasmetteva l’immediato senso di grandezza che si accompagna da sempre alla saga letteraria di Dune, ma sul grande schermo questa architettura fatta di mondi e stili diversi sembrava quasi rifarsi alla tradizione dei kolossal hollywoodiani. Villeneuve mostra di avere colto la visione tipica del genere, ma ne fa un uso personale, ne apprende il linguaggio e crea una nuova grammatica cinematografica che dia pienamente voce alla sua vis narrativa.

Dune - Parte 2: vendetta tra le sabbie di Arrakis

Che si tratti di creare un nuovo mondo, come in Arrival, o di evolvere un cult del cinema di fantascienza, come in Blade Runner 2049, Villeneuve non pecca mai di egocentrismo, ma si pone al servizio del racconto, se ne fa araldo e costruisce i suoi universi attorno a questa venerazione, rimanendo sempre un passo indietro alla storia. Con questo secondo arco narrativo, Villeneuve ha affondato delicatamente le mani all’interno dell’anima di Dune, ne ha scostato le cose meno importanti cercando l’essenza di quanto immaginato da Herbert, per portare poi alla luce un universo di incredibile fascino.

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Dune - PT2

Dopo esser scampato al vile attacco degli Harkonnen, Paul Atreides (Timotéè Chalamet), assieme alla madre Jessica (Rebecca Ferguson), viene accolto tra i Fremen, i letali abitatori del deserto di Arrakis. Un momento cruciale, in cui i due estranei devono riuscire a trovare il modo di farsi accettare da queste popolazioni, sperando in un loro aiuto nel vendicare la caduta di Casa Atreides.

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Una vendetta che preoccupa anche la corte imperiale. Dal suo trono, l’imperatore Padisha Shaddam IV (Christoper Walken) sembra seguire con stanca rassegnazione gli eventi su Arrakis, lasciando sempre più spazio alla figlia Irulan (Florence Pugh). Addestrata dalla Reverenda Madre delle Bene Gesserit, Irulan è più attenta agli avvenimenti su Arrakis, fornendo al padre un prezioso supporto. Tuttavia, la sua fedeltà alla sorellanza Bene Gesserit la porta a seguire anche tortuosi piani, volti a cercare il sentiero che conduca alla nascita del temuto quanto atteso Kwisatz Aderach.

A complicare questi piani, sorgono due interrogativi: Paul Atreides è davvero morto tra le sabbie di Arrakis? E chi è il misterios Muad’dib che guida i Fremen contro il potere imperiale, rappresentato su Arrakis da Casa Harkonnen?

Pur avendo fatto propria l’essenza del Dune letterario, Denis Villeneuve resiste alla tentazione di portare forzatamente su schermo alcuni dei passaggi più particolari e spettacolari del romanzo originario, preferendo puntare a un intreccio in cui siano onorati i temi centrali dell’universo di Herbert. L’ascesa di Paul Atreides non è un viaggio dell’eroe come ci hanno abituato le grandi saghe del cinema, ma è un racconto avulso da quelle logiche. Non è nemmeno corretto parlare di eroi, Dune è un racconto politico e sociale, la sua anima è arroccata sulla potenza delle credenze e la manipolazione delle fedi, sul logorio del potere e sulla follia del genere umano quando rimane assuefatto da questa droga, ancora più potente della spezia melange.

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Nelle precedenti iterazioni di Dune, si percepiva questa sensazione di eroismo posticcio affibbiato a Paul. Villeneuve abbandona questa strada, scegliendo un’intelligente aderenza concettuale all’idea di Herbert. Ne nasce un film in cui ogni dialogo custodisce un’emozione rivelatrice, veicolata da sguardi di detonante potenza e da momenti di grande intensità. Senza scendere nel dettaglio, basti dire che Dune – Parte 2 potrebbe rivelarsi come una perfetta allegoria del potere teocratico, in cui Paul compie il suo arco evolutivo passando da figura cristologica a luciferino distruttore di mondi.

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Un’inesorabile ascesa che non viene centrata sulla figura di Paul, quanto sull’ambiente circostante. Il suo potere viene costruito tramite il contrasto con la figura a lui più vicino, Chani (una splendida Zendaya), e alla forza interpretativa con cui Rebecca Ferguson trasforma visceralmente la sua Lady Jessica, passando dalla donna spaventata che attendeva l’esito del gom jabbar su Caladan a sacerdotessa di un culto serpeggiante e strumentale.

Rivoluzioni, rinunce e incubi premonitori

Nell’economia di Dune – Parte 2, la Ferguson guida una trinità femminile che si rivela il vero motore della storia. Se Lady Jessica diventa sempre più sacerdotessa, non meno centrali sono i ruoli di Chani e Irulan. La giovane Fremen è al contempo amore e ostacolo a Paul, cerca di preservane l’animo (‘Ti mostrerò io la via’) ma senza accettare di rimanere schiava della sua artificiosa messianicità, sacrificando il suo popolo in nome di un dio politico (‘E’ con la profezia che ci rendono schiavi'). Un amore sofferto, diviso tra cuore e necessità, che vede in Irulan il terzo vertice di un triangolo che, al termine di Dune – Parte 2, promette di essere la forza motrice del futuro del Dune di Villeneuve. 

Un futuro che poggia sulle spalle di un Paul Atreides finalmente conscio del proprio ruolo. Chalamet si fa volto di un messia inizialmente reticente e infine rassegnato a farsi carico del fardello del comando, sfruttando ogni mezzo e non esitando a ferire chi ama. Pur lasciando il sentore che il Paul di Dune - Parte 2 sia quasi un uomo spinto da più parti, dalle donne della sua vita ai suoi amici più cari, Chalamet non manca di dare al suo personaggio una vitalità sofferta e rassegnata, ma al contempo rigidamente saldo nel proprio obiettivo, pur temendo la conseguenza delle proprie azioni.

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Una costruzione emotiva che trova pieno sostegno in ogni aspetto del lavoro di Villeneuve. La sua attenzione indugia con sensibilità palpabile sugli sguardi, cerca di scavare nella profondità delle anime dando vita a situazioni cariche di pathos che esplodono nella voce dei personaggi, sempre fedeli alla propria evoluzione. Una concretezza umorale che trova forza nell’ambiente in cui si muovono, in cui sono cresciuti, tanto per l’aspra sincerità dei Fremen quanto per la stridente bicromia che accompagna gli Harkonnen.

Ad affascinare epidermicamente lo spettatore è proprio l’estetica di un universo in cui la cerimoniosità della corte imperiale è costellata di abiti sfarzosi e dai design minimal, coerenti con un’ambientazione di forte impatto per la sua dominante presenza su schermo, ma caratterizzata da una funzionalità spartana, in cui una predominanza di linee squadrate sembra echeggiare la rigidità di una società nobiliare.  In contrapposizione all’accecante identità cromatica di Arrakis, in cui predominano le calde tonalità e il senso di ruvida sopravvivenza che caratterizza i Fremen. E nuovamente, la nuova casta religiosa imposta da Jessica porta a una rottura, con costumi che pur non arrivando alla complessità di quelli imperiali mostrano una concessione alla venerazione del ruolo.

Curiosamente, Villeneuve sembra lavorare con oculata perizia sui personaggi più antitetici a Paul. Christopher Walken è un perfetto simbolo del potere stanco e decadente, incapace di accettare la propria fragilità, mentre Casa Harkonnen viene avvicinata al suo ruolo di villain tramite una ritrattistica ben precisa, appellandosi a trovate registiche che richiamano immaginari goebbeliani e soluzioni visive di rara intensità. Dune – Parte 2 vive di questi slanci, prende vita nel lento ma inesorabile formarsi di un universo di cui stiamo vedendo gli ultimi istanti di vita.

Una venefica caduta che viene enfatizzata da un comparto audio sopraffino. Non solo la colonna sonora di Zimmer preserva la sua dirompente vitalità, pur non rinunciando alle firme sonore del compositore, ma anche i suoni tipici di questo mondo sono minuziosamente cesellati. Ogni componente di Dune – Parte 2 è tassello imprescindibile di questo titanico racconto, fatto di promesse di cristallo pronte a spezzarsi sotto il peso delle responsabilità o di fanatismo spinto ai massimi estremi.

Con Dune – Parte 2, Villeneuve ha completato quello che, a tutti gli effetti, è l’incipit di una sua potenziale saga. Specialmente il secondo arco narrativo apre a possibilità future di grande fascino, come sanno i lettori dell’epopea di Herbert. Possiamo tuttavia considerare Dune, completo delle sue due parti, come una delle migliori interpretazioni della sci-fi cinematografica contemporanea, capace non solo di adattare un complesso concept letterario ma anche di rendere temi di grande caratura perfettamente integrati in un racconto avvolgente e devastante, come sanno esserlo solo le tempeste di sabbia di Arrakis.

Commento

Voto di Cpop

95
Con Dune – Parte 2, Villeneuve ha completato quello che, a tutti gli effetti, è l’incipit di una saga. Specialmente il secondo arco narrativo apre a possibilità future di grande fascino, come sanno i lettori dell’epopea di Herbert. Possiamo tuttavia considerare Dune, completo delle sue due parti, come una delle migliori interpretazioni della sci-fi cinematografica contemporanea, capace non solo di adattare un complesso concept letterario ma anche di rendere temi di grande caratura perfettamente integrati in un racconto avvolgente e devastante, come sanno esserlo solo le tempeste di sabbia di Arrakis.

Pro

  • Estetica magnifica
  • Grande attenzione nella caratterizzazione dei personaggi
  • Rispetto dello spirito originario della saga

Contro

  • Finale da sviluppare nei capitoli seguenti
  • -
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